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Oggi a Roma si sta tenendo una manifestazione pro Palestina, nonostante la questura ne abbia vietato lo svolgimento e questo divieto sia stato ribadito dal Tribunale amministrativo regionale (TAR).
Per sorvegliare l’arrivo di manifestanti da fuori città e impedire disordini sono stati mobilitati oltre mille agenti di polizia e istituiti controlli alle stazioni e ai caselli autostradali: 19 persone sono state fermate durante i controlli e portate in questura, perché hanno precedenti penali. La manifestazione è cominciata alle 14 in piazzale Ostiense, dove si sono radunate diverse centinaia di persone. I primi disordini sono stati segnalati poco dopo le 17 in piazzale Ostiense: i manifestanti hanno lanciato bombe carta, bottiglie e altri oggetti verso gli agenti di polizia, che hanno risposto agli attacchi utilizzando idranti e gas lacrimogeni. Durante gli scontri una ragazza è stata ferita alla testa.
Della manifestazione e della legittimità o meno del suo divieto si era parlato molto negli scorsi giorni. Il corteo era stato convocato da diverse organizzazioni e collettivi pro Palestina a ridosso dell’anniversario dell’attacco di Hamas contro i civili israeliani del 7 ottobre 2023, che ha dato inizio all’invasione dell’esercito israeliano della Striscia di Gaza. La questura di Roma ne aveva però vietato lo svolgimento parlando di motivi di sicurezza pubblica e dicendo che era stata pubblicizzata da realtà che definiscono il 7 ottobre l’inizio della rivoluzione palestinese, cosa che, secondo la questura, «esprime una volontà celebrativa della strage consumata in danno dello Stato di Israele».
Dopo aver fatto ricorso al TAR, che ha però dato ragione alla questura, gli organizzatori hanno comunque deciso di non annullare il corteo: tra i gruppi presenti oggi dovrebbero esserci i Giovani palestinesi, l’Unione democratica arabo palestinese (Udap) e l’Associazione dei palestinesi in Italia, oltre a diversi collettivi e alcune sigle sindacali. L’unica importante associazione a rispettare il divieto della questura è stata la Comunità palestinese d’Italia, che ha deciso di convocare un’altra manifestazione per il 12 ottobre.
Nonostante si parli spesso di manifestazioni “autorizzate” e “non autorizzate” in Italia la legge non prevede che la polizia debba approvare questi eventi, dato che la Costituzione italiana riconosce il diritto a «riunirsi pacificamente». Questa regola ha però dei limiti: per prima cosa ogni volta che qualcuno vuole organizzare una manifestazione deve comunicare almeno 48 ore prima alla questura competente il luogo, la data, l’ora, la motivazione, una stima dei partecipanti e un eventuale percorso. Questa comunicazione non serve ad avere un’approvazione, bensì a dar conto che una manifestazione avverrà, ma è obbligatoria.
Gli unici casi in cui le autorità possono vietare una manifestazione sono quelli in cui è possibile identificare dei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». In relazione alla manifestazione del 5 ottobre a Roma, la polizia nel suo comunicato aveva menzionato anche il rischio di scontri e disordini che avrebbero potuto creare problemi all’ordine pubblico, ma il problema principale, anche nelle dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, sembrava comunque quello ideologico.
Fonte: Il Post.
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La mutata natura dell’agire umano
Nell’incipit dell’omonima opera [1] in cui enuncia il Principio responsabilità, Jonas cita il celebre coro dell’Antigone di Sofocle («Molte ha la vita forze / tremende; eppure più dell’uomo nulla, / vedi, è tremendo» [2]) al fine di focalizzare immediatamente l’attenzione del lettore sull’oggetto principale della propria analisi: l’angosciante strapotere dell’uomo moderno nei confronti della natura. Già in un precedente saggio [3] ci aveva avvertiti che il coro dell’Antigone sulle stupefacenti capacità dell’uomo va oggi letto in maniera del tutto diversa e che non basta più – ai fini etici – l’ammonizione rivolta all’individuo di rispettare le leggi e la volontà degli dei («Se le leggi osserva / della sua terra e la fede giurata / agli dei di sua gente, / sé con la patria esalta» [4]). D’altro canto, lo stesso Sofocle era consapevole del fatto che «Nulla […] possono gli umani / giurare inattuabile: pensiero / nuovo fa vana la certezza antica» [5].
La natura dell’agire umano è completamente mutata [6] rispetto all’epoca in cui viveva il grande tragediografo greco.
In passato, le incursioni dell’uomo nella natura erano sostanzialmente superficiali e inadatte a turbarne in maniera definitiva l’equilibrio. Se si verificavano delle distruzioni ad opera sua, le ferite inferte all’ambiente non erano poi così profonde e prontamente si cicatrizzavano.
Al giorno d’oggi, a causa delle nuove abilità acquisite dall’uomo per mezzo della moderna tecnologia, le sue azioni hanno una portata qualitativamente e quantitativamente nuova. Non solo il suo potere si è accresciuto e ha un raggio d’azione più ampio rispetto al passato, ma incide in modo completamente diverso all’interno della biosfera e sull’essenza stessa dell’essere umano giungendo perfino a scalfire il concetto di “umanità”.
L’uomo è ora non solo in grado di dominare il mondo ma finanche di distruggerlo. Basti pensare a quello che potrebbe accadere nella malaugurata ipotesi di uno sconsiderato uso delle armi atomiche. Se questa è una mera eventualità, da scongiurare comunque con tutti i mezzi, ben più fondata e tangibile è la minaccia della catastrofe ecologica che tutti noi, giorno dopo giorno, contribuiamo ad alimentare. Non solo con il cattivo uso che facciamo della tecnica ma anche semplicemente con la sua “legittima” e quotidiana applicazione, con l’“effetto cumulativo” che deriva dalla sua continua e costante utilizzazione nella vita di tutti i giorni. In preda all’“assuefazione tecnologica”, non possiamo più fare a meno delle comodità tecnologiche e ne abusiamo. Da ciò consegue lo spreco dei beni che la natura ci ha messo a disposizione e un inevitabile incremento dell’inquinamento ambientale in tutte le sue forme (aumento della concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera, delle onde elettromagnetiche, della produzione dei rifiuti, ecc.). Fenomeni questi che, in un futuro neanche troppo remoto, potrebbero portare all’annientamento di ogni forma di vita sulla terra. Può sembrare paradossale ma è così: l’uso pacifico della tecnica è più difficile da tenere sotto controllo perché, pur non costituendo un pericolo immediato, comporta un lento ma inesorabile degrado dell’ambiente e il saccheggio delle risorse naturali disponibili [7]. L’Umwelt (l’ambiente) è minacciato non da atti generati da una sorta di hybris faustiana, ma da miriadi di processi di per sé insignificanti che, sommandosi l’uno all’altro, col tempo acquistano proporzioni apocalittiche [8].
Dunque, l’uomo costituisce un pericolo non solo per le altre specie viventi ma anche per se stesso. Al di là dei problemi ecologici a cui abbiamo già accennato, e cioè l’inquinamento ambientale e l’esaurimento delle risorse naturali, derivanti dall’utilizzo della tecnica come strumento di dominio della natura, altri ne sorgono dal fatto che l’uomo, oltre a essere soggetto della tecnica, ne è anche l’oggetto. La téchne trova applicazione non solo in ambito extra-umano, e difatti «L’homo faber rivolge a se stesso la propria arte» [9] allo scopo di riprogettarsi con ingegno. Il pensiero va innanzi tutto alla manipolazione genetica senza per questo sottovalutare altre problematiche non meno importanti come quelle derivanti dal controllo del comportamento e dal prolungamento della vita. L’estensione del potere umano ha come maggior rischio il superamento dell’uomo stesso. Il che comporta una sfida estrema al pensiero etico che, in qualche modo, bisogna fronteggiare a meno che non si voglia deliberatamente ignorare il problema aprendo inevitabilmente uno spaventoso abisso con conseguenze inimmaginabili. Il rischio è che, con l’aumentare del suo potere, l’uomo perda di vista i suoi fini. Al massimo di potere potrebbe unirsi il massimo di vuoto, al massimo delle capacità il minimo di sapere intorno agli scopi da egli stesso perseguiti [10]. Si verificherebbe così quella situazione di anomia morale che Jonas designa come “vuoto etico”.
Alle problematiche già evidenziate (il carattere cumulativo degli effetti delle azioni umane, l’uomo come oggetto oltre che soggetto della téchne, il rischio del vuoto etico) se ne aggiunge un’altra: il soggetto delle azioni è sempre più collettivo, più impersonale e, pertanto, sempre più difficile da responsabilizzare [11]. Questo fenomeno va indagato congiuntamente a quello dell’autoriproduzione cumulativa del mutamento tecnologico. Ogni individuo compie delle azioni scarsamente rilevanti dal punto di vista della loro intrinseca pericolosità che, però, sommate a quelle di tutti gli altri individui, danno origine a conseguenze considerevoli. L’interminabile serie causale, col passare del tempo, produce effetti negativi via via più significativi fino ad assumere proporzioni catastrofiche.
L’etica tradizionale non contemplava queste situazioni, teneva conto solo dei comportamenti “individuali” e “non cumulativi” e prendeva in considerazione, ai fini della responsabilità, solo le azioni compiute con “consapevolezza” e “deliberazione”. L’agire collettivo era totalmente al di fuori dei suoi obiettivi.
I problemi che si pongono sono ora: come rendere consapevoli gli uomini dei rischi che il mondo corre?, come responsabilizzarli?, come indurli – e, al tempo stesso, come indurre la scienza – alla moderazione e, se necessario, persino alla rinuncia?
La crisi definitiva dell’uomo prometeico
È opportuno, nel corso dell’indagine circa la necessità di revisione dei principi etici tradizionali, soffermarsi un po’ sul tema della crisi definitiva dell’uomo prometeico [12] e sulla necessità di superamento dell’ideale baconiano.
Oramai, quanto meno nel mondo cosiddetto “civilizzato”, siamo vicini al pressoché totale compimento di quella instauratio magna auspicata da Francis Bacon, ossia alla realizzazione del dominio umano sulla natura che ha come finalità precipue quella di liberare gli individui dal dolore e dai bisogni nonché quella di realizzare l’appagamento dei loro desideri. Ciò che un tempo era considerata un’utopia si sta realizzando giorno dopo giorno. Ma a quale prezzo?
Come ha fatto notare Benjamin Farrington, Bacon è stato profetico nell’aver pronosticato e ispirato la rivoluzione industriale e nell’aver immaginato una nuova età, tecnologica e scientifica, simile a quella attuale. Sennonché – andando oltre le previsioni del grande filosofo – la scienza si è trasformata in una sorta di religione laica portatrice della promessa di un mondo migliore, anzi, di un vero e proprio paradiso in terra preparato dall’uomo per l’uomo. Questi si è sostituito a Dio e ha modellato il mondo a sua immagine e somiglianza. Sfortunatamente Bacon non ha saputo predire le conseguenze negative – a noi oramai chiare ed evidenti – del progresso tecnico-scientifico da lui auspicato. La sua massima per eccellenza era «sapere è potere» e l’uomo contemporaneo l’ha fatta propria utilizzandola in maniera indiscriminata. È duro doverlo ammettere, ma «la violazione della natura e la civilizzazione dell’uomo vanno di pari passo» [13].
Per Jonas la minaccia della catastrofe che incombe sul mondo è dovuta proprio allo smisurato successo incontrato dal programma baconiano. Esso ha un duplice risvolto, economico e biologico. Il successo, considerato dal punto di vista “economico”, ha comportato una crescita ipertrofica della produzione e del consumo. L’incremento per “quantità” e per “genere” della produzione di beni pro capite (al contrario del cosiddetto “sviluppo sostenibile” che ne propugna, invece, il miglioramento “qualitativo”) implica un abnorme sfruttamento delle limitate risorse naturali con conseguente rischio del loro totale esaurimento. Tale rischio è accresciuto anche da un altro tipo di successo, quello “biologico”, costituito dall’esponenziale aumento della popolazione del pianeta. L’incremento demografico reclama ancor più un inarrestabile sviluppo della produzione al fine di poter soddisfare le necessità della popolazione in continua crescita, con conseguente ulteriore saccheggio delle risorse planetarie.
Il successo biologico, manifestatosi con l’esplosione demografica, «non soltanto mette in discussione quello economico, facendo ripiombare dalla breve festa della ricchezza nella quotidianità cronica della povertà, ma minaccia anche di provocare una catastrofe umana e naturale di proporzioni gigantesche. L’esplosione demografica, intesa come problema planetario del ricambio, ridimensiona l’aspirazione al benessere, costringendo l’umanità in via di impauperimento a fare, per sopravvivere, ciò che un tempo era libero oggetto di scelta in vista della felicità: saccheggiare cioè in modo sempre più indiscriminato il pianeta, finché quest’ultimo avrà l’ultima parola e si negherà all’insostenibile domanda. […] Le leggi economiche dell’equilibrio, che nelle condizioni naturali impediscono la reciproca prevaricazione delle singole specie, rivendicheranno ora, venuti meno i meccanismi artificiali di controllo, i loro diritti tanto più temibili in quanto troppo a lungo sarà sfidata la loro tolleranza. Come in seguito un residuo di umanità potrà ricominciare da capo su una terra devastata, non riesce possibile neppure ipotizzare» [14].
Se è vero che l’ideale baconiano pervade il mondo occidentale, non bisogna dimenticare che è parte integrante anche dei sistemi politici ed economici che fino a qualche tempo fa erano i principali antagonisti del capitalismo: quelli che avevano o hanno ancora a fondamento l’ideologia comunista. Anche il marxismo si considera erede diretto del baconianesimo e ne ha accentuato il carattere salvifico. Autodefinendosi il suo esecutore eletto, è anch’esso andato oltre le originarie intenzioni di Bacon facendo della tecnica, al tempo stesso, un culto e un dogma. Da essa si attende la salvezza: per il marxismo «l’importante non è tanto arginarla, quanto piuttosto liberarla dalle catene della proprietà capitalistica per metterla, in vista dell’emancipazione, al servizio della felicità umana. […] Ma quel che va veramente al di là dell’atteggiamento borghese-liberale è la fede quasi religiosa nell’onnipotenza, in senso positivo e normativo della tecnica» [15]. Il progresso tecnico è diventato, dunque, oggi l’oppio dei popoli così come un tempo lo era la religione secondo la concezione marxiana e marxista.
L’“umanizzazione” della natura
Un’ulteriore problematica nasce, poi, dall’affermazione di Marx secondo cui l’uomo “umanizza” la natura mediante il proprio lavoro [16]. Qui “umanizzare” significa due cose opposte: che l’uomo non è più servo della natura ed è finalmente se stesso e che la natura è del tutto asservita all’uomo e, pertanto, non è più se stessa. Difatti, secondo la visione del filosofo di Treviri, con l’avvento del comunismo sarebbe stata soppressa l’opposizione tra uomo e natura risolvendola a favore del primo, facendo cioè in modo che il complesso delle forze naturali venisse messo a disposizione dell’uomo. Jonas considera perciò il concetto di “umanizzazione della natura” un eufemismo ipocrita che indica, in realtà, il suo totale asservimento all’uomo che ha intenzione di sfruttarla in tutti i modi possibili in vista del soddisfacimento dei propri bisogni. Nell’ottica dell’antropocentrismo radicale dell’ideologia marxiana e marxista, la natura “umanizzata” si rivela perciò come la natura alienata a se stessa.
Ernst Bloch [17] dà prova di una maggiore sensibilità antropologica aggiungendo che la felicità dell’uomo dipende anche da un ambiente accettabile. Secondo questo autore la natura “umanizzata” non è soltanto la natura sottomessa all’uomo, ma anche quella a lui “conforme” in quanto luogo in cui si realizza la sua libertà e in cui occupa il proprio tempo libero. Nell’umanizzare se stesso, l’uomo “naturalizza” la natura. Quella di Bloch dovrebbe essere una natura “ipernaturalizzata”, ma è in realtà, secondo Jonas, “denaturalizzata” [18], in quanto comunque “trasformata” e “riorganizzata” in conseguenza dell’intervento dell’uomo. L’“umanizzazione” della natura rivela la sua alienazione e, al contempo, l’alienazione dell’uomo stesso: «Il paradosso di cui Bloch non si rese conto è che proprio la natura non trasformata e sfruttata dall’uomo, la natura “selvaggia”, è quella “umana”, cioè quella che parla all’uomo, mentre la natura che è completamente asservita a lui, è quella “disumana”. Soltanto la vita rispettata nella sua integrità rivela se stessa» [19].
La scienza e la tecnica non sono eticamente neutre
È ormai un’idea acquisita che la scienza e la tecnica non possano più considerarsi al di là del bene e del male ossia eticamente neutre: tale concezione non è più in linea con la realtà odierna [20]. In nome della “libertà di ricerca” – si diceva in passato – la scienza non può subire condizionamenti da parte dell’etica, perché per essa «l’unico valore è il sapere» [21]. O meglio, si ammetteva unicamente l’operatività di un’etica “territoriale”, interna cioè alla collettività di appartenenza che poneva delle regole valide per gli scienziati nei confronti degli scienziati. I precetti a cui dovevano attenersi erano, ad esempio, quelli di operare con onestà e rigore intellettuale (verificare con esattezza i dati degli esperimenti, non falsificarli, ecc.) e di comunicare i propri risultati alla comunità scientifica. Essi non erano chiamati a rispondere delle conseguenze “esterne” nascenti dall’applicazione delle loro scoperte.
La sfera contemplativa era nettamente separata da quella attiva, la teoria dalla prassi, e si distingueva tra scienza “pura” e scienza “applicata”.
Eppure, anche in passato il fare della scienza finiva con l’avere ripercussioni dirette e indirette sul mondo reale. Oggigiorno, però, le distinzioni tra i diversi approcci cognitivi e i vari tipi di scienza sono sempre più sfumate in considerazione dell’accresciuto potere dell’uomo e dell’abnorme estensione della sua sfera d’influenza. Gli stessi esperimenti non sono più innocui come un tempo quando i loro effetti erano confinati nell’ambito ristretto del laboratorio. Basti pensare alle conseguenze di un’esplosione atomica prodotta puramente e semplicemente experimenti causa. Per quanto effettuata per scopi non bellici, essa provoca effetti negativi rilevanti ed estesi tanto in senso spaziale che temporale. Questo e altri casi simili dimostrano che «il mondo stesso è divenuto un laboratorio» [22]. L’ingegneria genetica aggiunge dell’altro, introducendo il rischio che sia l’uomo stesso a fare da cavia, come d’altronde è già avvenuto nei campi di concentramento nazisti [23]. Viene a cadere così il confine tra azione simulata e reale, tra esperimento e realtà, che un tempo era essenziale nell’ambito della ricerca. Che senso ha ormai parlare di scienza “pura” e di scienza “applicata”? Non c’è ramo della scienza in cui le scoperte non siano suscettibili di utilizzazione tecnica; si fa eccezione – forse – solo per l’astronomia e la matematica. Jonas descrive così i rapporti che intercorrono attualmente tra la scienza e la tecnica: «In primo luogo oggi la scienza vive in larga misura del feedback intellettuale della sua stessa applicazione tecnica. In secondo luogo riceve da lì i suoi incarichi: in che direzione cercare, che problemi risolvere. In terzo luogo per risolverli e in generale per progredire ulteriormente utilizza una tecnica avanzata: i suoi strumenti diventano sempre più raffinati. In questo senso anche la scienza più pura partecipa alle conquiste della tecnica, come la tecnica a quelle della scienza. In quarto luogo i costi di questa attrezzatura fisica e del suo funzionamento sono sostenuti in parte dal di fuori: la pura economia della cosa richiede la partecipazione del denaro pubblico o di qualche altro appoggio finanziario e tale fondo di dotazione del progetto di ricerca una volta approvato, benché formalmente non vincolato ad alcuna contropartita, naturalmente avviene in vista di qualche vantaggio futuro in ambito pratico […]. In breve, siamo giunti al punto che i compiti della scienza sono determinati in misura crescente da interessi esterni anziché dalla stessa logica della scienza o dalla libera curiosità del ricercatore» [24]. E cosa dire a proposito dei rapporti tra ricerca e mercato?: «La tecnica […] è passata nelle mani dei commercianti e degli industriali che sono meno inclini agli scrupoli degli scienziati sensibili. O meglio: ricercatori meno sensibili divengono essi stessi impresari che dispensano i risultati della loro ricerca per trarne guadagno. In questo modo, la ricerca diventa ufficialmente un affare di mercato, rinuncia in ogni forma al salvacondotto della teoria» [25]. Pertanto «l’alibi della teoria pura e “disinteressata” è caduto e la scienza è stata posta al centro del regno dell’azione sociale, dove chiunque agisca deve rispondere dei suoi atti» [26]. Dall’inizio dell’epoca moderna, teoria e prassi muovono verso una sempre più intima fusione. L’“insularità teorica” non è più sostenibile e non serve più giustificare il comportamento dello scienziato che non può ora esimersi dal valutare eticamente le conseguenze delle sue azioni nel mondo reale.
L’esigenza di una nuova etica
In uno scenario come quello descritto, è palese l’inadeguatezza della morale tradizionale. Per salvare il mondo dalla catastrofe, gli uomini hanno bisogno di una nuova etica che abbia portata universale. Non certo del “sacro”, definito da Jonas come «la categoria più danneggiata dall’illuminismo scientifico» [27]. Con un’ulteriore precisazione: «la religione come forza che foggia lo spirito non c’è più, e non può più essere chiamata in aiuto dell’etica. […] E mentre della fede si può dire che c’è o non c’è, si ritiene che l’etica debba esserci» [28]. Oltre tutto non si può parlare tout court di “religione”, ma di “religioni” e su di esse non si può fare certo affidamento, sia perché dividono gli uomini, sia perché in alcuni casi addirittura generano o alimentano i conflitti, come d’altronde dimostrano le vicende degli ultimi tempi. La nuova etica deve costituire un substrato comune a tutti i popoli e per questo deve reggersi su basi mondane e cioè «sulla ragione e sulla propria forza filosofica» [29]. Deve avere un solido fondamento e disporre di poche e chiare norme, facilmente percepibili, in modo da essere condivise e, soprattutto, “sentite” da tutti. Secondo le parole del suo teorizzatore, essa «deve trovare la sua teoria, in base alla quale possa essere deciso ciò che si deve e non si deve fare. Vale a dire: prima della questione della “forza”, viene il problema della “capacità” intuitiva e del valore conoscitivo che possa rappresentare il futuro nel presente» [30]. Essa deve ripristinare quella normatività che una parte del sapere, ovvero la scienza, ha messo pericolosamente in crisi spingendo gli uomini verso un nichilismo «in cui la condizione di quasi-onnipotenza convive con quella di quasi-vacuità, la più grande abilità con un sapere minimo» [31].
Se l’etica ha la funzione di regolare il potere di agire, quella prospettata da Jonas deve fronteggiare l’enorme potere acquisito dall’uomo con la tecnologia e, dunque, essere nelle condizioni di poterlo controllare e incanalare in una direzione positiva. Tale può definirsi solo quella che è in grado di garantire la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra [32].
La nuova etica deve possedere un’ampiezza siffatta da giungere fin dove giungono le nostre capacità. E anche qualcosa di più: essa deve dar vita ad un nuovo genere di umiltà, «un’umiltà che, a differenza di quella precedente, non è dovuta alla limitatezza, ma all’ampiezza eccessiva delle nostre capacità, cioè alla preminenza della nostra capacità di agire su quella di prevedere, valutare e giudicare. Di fronte alla possibilità quasi escatologica degli attuali processi della tecnica, il fatto stesso di conoscerne le conseguenze ultime diventa una ragione per stabilire con responsabilità dei limiti» [33].
In altre parole, il nuovo sistema morale non dovrà più considerare il progresso un feticcio e dovrà imporre alla scienza e alla tecnica delle rinunce, se queste sono indispensabili, al fine di poter permettere all’uomo di continuare a vivere su questa terra con dignità, senza dover rinnegare la propria autentica intima essenza.
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Martedì 8 Ottobre alle ore 19, in Via Battiato n.6 - Catania
Presentazione del libro SUL FILO ROSSO DEL TEMPO di Alessandra Ciattini
Ne parlano con l’autrice: Pina La Villa (associazione "Olga Benario") e Giovanni Messina (docente universitario)
A seguire CENA SOCIALE
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Venerdì mattina 4 ottobre 2024 è morta a 89 anni Lea Pericoli, che fu una forte tennista italiana tra gli anni Cinquanta e Settanta, e poi un’autorevole giornalista e telecronista, la prima donna a commentare il tennis in Italia.
Pericoli era nata a Milano nel marzo del 1935, ma trascorse l’infanzia in Africa tra Etiopia, Eritrea e Kenya, prima di tornare in Italia a diciassette anni. Qui cominciò la sua carriera da tennista, durante la quale vinse diversi tornei internazionali sia in singolare sia in doppio (oltre a 27 campionati italiani, un record) e per quattordici anni fu la miglior tennista italiana del ranking, tra il 1959 e il 1976.
Dopo il ritiro, diventò un’apprezzata commentatrice televisiva, la prima donna a fare una telecronaca di una partita di tennis in Italia, per l’emittente Telemontecarlo (che era trasmessa anche in Italia). Per anni inoltre intervistò i tennisti e le tenniste in campo agli Internazionali, il principale torneo tennistico italiano che si gioca ogni anno a Roma.
Era molto apprezzata per la sua eleganza sia quando giocava, sia quando raccontava il tennis: Gianni Clerici, il più noto giornalista a occuparsi di tennis in Italia, la soprannominò per questo La Divina. Anticipò i tempi in molte cose, come quando fu una delle prime donne a indossare la gonna corta su un campo da tennis. Il suo modo di giocare, combattivo ma elegante, e il suo modo di vestirsi all’avanguardia la fecero diventare molto popolare e contribuirono al crescente successo del tennis in Italia.
Lo scorso anno, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, parlò tra le altre cose della scelta dei vestiti: «Ho giocato con tenute estremamente coraggiose, anche se sapevo scegliere i momenti. Se dovevo affrontare le più forti, tipo Billie Jean King, la numero uno, che peraltro una volta ho battuto, stavo più sul classico. Non volevo rischiare critiche, essere accusata di distrazioni, di pensare più all’abbigliamento che al gioco. Diciamo che ho sempre saputo osare ma con intelligenza».
È anche nota per il suo impegno e per aver prestato il volto in alcune campagne per la ricerca contro i tumori: lei stessa ne ebbe due, un carcinoma all’utero nel 1972 (quando ancora giocava) e un tumore al seno nel 2012, e guarì da entrambi.
Fonte: Il Post.
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Tutti i cittadini sono invitati.
ASSEMBLEA PUBBLICA "NO alla discarica, NO alle ipocrisie"
Giovedì 10 ottobre 2024, ore 18:00 Sala "Elite" , via Degli esportatori, 28 , Lentini.
#comunelentini #ComunediLentini #bastamunnizza
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On October 6, Tunisians will head to the polls for the first round of a presidential election that opposition critics say is rigged in favour of President Kais Saied and could sound the death knell for Tunisia’s democracy.
Just two candidates have been approved to run against the incumbent in Sunday’s poll: left-wing nationalist Zouhair Magzhaoui, who is widely regarded as a paper candidate supportive of Saied, and the jailed leader of the liberal Azimoun party, Ayachi Zammel.
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Weeks before the election, Zammel received two prison sentences – one for 20 months and another for six months – for falsifying paperwork relating to his candidacy. On October 1, he was sentenced to a further 12 years in prison in four cases related to voter endorsements. He has been behind bars since early September and is expected to remain there during the election. He says the charges against him are false and politically motivated.
In addition to Zammel, many of the country’s better-known politicians and party leaders who hoped to oppose Saied in the election have either been jailed or barred from running by the Independent High Authority for Elections (ISIE) – a supposedly independent electoral commission that many say became an extension of the presidency under the wide-ranging reforms introduced by Saied since his power grab of July 2021.
The ISIE declared 14 of the 17 candidates who applied to participate in the election “ineligible”. Three of them – former ministers Imed Daimi and Mondher Znaidi and opposition leader Abdellatif Mekki – won their appeals against the ISIE’s decision before Tunisia’s Administrative Court, which is widely seen as the North African country’s last independent judicial body, since Saied dissolved the Supreme Judicial Council and dismissed dozens of judges in 2022. Advertisement
Yet, the ISIE dismissed the ruling and declared that the approved candidate list, including just the three names – Magzhaoui, Zammel and Saied – was final.
Soon after the ISIE’s decision in late September, the Saied-controlled General Assembly passed a new law officially stripping the Administrative Court of all electoral authority, effectively ending independent judicial oversight of candidate selection and other election-related issues.
The electoral turmoil, and the undermining of the Administrative Court, have helped trigger the return of public protest to the streets of the Tunisian capital, Tunis.
Activists from across the political spectrum have joined demonstrations calling for free and fair elections as well as an end to the crackdown on civil liberties and the criminalisation of any speech critical of Saeid and his supporters. The widespread protests were the first – other than those in support of Palestine – that the country has witnessed in several years.
However, the recent bouts of public unrest and open criticism of the president remain exceptions to the rule. Many critical voices in the country have been silenced through laws and policies designed to curtail free expression. The introduction and frequent application of Decree 54, a measure criminalising any online speech subsequently deemed false, for example, led to the imprisonment of many journalists and online critics and helped shape a media landscape broadly supportive of the president.
Meanwhile, President Saied continues to enjoy support from some Tunisians who remain disillusioned with traditional politics and politicians and view him as an antidote to what they see as the source of the country’s many problems: self-interested and publicity-hungry politicians who put their interests and the interests of their parties over the needs of the people.
There are also many Tunisians who consider the system broken and say they are no longer interested in participating in electoral politics. In Tunisia’s 2022 parliamentary runoffs, just 11 percent of registered voters turned out to vote.
Against this backdrop of widespread public disillusionment, a highly controlled media and a field of just three candidates, few doubt Sunday’s vote will result in anything other than an overwhelming victory for the incumbent. protest
Let’s take a closer look at the three candidates:
Kais Saied: The incumbent
Party: Independent
Age: 66
Background:
A former law professor, Saied had no political or campaigning experience before he was elected president in 2019. He won that election on a ticket to end corruption and promote equity, largely buoyed by a groundswell of support from young voters. He promised to promote social justice, while saying access to healthcare and water are part of national security and that education would “immunise” youth against “extremism”. Before the run-off in that election, he refused to campaign against his then-imprisoned opponent, Nabil Karoui, saying it would “give him an unfair advantage”.
Once elected president, however, Saied assumed a much less democratic stance. In July 2021, he shuttered parliament and dismissed the prime minister, beginning to rule by decree while overseeing the dramatic rewriting of the constitution. A new parliament, with greatly reduced powers, was reintroduced in March 2023, but is yet to offer any meaningful opposition to the president.
Throughout his first term as president, alongside introducing wide-reaching reforms that helped him consolidate power, he also waged lawfare against all his political opponents, but especially self-styled Muslim Democrats from the Ennahdha Party. In April 2023, the party’s co-founder, leader and speaker of the former parliament, Rached Ghannouchi, was arrested and sentenced to a year in prison on charges of incitement against state authorities. He later received another three-year sentence over accusations that his party received foreign contributions. Many other high-profile party members received fines and prison sentences on similar charges. In September 2024, at least 97 Ennahdha members were arrested and presented with conspiracy charges and other charges under the “counterterrorism” law.
Rights groups have been vocal in their criticism of Saied, lambasting his crackdown on civil society, his criminalisation of speech critical of his administration and the brutal treatment of irregular Black migrants and refugees under his rule.
Ayachi Zammel
Party: Azimoun
Age: 47
Background:
The previously little-known Ayachi Zammel remains on the ballot paper despite being imprisoned.
Though unusual, this is not the first time a Tunisian politician has fought a presidential battle from a jail cell. In 2019, Kais Saied’s final round challenger, media magnate Nabil Karoui, oversaw almost his entire campaign from prison after being detained on corruption charges. Karoui later absconded while on bail and his whereabouts remain unknown.
Before his arrest in early September, Zammell’s political career was relatively straightforward.
Since entering politics as a member of former Prime Minister Youssef Chahed’s Tahya Tounes party in 2019, Zammel has pursued a generally centrist, liberal line and has avoided the extremes of Tunisian politics. Advertisement
After quitting Tahya Tounes over “internal differences” in 2020, he joined the National Bloc as an independent MP in October 2020, and went on to serve as chairman of the Health and Social Affairs Committee during the COVID-19 pandemic.
Like many, Zammell initially welcomed the dissolution of the parliament in 2022, eight months after President Saied had suspended it. However, by September of the same year, he had grown critical of Saied’s actions.
In 2022, Zammell founded the Azimoum party and served as its leader until August 2024, when he resigned from the role to stand as a candidate for president.
Zouhair Magzhaoui
Party: Echaab Movement (People’s Movement)
Age: 58
Background:
Originally a member of the People’s Unionist Progressive Movement, Magzhaoui has led the Echaab movement since 2013 after the two parties merged the year before. The party’s previous leader, Mohamed Brahmi, resigned upon the merger and was assassinated two weeks later.
Brahmi’s assassination, like that of fellow left-wing politician Chokri Belaid, assassinated the same year, remains unsolved.
Despite being a member of the Tunisian parliament, the Assembly of the Representatives of the People (ARP), from 2014 until its dissolution in 2022, Magzhaoui has repeatedly defended the president’s actions, including his redrafting of the constitution, describing them as necessary to protect the state from corruption and mismanagement by the country’s political elite.
Speaking on local radio two years after what many describe as the president’s auto coup, he told listeners: “July 25 [the date used to refer to the president’s power grab] was hardly a whim of Kaïs Saïed but a satisfaction of the will of the people.” Advertisement
Magzhaoui has been highly critical of political Islam in general and specifically the Ennahdha party, which he described in 2021 as corrupt and serving “the interests of the mafias and lobbies”. Previously, during the final session of the former parliament, he twice lent his signature to motions of censure against Parliamentary Speaker Ghannouchi.
A social conservative, Maghzaoui has criticised Tunisia’s small LGBTQ community and has often aligned with socially conservative positions in opposition to civil society organisations calling for human rights reforms.
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The Dominican Republic says it plans to expel as many as 10,000 Haitian migrants per week, despite a longstanding call from the United Nations to end forced returns to Haiti amid a surge in gang violence there.
Homero Figueroa, a Dominican presidential spokesman, said on Wednesday that the “operation aims to reduce the excessive migrant populations detected in Dominican communities”.
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UN extends Haiti security mission for another year as violence soars
At least 3,661 killed in ‘senseless’ Haiti gang violence this year: UN
Over 700,000 internally displaced in Haiti as humanitarian crisis deepens
Figueroa added that the expulsions to Haiti, which shares a border with the Dominican Republic on the Caribbean island of Hispaniola, would begin “immediately”.
The announcement comes just days after the UN reported that at least 3,661 people had been killed in Haiti in the first half of 2024 amid the “senseless” gang violence that has engulfed the country.
Haitian leaders warned last week that they are “nowhere near winning” the battle against the armed groups, which for months have been carrying out attacks and kidnappings across the capital of Port-au-Prince and in other parts of the country.
The violence has internally displaced more than 700,000 Haitians, according to UN figures, and nearly half of the population — more than 5.4 million people — also faces acute hunger.
Haiti has reeled from years of violence as armed groups — often with ties to the country’s political and business leaders — have vied for control over territory.
But the situation worsened dramatically at the end of February, when the gangs launched attacks on prisons and other state institutions in Port-au-Prince.
The surge in violence prompted the resignation of Haiti’s unelected prime minister, the creation of the transitional presidential council and the deployment of the UN-backed multinational police deployment, led by Kenya.
But the mission — formally known as the Multinational Security Support Mission (MSS) — has been under-funded and its officers under-resourced.
So far, the deployment has done little to wrestle control away from the gangs, which are believed to control about 80 percent of Port-au-Prince.
The Dominican government said it took the decision to expel Haitian migrants who do not have immigration status in the country in light of the international community’s “slowness” in restoring stability in Haiti.
“We warned at the United Nations that either it and all the countries that had committed themselves [to helping Haiti] act responsibly in Haiti, or we will,” President Luis Abinader said.
Abinader has taken a hardline against migration from Haiti, expelling 250,000 undocumented Haitians in 2023 alone.
The plan announced on Wednesday would more than double that number in a year — theoretically exceeding the number of Haitians actually living in the Dominican Republic. More than 495,815 Haitians call the Dominican Republic home, according to official statistics.
Rights groups have condemned the expulsions, accusing the Dominican authorities of enacting a racist immigration policy that invokes a wider, historical trend of anti-Haitian discrimination.
A majority of the population in the Dominican Republic identifies as mixed race, while Haiti has a predominantly Black population. Advertisement
Haitian migration to the Dominican Republic began en masse following the US occupation of Haiti in 1915. But while many Haitians have lived in the country for decades, fear-mongering around the “Haitianisation” of Dominican society persists.
Some critics even accuse the Dominican government of racially profiling Black Dominicans in its expulsions.
Amid a wave of deportations in 2022, William Charpantier — a coordinator for MENAMIRD, a national roundtable for migrants and refugees in the Dominican Republic — told Al Jazeera that “all those who look like Haitians” were being rounded up in the streets and detained.
“These deportations have resulted in the separation of families. People with valid documents have been deported, people who were born here in the Dominican Republic have been deported,” Charpantier said at the time.
“These aren’t deportations. It’s persecution based on race.” Advertisement
As the violence and instability in Haiti escalates, the UN’s refugee agency (UNHCR) has urged governments around the world not to deport Haitians back to the country.
“Haitians’ lives, safety and freedom are threatened by a confluence of skyrocketing gang violence and human rights violations,” Elizabeth Tan, director of UNHCR’s division of international protection, said in March.
“UNHCR reminds States of the imperative to ensure Haitians who may need international refugee protection receive it,” Tan said. “We also reiterate our call to all States to not forcibly return people to Haiti, including those who have had their asylum claims rejected.”
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Bambini e cani
Le recenti parole di papa Bergoglio sull’inverno demografico in Italia hanno causato una serie di reazioni critiche. Gli italiani preferiscono i cani ai bambini, secondo Bergoglio; i detrattori di tale posizione individuano nella perenne crisi economica la causa prima del depopolamento.
La tesi di Bergoglio pecca di epidermica superficialità, ma anche l’ipotesi ecomicistica non è da meno. Se fosse vero che la condizione economica determina la possibilità di avere figli le società poverissime sarebbero depopolate. La verità è di altro genere, l’occidente muore e decade a causa dell’economicismo individualista.
L’occidente è il regno dell’individualismo, in media gli occidentali sono allevati nel mercato, dal mercato e per il mercato. La finalità è produrre in serie uomini e donne la cui esistenza non deve avere scopo alcuno, ma come beestie allevate in modo intensivo devono produrre e lavorare senza creare nulla di nuovo (figli e cultura). Manca il senso, il nichilismo erode le esistenze e le riduce a presenze passive, la cui massima ambizione è soddisfare ogni capriccio. L’iperstimolazione è una forma di passività indotta che non permette di “progettare”, ma solo di subire il proprio tempo storico. L’esistenza non ha nessun valore politico. La politica inizia con il riconoscimento del legame con la comunità. La relazione educa al dono e apre al futuro. La dimensione del futuro è la condizione che permette di lottare, capire e specialmente, fa sorgere l’esigenza di lasciare una traccia biologica o spirituale del proprio passaggio.
In questo contesto fondare famiglie o impegnarsi stabilmente in attività culturali diviene “il senso” che regge il quotidiano che si radica nel passato, vive nel presente e si sporge verso il futuro. L’occidente non ha fondamento veritativo e onto-assiologico, è dominato dal capitalismo, il quale è mortifero per sua natura: consuma, guerreggia e rende sterili nella mente e nel corpo.
La comunità, in tal modo, non ha direzione, conosce solo il dominio del mercato a cui si è assuefatta senza percepirne l’ordinaria follia. Non si fanno figli, perché non vi è la cultura del dono e dell’impegno. La precarietà non è solo il modello economico imperante, è la normalità dell’instabilità affettiva incentivata dal mercato e dai social. Si assediano e si denigrano nei fatti le relazioni stabili, si esaltano le relazioni pronte ad evaporare nello spazio di un mattino. Si favorisce la cultura della solitudine nella quale si affonda tra le miserie dell’abbondanza e patologie psichiatriche assolutamente nuove, dinanzi alle quali si finge un senso di sbigottita incredulità.
La cultura del mercato ha lavorato in questi decenni per produrre individui che vivono di attimi pronti a evaporare via e incapaci di “pensare” il senso e la progettualità. Il caos magmatico della movida è l’orizzonte di giovani e non giovani determinati a non voler rinunciare nulla. La movida è l’occidente in scena sul palcoscenico del nichilismo. L’ombrello del mercato non è solo una cappa che oscura la coscienza sociale, è una visione del mondo, in cui non si cercano le ragioni per tendere verso “la vita”, ma si fugge dalla relazione portatrice di vita per dedicarsi unicamente alle opportunità che appaiono nella propria esistenza come “mercato vuole e desidera”.
La cultura dell’individualismo e la legittimazione sociale da cui è sostenuta è la causa profonda dell’inverno demografico. L’ipertrofia del mercato ha prodotto la cultura dell’autoidolatria senza freni in modo trasversale. Ricchi e poveri, a prescindere dal censo, non si sposano e non fanno figli. Sono accumunati dall’egoismo godereccio e amorale divenuto l’unico fine dell’esistenza. Il fascistissimo detto “Me ne frego” è il sangue del capitale, è l’anima che desertifica e riduce in polvere le esistenze. Per invertire il declino, è necessario fondare una nuova cultura comunitaria nella quale l’economia è il mezzo per costruire relazioni politiche e sociali.
La precarietà economica è solo una parte del problema che cela la profondità della crisi etica e politica, in cui si dibatte l’occidente. Le leggi e i provvedimenti che cercano di risolvere il problema della denatalità con gli incentivi economici, vorrebbero curare il dramma di un continente destinato all’estinzione con i mezzi che hanno causato il declino in corso. Non saranno solo gli incentivi economici a risolvere il problema; senza la cultura della maternità e della paternità nulla sarà possibile.
La maternità e la paternità sono uno scandalo per la cultura liberale, in quanto instaurano relazioni gratuite e ciò non è ammissibile per il capitalismo. Il capitalismo ha lavorato per rimuovere la gratuità dell’amore e dell’amicizia per sostituirli con il calcolo dei soli interessi privati. Bergoglio non ha osato nominare il problema reale e questo ci dice non poco sulle ambiguità della Chiesa.
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SAN VITO LO CAPO (TRAPANI), 4 OTT. Torna a San Vito Lo Capo Tempuricapuna, la rassegna dedicata al pesce capone, all’undicesima edizione, che si svolgerà nella cittadina da venerdì 11 a domenica 13 ottobre per celebrare il pesce azzurro dalle grandi proprietà nutrizionali, conosciuto in italiano come lampuga, che in questo periodo si pesca nelle acque del territorio. Il programma prevede degustazioni, incontri, cooking show e spettacoli per un fine settimana alla scoperta del gusto e delle tradizioni di questo pesce pelagico. La rassegna è organizzata dal Comune di San Vito Lo Capo in collaborazione con l’agenzia Feedback.
Ogni giorno nella tendostruttura allestita sulla spiaggia di San Vito Lo Capo (altezza via Savoia) Tempu ri manciari: le degustazioni organizzate in collaborazione con l’Associazione pescatori di San Vito Lo Capo a base di capone e non solo, disponibili venerdì solo a cena, mentre sabato e domenica sia a pranzo che a cena. Nel menu, del costo di 15 euro, busiate al pesto trapanese, capone fritto, melone giallo, un dolce siciliano e un bicchiere di vino. Nello stesso luogo gli appuntamenti di Tempu ri storie, sapuri e pignate, i cooking show ad ingresso libero che racconteranno ricette ispirate al capone, ma anche le tradizioni di pesca ad esso legate. Non solo degustazioni ma anche momenti di spettacolo: ogni sera, in piazza Santuario, concerti e show gratuiti.
Sabato e domenica mattina alle ore 10 è Tempu ri mircatu: i colori, i profumi e i suoni del mercato del pesce rivivono davanti agli occhi dei visitatori che avranno la possibilità di conoscere le diverse specie ittiche, le ricette della tradizione e le storie dei pescatori locali ma anche di partecipare ad un’asta pubblica per acquistare il pescato del giorno. Il Capone
La lampuga, o capone, è un pesce pelagico d’alto mare presente in tutto il Mediterraneo. Si pesca tra agosto e dicembre e si consuma fresco. Vive a stretto contatto con il fondo marino per poi risalire dalle profondità nel mese di settembre. Il suo nome deriva dalla forma del capo molto pronunciata.
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Giovedì 3 ottobre 2024 i governi di Regno Unito e Mauritius, un paese insulare africano che si trova nell’oceano Indiano, hanno annunciato uno storico accordo per la cessione a Mauritius dell’arcipelago delle isole Chagos. Finora l’arcipelago faceva parte del Territorio Britannico dell’Oceano Indiano (o BIOT, dalla sigla in inglese), ed era da decenni al centro di una disputa territoriale fra i due paesi. L’arcipelago si trova geograficamente molto più vicino a Mauritius, e in epoca coloniale le isole erano amministrate assieme dal Regno Unito, che però nel 1965 aveva staccato le Chagos da Mauritius per creare il Territorio Britannico dell’Oceano Indiano. Mauritius rivendicava la propria sovranità sull’arcipelago fin dal 1968, l’anno in cui dichiarò la propria indipendenza dal Regno Unito.
L’arcipelago delle Chagos è costituito da una sessantina di isole e isolotti piccoli perlopiù disabitati: il più grande fra loro, l’atollo Diego Garcia, ha però una grande importanza strategica per il Regno Unito e gli Stati Uniti, che hanno realizzato una grossa base militare che gestiscono congiuntamente. Gli unici abitanti delle Chagos sono i militari e le altre persone occupate nella base militare, e l’isola è quasi del tutto inaccessibile alla popolazione civile e ai media, motivo per cui è descritto come uno dei posti più segreti al mondo. La sua cessione è quindi considerata particolarmente significativa per il Regno Unito.
L’accordo raggiunto per la cessione dell’arcipelago a Mauritius prevede che la base militare sull’atollo Diego Garcia resti operativa e gestita almeno inizialmente dal Regno Unito, in collaborazione con gli Stati Uniti. Le modalità con cui questo dovrebbe avvenire vanno comunque ancora definite: l’accordo annunciato giovedì dovrà concretizzarsi in un trattato che le due parti si sono impegnate a finalizzare nel minor tempo possibile.
Fonte: Il Post.
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The commander-in-chief of Iran’s Islamic Revolution Guard Corps (IRGC), Maj-Gen Hossein Salami, stood in front of a large banner in a war room as he used a telephone to order the launch of about 200 ballistic missiles at Israel on Tuesday night, according to a video clip published by Iranian media.
The banner featured photos of the three men whose deaths he said Iran was seeking to avenge with the major attack - Hamas political leader Ismail Haniyeh, who was killed in Tehran in July in an attack that Iran blamed on Israel, and Hezbollah leader Hassan Nasrallah and IRGC Quds Force operations commander Brig-Gen Abbas Nilforoushan, who were killed in an Israeli air strike in Beirut last week.
The IRGC claimed the barrage included Fattah hypersonic missiles that took 12 minutes to reach Israel and that they successfully hit targets including three Israeli airbases and the headquarters of the Mossad spy agency.
However, the Israel Defense Forces (IDF) said most of the missiles were “intercepted by Israel and a defensive coalition led by the United States”, and that there were a “small number of hits” in central and southern Israel.
Shortly after the attack, a massive banner was raised in Tehran’s Palestine Square, featuring missiles flying towards buildings shaped like a Star of David and the words “The beginning of the end of Zionism”. Wana/Reuters An anti-Israel banner saying, “The beginning of the end of Zionism," is displayed on a building in Tehran, Iran (2 October 2024)Wana/Reuters
Iran had appeared to show restraint after Haniyeh’s assassination - but this inaction became a source of humiliation when Israel dealt a series of devastating blows to Iran’s closest and most longstanding regional ally Hezbollah, culminating in the air strike on Friday that killed Nasrallah and Nilforoushan.
Iranian weapons, training and funding have been pivotal to Hezbollah’s transformation into Lebanon’s most powerful armed force and political actor since the IRGC helped establish the group in the 1980s.
Before this month, Iranian leaders had hoped that a war of attrition with Hezbollah would help wear down the Israeli military, which is still fighting a war against Hamas in Gaza.
They also relied on Hezbollah and its massive arsenal of rockets and missiles to serve as a major deterrent against direct Israeli attacks on their country’s nuclear and missile facilities.
President Masoud Pezeshkian, who was elected in July, accused Israel of trying to provoke Iran into a regional war that would also draw in the US.
"We also want security and peace. It was Israel that assassinated Haniyeh in Tehran," he was quoted by Iranian media as saying during a visit to Qatar on Wednesday.
"Europeans and the US said that if we do not act, there will be a peace in Gaza in one week. We waited for them to have peace but they increased their killing."
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Explained: What we know about Iran’s missile attack on Israel
Analysis: How could Israel respond, and what might Iran do then?
Explained: What is Israel’s Iron Dome missile system and how does it work?
Many hardline conservatives in Iran had been growing uneasy about the country’s lack of action against Israel.
Several commentators on state TV - which is controlled by the Supreme Leader, Ayatollah Ali Khamenei, and the IRGC - argued that the decision to hold back from seeking revenge for Haniyeh’s killing had emboldened Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu to attack Iran’s interests and allies in Lebanon.
After Tuesday’s missile attack, the chief of staff of the Iranian Armed Forces Maj Gen Mohammad Baqeri stated that the time for “patience and restraint” was over.
“We targeted military and intelligence sites in Israel and deliberately refrained from hitting economic and industrial locations,” he said. “However, if Israel retaliates, our response will be more forceful.”
The missile attack reflects a growing concern among Iranian leaders that remaining silent after Israel’s attacks would portray them as weak and vulnerable - both domestically and in the eyes of their regional allies in the so-called “Axis of Resistance” which includes Hezbollah and Hamas. IRIB Screengrab from Iranian state media showing the commander-in-chief of Iran’s Islamic Revolution Guard Corps (IRGC), Maj-Gen Hossein Salami (2nd right), ordering a ballistic missile attack on Israel (1 October 2024)
Iran and Israel have pursued a shadow war for decades, adhering to a policy of “no war, no peace”. However, it now appears that this status quo is ending.
Israel has vowed to respond severely, with Netanyahu warning that "Iran made a big mistake and it will pay for it".
There are also indications of a shift in tone and strategy from the US.
In April, President Joe Biden urged restraint after Israeli and US-led forces shot down most of the 300 drones and missiles that Iran launched at Israel in retaliation for an air strike on the Iranian consulate in Syria that killed several top IRGC commanders. Israel heeded the US call and responded by launching a missile that hit an Iranian air defence battery in central Iran.
But this time, Biden’s National Security Adviser Jake Sullivan warned there would be “severe consequences” for the Iranian attack and that the US will “work with Israel to make that the case”.
Israeli media cited Israeli officials as saying on Wednesday that Israel was preparing for retaliatory strikes on Iran “within days”, and that they would target “strategic sites”, including the country’s vital oil facilities.
The officials also warned that Iran’s nuclear facilities would be hit if it made good on its threat to strike back at Israel.
Senior Iranian officials have asserted that they consider their retaliation for the killing of Haniyeh, Nasrallah and Nilforoushan to be over unless they are provoked further.
Foreign Minister Abbas Araghchi also said he had conveyed a message to the US through the Swiss embassy in Tehran warning it “not to intervene”.
He cautioned: “Any third country that assists Israel or allows its airspace to be used against Iran will be considered a legitimate target.”
The US has approximately 40,000 troops stationed in the Middle East, with many deployed in Iraq and Syria. These troops could be threatened by Iran-backed Shia militias in both countries.
Iran must now brace itself for the Israeli response and hope its gamble pays off.
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Dall’8 giugno e fino al 23, a Ortigia (Siracusa) in via Roma 30 - da Spazio30 Ortigia - collettiva di Bertrand/ Lasagna/Mirabile
Una collettiva di pittura , che spazia dal figurativo all’astrazione, il titolo prende spunto da una citazione del libro di Francesco Antonio Lepore (la bestemmia del silenzio), a proposito di un libro di Milan Kundera (la vita è altrove) dove si parla di silenzio assordante ”solo il vero poeta sa che cosa sia l’immenso desiderio di non essere poeta, il desiderio di abbandonare la casa degli specchi, in cui regna un silenzio assordante”
In expo:
Bertrand / Lasagna / Mrabile
Spazio 30, Via Roma 30, Siracusa. Dall’8 Giugno 2012
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A Niscemi la Carovana antimafie e No MUOS
La Carovana contro tutte le mafie alza il tiro contro il dilagante processo di militarizzazione del Mezzogiorno. Lunedì 4 giugno, Niscemi ospiterà la tappa chiave siciliana dell’evento internazionale promosso da Arci, Libera e Avviso Pubblico con la collaborazione di Cgil, Cisl, Uil, Banca Etica, Ligue de L’Enseignement e Ucca. L’appuntamento è per le ore 17 per un giro di conoscenza della “Sughereta”, la riserva naturale in contrada Ulmo sono in corso i devastanti lavori di realizzazione di uno dei quattro terminali terrestri del MUOS, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare delle forze armate Usa. Alle 18, proprio di fronte ai cantieri i quella che nelle logiche dei Signori di Morte darà l’arma perfetta per i conflitti del XXI secolo, Comitati No MUOS, giornalisti, ricercatori ed esponenti del volontariato denunceranno in diretta streaming la rilevanza criminale e criminogena dello strumento militare. Poi, alle 20, tutti in piazza per un happening di parole, suoni e immagini per ribadire il No al MUOS e per un Mediterraneo di pace, con un legame ideale con la straordinaria stagione di manifestazioni, 30 anni fa, contro i missili nucleari Cruise di Comiso.
Saranno in tanti a giungere a Niscemi per testimoniare la centralità della lotta contro le disumanizzanti tecnologie di guerra che Usa e Nato puntano a installare in Sicilia (oltre al MUOS, gli aerei senza pilota Global Hawk e Predator). Da Paolo Beni (presidente nazionale Arci) ad Alessandro Cobianchi (responsabile nazionale Carovane antimafie), da Luigi Ciotti (presidente Libera) a Giovanni Di Martino (vicepresidente di Avviso Pubblico) e Antonio Riolo (segreteria regionale Cgil). E i giornalisti Nino Amadore, Oliviero Beha, Attilio Bolzoni e Riccardo Orioles con i musicisti Toti Poeta e Cisco dei Modena City Ramblers. Ma saranno soprattutto le ragazze e i ragazzi dei Comitati No MUOS sorti in Sicilia ad animare l’evento e raccontare la loro voglia di vivere liberi dall’orrore delle guerre e dalle micidiali microonde elettromagnetiche. “Il 4 giugno, così come è stato lo scorso 4 aprile a Comiso e il 19 maggio a Vittoria, ricorderemo attivamente il sacrificio di Pio la Torre e Rosario Di Salvo, vittime del connubio mafia-militarizzazione”, spiega Irene C. del Movimento No MUOS di Niscemi. “Dalla realizzazione della base nucleare di Comiso all’espansione dello scalo di Sigonella, l’infiltrazione nei lavori delle grandi organizzazioni criminali è stata una costante. Ciò sta avvenendo nella più totale impunità pure per i lavori di realizzazione del sistema satellitare di Niscemi”. Le basi in cemento armato su cui stanno per essere montate le maxiantenne del MUOS portano la firma della Calcestruzzi Piazza Srl, un’azienda locale che a fine 2011 è stata esclusa dall’albo dei fornitori di fiducia dell’amministrazione provinciale di Caltanissetta e del Comune di Niscemi. I provvedimenti sono stati decisi dopo che la Prefettura, il 7 novembre, aveva reso noto che a seguito delle verifiche disposte dalle normative in materia di certificazione antimafia erano “emersi elementi tali da non potere escludere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società”. Secondo quando evidenziato dal sen. Giuseppe Lumia (Pd), il titolare de facto, Vincenzo Piazza, apparirebbe infatti “fortemente legato al noto esponente mafioso del clan Giugno-Arcerito, Giancarlo Giugno, attualmente libero a Niscemi”. Ciononostante, le forze armate italiane e statunitensi non hanno ritenuto di dover intervenire per revocare il subappalto alla Calcestruzzi Piazza. L’1 aprile 2012, i titolari dell’azienda hanno deciso di rispondere ai presunti “detrattori”. Con un colpo ad effetto, hanno annunciato la chiusura dell’azienda e il licenziamento degli otto dipendenti con contratto a tempo indeterminato. “Dobbiamo interrompere il rapporto di lavoro a causa dei gravi problemi economici che attraversa l’azienda per la mancanza di commesse”, ha spiegato uno dei titolari. I responsabili? “Alcuni giornalisti e i soliti professionisti antimafia che infangano il nostro buon nome”. Lunedì 7 maggio, mentre a Niscemi erano ancora aperte le urne per il rinnovo del consiglio comunale, uno dei Piazza ha minacciato in piazza di darsi fuoco con la benzina. Al centro delle invettive, sempre gli stessi cronisti “calunniatori” e gli “invidiosi” per la commessa militare.
Da quando No MUOS significa No Mafia, il clima in città è tornato a farsi pesante. E la Carovana assume il compito di portare solidarietà a tutti quei giovani che sognano ancora una Niscemi libera dalle basi di guerra e dalla criminalità.
Antonio Mazzeo
CG
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Catania: i film di Giugno all’Arena Argentina
http://www.cinestudio.eu/arena-argentina-programma-giugno/
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“Non si svolgerà la parata militare del 2 giugno Roma. La parata militare del 2 giugno, quest’anno, non si svolgerà. Lo ha comunicato il ministro della difesa Forlani, con una nota ufficiale. La decisione è stata presa a seguito della grave sciagura del Friuli e per far si che i militari e i mezzi di stanza al nord siano utilizzati per aiutare i terremotati anziché per sfilare a via dei Fori imperiali.” 11 maggio 1976
Via: http://3nding.tumblr.com/
Vedi online: 3nding.tumblr.com
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Si è tenuta ieri mattina la conferenza stampa del circolo Città Futura PRC – FdS sulla questione della mancata restituzione agli utenti Sidra del canone « fognature e depurazione ». Maria Merlini, segretaria del circolo, ha brevemente ripreso le varie tappe della vicenda: questo canone – riscosso dalla Sidra dal 2006 al 2008, raddoppiando le bollette – è stato dichiarato illegittimo dalla sentenza n.335/2008 della Corte Costituzionale nel caso di abitazioni la cui rete fognaria non sia collegata ad un depuratore, cioè – per quanto riguarda Catania – per l’80% degli utenti. Già all’indomani della sentenza il circolo Città Futura, che fin dall’inizio aveva denunciato l’iniquità della riscossione di questo canone, si era subito attivato per permettere ai cittadini di chiedere alla Sidra il rimborso delle somme riscosse illegittimamente, consegnando moltissime richieste formali di rimborso agli uffici della società. Un provvedimento normativo del 2009 ha imposto la restituzione del canone entro il 2013, previa autorizzazione degli ATO. Ma nonostante l’ATO competente abbia deliberato già nel 2010 la restituzione del canone, quantificandone l’ammontare complessivo in quasi 2 milioni e mezzo di euro, la Sidra non ha ancora restituito nulla agli utenti, nascondendosi dietro un ipotetico conflitto di attribuzione tra l’ATO, la Sidra ed il Comune di Catania, che della Sidra è unico azionista. Per questa ragione il circolo Città Futura nei giorni scorsi ha incontrato il Prefetto di Catania, che ha dichiarato che si attiverà immediatamente contattando i tre soggetti interessati, affinchè venga fatta chiarezza sulla vicenda e vengano finalmente restituite ai cittadini le somme illegittimamente loro imposte. A conclusione della conferenza stampa, Luca Cangemi – del coordinamento nazionale della Federazione della Sinistra – ha denunciato come l’atteggiamento della Sidra sia ancor più inaccettabile in un contesto di grave crisi economica ed occupazionale, in cui la restituzione di queste somme indebitamente riscosse potrebbe dare un pur piccolo sollievo ai cittadini, già alle prese con l’aumento di altre tasse e servizi come la TARSU e l’IMU, annunciando che in mancanza di una rapida soluzione della vicenda il circolo Città Futura organizzerà un’azione legale degli utenti per pretendere dalla Sidra quanto dovuto.
http://circolocittafutura.blogspot.it/2012/05/sidra-la-vertenza-continua.html
Vedi online: http://circolocittafutura.blogspot....
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giovedì 31 maggio, dalle ore 19,30, al circolo città futura, via Gargano 37 Catania inaugurazione della mostra, a cura del collettivo LGBTQ IbrideVoci, ORGOGLIOSE R/ESISTENZE: 18 anni di movimento gay/lesbo/trans/queer a Catania videoproiezione "Orgogliosa Resistenza: volti e corpi del Pride", foto di Alberta Dionisi AperiCena... una serata di incontro e socialità con bar e buffet a volontà a prezzi anticrisi
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ATTACCO AL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO E DISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ PUBBLICA
Seminario di approfondimento
martedì 29 maggio ore 19 via Gargano 37
Coordina:
Luca Cangemi (segretario circolo PRC Olga Benario)
Intervengono:
Giuliana Barbarino (collettivo Gatti Fisici);
Nunzio Famoso (già preside Facoltà di Lingue);
Felice Rappazzo (docente Università di Catania);
Chiara Rizzica (coordinamento precari della ricerca)
Circolo Olga Benario
Rifondazione Comunista – FdS
Via Gargano, 37 Catania
Fb: PRC Catania Olga Benario - circolo.olgabenario@libero.it
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la Feltrinelli Libri e Musica
Giovedi’ 24 Maggio
alle ore 18
presso il bistrot de la Feltrinelli Libri e Musica
di via Etnea 285 a Catania
PAOLO MONDANI
e
ARMANDO SORRENTINO
presentano
CHI HA UCCISO
PIO LA TORRE?
Omicidio di mafia o politico?
La verità sulla morte
del più importante dirigente comunista assassinato in Italia
CASTELVECCHI
intervengono
ADRIANA LAUDANI
e
PINELLA LEOCATA
inoltre ha assicurato la sua presenza
il Procuratore della Repubblica di Catania
GIOVANNI SALVI
Pio La Torre viene ucciso il 30 aprile 1982. Indagini farraginose e un lunghissimo processo indicheranno come movente dell’omicidio la proposta di legge sulla confisca dei patrimoni mafiosi, di cui era stato il più deciso sostenitore. Esecutore: Cosa Nostra. Un movente tranquillizzante. Un mandante rimasto nell’ombra. In realtà, con la morte di La Torre si compie un ciclo di grandi omicidi politici iniziati con l’uccisione, nel 1978, di Aldo Moro e proseguito, nel 1980, con la soppressione di Piersanti Mattarella, presidente democristiano della Regione Sicilia. Uomini che volevano un’Italia libera dal peso della mafia politica e dall’influenza delle superpotenze. Dalle carte dei servizi segreti risulta che La Torre viene pedinato fino a una settimana prima della morte. Nel 1976, la sua relazione di minoranza alla Commissione parlamentare Antimafia passerà alla storia come il primo atto di accusa contro la Dc di Lima, Gioia, Ciancimino e la mafia finanziaria. Nel 1980, in Parlamento non teme di “spiegare” l’omicidio Mattarella con il caso Sindona e con la riscoperta di una vocazione americana della mafia siciliana. È La Torre a conoscere i risvolti più segreti dell’attività del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; a comprendere il peso della P2; a intuire la posta in gioco con l’installazione della base missilistica Usa a Comiso; a intravedere, con nove anni di anticipo, il peso di strutture come Gladio. Raccoglie e riceve documenti riservati, appunta tutto in una grande agenda: di questo non si troverà nulla. Nei mesi che precedono il suo assassinio, La Torre torna in Sicilia a guidare il Pci fuori dalle secche del consociativismo, nel tormentato tentativo di ridare smalto a un partito spento. Trent’anni dopo l’omicidio, l’esperienza complessa e straordinaria di La Torre spiega molto delle sorti attuali della sinistra e della democrazia nel nostro Paese. E, per la prima volta, si cerca di leggere in controluce un delitto colmo di episodi per troppo tempo tenuti all’oscuro.
Paolo Mondani è giornalista d’inchiesta. Nel 1997 ha collaborato agli Speciali di Raidue. Sempre per la Rai ha lavorato come inviato per Circus, Raggio Verde, Sciuscià, ed Emergenza Guerra. Nel 2003 è stato coautore di Report insieme a Milena Gabanelli. Nel 2006 è stato a fianco di Michele Santoro in AnnoZero. Dal 2007 è di nuovo firma di punta di Report su Raitre. Tra le suo pubblicazioni «Soldi di famiglia» (Rizzoli).
Armando Sorrentino è avvocato. E’ stato il legale della parte civile Pci-Pds nel processo per l’uccisione di Pio La Torre e di Rosario Salvo. Ha rappresentato la parte civile nei processi per la Strage di Capaci e nel «Borsellino ter». Inizia l’attività negli uffici legali della Cgil, a lungo militante e dirigente locale del Pci-Prs, oggi è impegnato nell’Anpi e con l’Associazione dei Giuristi Democratici.
Grazie e a ritrovarci
Sonia Patanìa
Sonia Patanìa
Responsabile Comunicazione e Eventi
La Feltrinelli Libri e Musica
via Etnea 285, Catania
eventi.catania@lafeltrinelli.it
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Comunicato stampa
19 maggio 2012 – Italia Scuola Morvillo-Falcone
Un sabato mattina di primavera: attentato in istituto professionale di Brindisi - Una morta, un’altra in pericolo di vita, altre ferite e feriti.
Un tentativo di strage …
Una strage di giovani che andavano a imparare in un istituto professionale di tecnica, di moda.
Un istituto frequentato prevalentemente da giovani donne.
Altissimo è il valore simbolico della scelta del luogo, una scuola dove le giovani vanno ad apprendere conoscenze e costruire saperi per lavorare e costruirsi una vita libera e migliore. Significa tante cose la scelta del luogo, basta volerli vedere tutti questi significati, come li ha visti chi ha preparato l’attentato.
Qualunque sia la matrice, qualsiasi possa essere la valenza politica sia di attacco alle istituzioni, o terrorismo di vario stampo, una cosa è certa, che la conta delle morti violente di giovani donne subisce un aumento repentino nel panorama miserevole dei femminicidi quasi quotidiani in ogni parte d’Italia. Che la violenza spietata e disumana, singola o collettiva che sia, si manifesta ancora una volta.
Comunque la si voglia chiamare, questa è la cronaca della arretratezza di un paese che si annovera fra le potenze economiche mondiali, e che si ammanta di una democrazia di cui le donne non possono usufruire né in casa né fuori casa.
Quante sono le morti violente delle donne ogni anno? Nel 2012 in aumento progressivo e, nell’insieme, ogni anno centinaia, una strage che è solo la punta dell’iceberg della violenza maschile. Violenza a cui si aggiunge questa che crea lutto, dolore e terrore in tutto il paese. Paura che entra nelle coscienze perché abbatte uno degli ultimi luoghi, la scuola, considerati generalmente sicuri. Bisogna fermare questa violenza singola e collettiva.
Bisogna porre argine in ogni modo alla strage, prima, durante e dopo qualsiasi indagine o summit.
Non è più tempo di parole e di opinioni, è tempo di scelte, rimedi e di coscienza civile.
Un intero anno abbiamo passato con l’UDI, in tante e tante in tutta Italia con la Staffetta di donne contro la violenza sulle donne, da 25 novembre 2008 al 25 novembre 2009. Su, su dalla Sicilia alla Lombardia.
Fino all’ONU, a New York siamo andate. E ancora siamo qui a fare la conta delle morte e ferite, senza una legge, senza un allarme, senza prevenzione, senza contrasto, senza nessun tentativo di modificare seriamente la cultura della violenza individuandone le radici storiche e politiche.
In poche parole senza alcun intervento adeguato di chi ci rappresenta, amministra ed emana leggi.
Le nostre istituzioni dovrebbero condividere con noi il nostro perenne lutto, e devono riconoscere la nostra grande generosità di donne che sempre collaborano e sopportano nella speranza di una pace meritata. Devono riconoscere l’ingiustizia della condizione di terrore quotidiano in cui siamo costrette a vivere, e devono trovare sempre i colpevoli e garantire una pena certa, devono adoperarsi a promulgare leggi di contrasto e prevenzione alla violenza, di qualsiasi forma e tipo. Perché è un guadagno per tutte e tutti.
Quante volte ancora dovremo piangere vite di donne spezzate per capriccio o per esercizio arbitrario di un potere personale o collettivo, che in Italia purtroppo è ancora monopolio del genere maschile?
Il dolore per Melissa e le altre ragazze e ragazzi è indicibile e può essere espresso solo in parte con la condivisione del terribile dolore dei loro genitori, degli insegnanti e di tutti coloro che riconoscono il valore della vita umana.
UDI Unione Donne in Italia
Sede nazionale Archivio centrale Via dell’Arco di Parma 15 - 00186 Roma Tel 06 6865884 Fax 06 68807103 udinazionale@gmail.com www.udinazionale.org
“Io non compro Golden Lady, Omsa, SiSi, Filodoro, Philippe Matignon, NY Legs, Hue, Arwa fino a quando tutte le operaie OMSA - Faenza non verranno riassunte”
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“L’Italia che non si vede” Rassegna di cinema del reale
Un mito antropologico televisivo, di Maria Helene Bertino, Dario Castelli e Alessandro Gagliardo Catania, mercoledì 9 maggio 2012, ore 21 ZO centro culture contemporanee
Martedì 22 maggio, alle ore 21, presso il centro culture contemporanee ZO, quinto e ultimo appuntamento con “L’Italia che non si vede”, rassegna nazionale di cinema del reale promossa a Catania dall’officina culturale South Media (circolo UCCA). In programma, per la sezione “Le immagini perdute”, “Un mito antropologico televisivo”, un film nato attraverso il lavoro e la ricerca di malastradafilm film, pensato, discusso e montato da Helene Bertino, Dario Castelli e Alessandro Gagliardo.
Presentato con successo all’ultima edizione del Torino Film Festival, nella sezione Italiana.doc, Menzione Speciale “Premio UCCA Venticittà”, Un mito antropologico televisivo è un film pretesto pensato per introdurre nel dibattito culturale l’idea di antropologia televisiva, intesa come chiave di lettura di un racconto popolare non ancora affrontato dalla storiografia, nonché strumento di ricostituzione di comunità attraverso la visione della televisione come soggetto di narrazione. In mezzo un patrimonio enorme custodito da centinaia di piccole emittenti che passo dopo passo gli autori stanno cercando di recuperare, conservare e pubblicare.
Attraverso l’uso di riprese video realizzate tra il 1992 e il 1994 (periodo chiave per la storia siciliana e italiana) e provenienti da una televisione locale della provincia di Catania il racconto televisivo penetra nella storia popolare di una nazione per comporre così il quadro delle sue difficoltà, descrivendone la sua natura più profonda. La telecamera coglie frammenti di quotidiano e li restituisce dopo anni ancora carichi della loro capacità di descrivere la nostra società, invitandoci a mettere in atto una lettura antropologica della narrazione televisiva.
Ufficio stampa: info@southmedia.it 349 1549450 www.southmedia.it
CG
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[1] HANS JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica (1979), trad. it. P. Rinaudo, Einaudi, Torino 1990 e 1993, p. 4.
[2] SOFOCLE, Le Tragedie, Einaudi, Torino 1948 e 1966, trad. it. G. Lombardo Radice, p. 204.
[3] HANS JONAS, Tecnologia e responsabilità. Riflessioni sui nuovi compiti dell’etica, in Dalla fede antica all’uomo tecnologico, (1974), trad. it. G. Bettini, Il Mulino, Bologna 1991, p. 48.
[4] SOFOCLE, Le Tragedie, op.cit., p. 205.
[5] Ivi, p. 206.
[6] HANS JONAS, Tecnologia e responsabilità. Riflessioni sui nuovi compiti dell’etica, in Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 41. HANS JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, cit., p. 3.
[7] HANS JONAS, Sull’orlo dell’abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura (1993), trad. it. A. Patrucco Becchi, Einaudi, Torino 2000, p. 78.
[8] ALESSANDRO DEL LAGO, Introduzione all’edizione italiana in HANS JONAS, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 23.
[9] HANS JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, cit., p. 24.
[10] Ivi, cit., p. 31.
[11] ALBERTO PRIERI, Hans Jonas. Il diritto del futuro e la responsabilità dell’uomo verso l’uomo, Firenze Atheneum, Firenze 1998, pp. 28-29.
[12] MARCELLO MONALDI, Tecnica, vita, responsabilità. Qualche riflessione su Hans Jonas, Guida, Napoli 2000, p. 9.
[13] HANS JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, cit., p. 5.
[14] Ivi, p. 180.
[15] HANS JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, cit., pp. 197-198.
[16] HANS JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, cit., p. 269. NICOLA ABBAGNANO, Storia della filosofia Vol. V. La filosofia del Romanticismo (Da Fichte a Nietsche), cit., pp. 216 e 220.
[17] HANS JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, cit., p. 270.
[18] Ivi, p. 271.
[19] Ibidem.
[20] MARCELLO MONALDI, Tecnica, vita, responsabilità. Qualche riflessione su Hans Jonas, cit., p. 10. HANS JONAS, Libertà della ricerca e bene pubblico in Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, (1985), trad. it. P. Becchi e A. Benussi, Einaudi, Torino 1997, pp. 66 ss.
[21] Ivi, p. 67.
[22] Ivi, p. 73.
[23] Ivi, p. 74
[24] Ivi, p. 71.
[25] Ivi, p. 78.
[26] Ivi, p. 71.
[27] HANS JONAS, Tecnologia e responsabilità. Riflessioni sui nuovi compiti dell’etica, in Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 62.
[28] Ibidem.
[29] Ibidem.
[30] Ivi, p. 61.
[31] Ivi, p. 62.
[32] HANS JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, cit., p. 16.
[33] HANS JONAS, Tecnologia e responsabilità. Riflessioni sui nuovi compiti dell’etica, in Dalla fede antica all’uomo tecnologico, cit., p. 61.
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