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Il 28 novembre si terrà in tutta Italia uno sciopero generale promosso dall’Unione Sindacale di Base (USB), che unisce le rivendicazioni dei lavoratori con una chiara posizione contro guerre, armi e la proliferazione nucleare. La mobilitazione sottolinea come la difesa del lavoro, la transizione ecologica e la pace non siano percorsi separati, ma parti integranti di un progetto di società più giusta e sostenibile.
La crisi ambientale non deve essere considerata un capitolo separato dalla vita sociale ed economica, bensì la sua matrice. In questo contesto, le posizioni delle organizzazioni sindacali assumono un valore politico che travalica i confini nazionali, mostrando come la transizione ecologica possa essere affrontata solo con una visione integrata, che contempli sicurezza, equità e diritti. La mobilitazione di USB si inserisce in un quadro internazionale più ampio, ricordando iniziative come quelle promosse da ICAN – insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2017 – secondo cui un mondo sicuro passa dalla combinazione di giustizia sociale, tutela del lavoro e disarmo.

Il dibattito sviluppatosi attorno al documento unitario delle sigle italiane va proprio in questa direzione. Le rappresentanze dei lavoratori hanno ribadito che la transizione ecologica non può limitarsi a una somma di obiettivi tecnici o percentuali di riduzione delle emissioni: richiede un cambiamento culturale e strutturale che coinvolga l’intero sistema produttivo. Le principali organizzazioni rivendicano una trasformazione industriale basata sul protagonismo del lavoro e sull’innovazione condivisa, chiedendo investimenti pubblici e privati in grado di orientare lo sviluppo verso tecnologie davvero pulite, infrastrutture resilienti, reti energetiche moderne e un piano organico di formazione continua per tutti i lavoratori coinvolti.
La discussione sottolinea inoltre l’urgenza di un coordinamento concreto tra governo, imprese e parti sociali, non come slogan, ma come metodo operativo per garantire una transizione giusta ed efficace. Solo attraverso un dialogo reale e continuo sarà possibile coniugare protezione dei posti di lavoro, crescita sostenibile, giustizia sociale e costruzione di un futuro più pacifico a livello globale.
USB fa appello a tutti i lavoratori per partecipare allo sciopero, evidenziando che la mobilitazione non è solo una protesta, ma un momento decisivo per ridefinire le priorità del paese in chiave sostenibile, capace di coniugare sviluppo economico, tutela dell’ambiente, diritti dei cittadini e impegno concreto contro guerre e armi.
Nella foto: disegno di Angela Belluschi, che soffre di malattia neurodegenerativa, madre dell’autrice. Con la presenza di Nora Romero.
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La problematica si concentra sulle sedi scelte per le prove scritte, spesso ubicate in località difficilmente accessibili con i mezzi pubblici. L’obbligo di presentarsi per l’identificazione e l’inizio dell’esame alle prime ore del mattino (generalmente alle 8:00) costringe i candidati, molti dei quali già con carichi familiari e contratti a termine, a un vero e proprio pellegrinaggio.
Molte sedi sono raggiungibili solo con auto privata, un lusso che non tutti i precari possono permettersi. I concorrenti sono costretti ad accollarsi spese non indifferenti per viaggio e, nella maggior parte dei casi, per il pernottamento in loco o nelle vicinanze, data l’impossibilità di raggiungere la sede in tempo utile con i trasporti pubblici, chi aspira a un posto di lavoro stabile nella scuola, dopo anni di sacrifici e supplenze, viene messo in ginocchio da un onere economico non previsto e non sostenibile.
Il diritto a partecipare a un concorso pubblico, che dovrebbe essere garantito in condizioni di equità, viene di fatto limitato dalle risorse economiche del candidato.
"Molti concorrenti saranno costretti a rinunciare al concorso proprio per l’impossibilità di arrivare nei posti degli esami per mancanza di mezzi pubblici sia per questioni economiche." La citazione, che riecheggia il malcontento generale, evidenzia come le scelte logistiche del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) si trasformino in un fattore di esclusione sociale.
Il paradosso è evidente: si chiede ai docenti precari, categoria che per definizione vive nell’incertezza economica, di affrontare un esborso significativo per poter competere per la stabilizzazione.
L’esempio fornito dalla Sicilia è emblematico: la scelta di una sede come Palma di Montechiaro (AG), se non adeguatamente collegata, rappresenta un ostacolo insormontabile per chi non è automunito o non ha la possibilità di pagare un albergo. In un’isola dove la rete dei trasporti pubblici extraurbani presenta ancora forti criticità, l’ubicazione delle sedi d’esame non può ignorare tale contesto. Palma di Montechiaro, pur essendo un comune importante, non è servita da una rete ferroviaria capillare e i collegamenti con i mezzi pubblici (autobus) dalle principali città e province dell’isola sono spesso infrequenti, lenti e non sincronizzati con gli orari degli esami (inizio alle 8:00).
Per un candidato che parte, ad esempio, dalla Sicilia Orientale o da Trapani, è virtualmente impossibile raggiungere Palma di Montechiaro in tempo per l’identificazione, che avviene prima delle 8:00, viaggiando in giornata con i mezzi pubblici. Questo rende il pernottamento obbligatorio.
Il candidato è costretto a spendere per l’autobus o il treno (andata e ritorno), più il costo di almeno una notte in una struttura ricettiva nei pressi di Agrigento o direttamente a Palma di Montechiaro. Per un precario, l’accumulo di queste spese (che possono facilmente superare i 150-200 euro tra viaggio e alloggio) è un fattore di esclusione inaccettabile.

Non Ammessi Cambi di sede per Esigenze Personali Gli avvisi degli USR, sono categorici: non sono possibili cambi di sede, giorno o orario delle prove.
Questa posizione è motivata dalla necessità di una gestione centralizzata della logistica e non tiene in alcun modo conto delle esigenze individuali dei candidati.
Al di fuori dei casi eccezionali di disabilità grave e di gravidanza/allattamento (per cui sono previste prove suppletive), ogni altra esigenza personale (salute, impegni familiari, problemi economici o logistici) non viene considerata un valido motivo per richiedere uno spostamento di sede.
La mancata presentazione nel giorno, ora e sede stabiliti, anche se dovuta a caso fortuito o a causa di forza maggiore (come la difficoltà oggettiva di raggiungere la località in tempo), comporta l’esclusione automatica dalla procedura concorsuale. Le uniche eccezioni alla regola, come richiamato dagli stessi avvisi, sono limitate a:
* Gravidanza o Allattamento: Le candidate possono richiedere di sostenere la prova scritta in una sessione suppletiva, posticipata.
* Disabilità Grave (personale o del figlio minore): Permette richieste di accorpamento delle sedi più vicine, ma non un cambio arbitrario.
Questa inflessibilità non fa che aggravare la condizione dei precari. Se un candidato di una provincia lontana (ad esempio, Catania, Siracusa) si vede assegnare la sede d’esame, per esempio a Palma di Montechiaro, e non dispone di mezzi propri, si trova di fronte a una scelta drammatica:
Pagare il pernottamento e i mezzi alternativi (taxi, noleggio auto) per arrivare in tempo, spesso spendendo centinaia di euro.
Essere escluso dalla procedura, perdendo l’opportunità di stabilizzazione, a causa di un ostacolo logistico ed economico.
È questa rigidità che alimenta la sensazione di essere trattati come "carne da macello": Il Ministero impone l’onere della prova in un luogo scomodo, scaricando interamente sui candidati i costi e i rischi logistici.
Il trattamento riservato ai precari in questa fase del concorso è percepito come l’ennesimo segnale di disinteresse da parte del Ministero. "I precari della scuola trattati come carne da macello" è una critica forte che riassume il senso di frustrazione. Si chiede loro il massimo impegno per la preparazione, il versamento di una tassa di partecipazione, ma si nega la garanzia di condizioni minime di accessibilità.
Il Ministero ha il dovere di ripensare le proprie procedure logistiche per i futuri concorsi, garantendo che le sedi d’esame siano ubicate in luoghi facilmente raggiungibili e ben serviti, minimizzando l’impatto economico sui candidati. Un concorso volto a stabilizzare i lavoratori non può permettersi di escluderli per motivazioni puramente logistiche ed economiche. Si tratta principalmente di precari, non di dipendenti pubblici già stabilizzati.
Sarebbe stato più equo concentrare le sedi d’esame in capoluoghi di provincia ben collegati (come le sedi universitarie o grandi istituti facilmente raggiungibili da stazioni ferroviarie o autostazioni principali), riducendo al minimo la necessità di ricorrere a mezzi privati o al pernottamento.
La speranza è che per le future procedure concorsuali o per le eventuali prove suppletive, il Ministero dimostri maggiore sensibilità e adotti criteri di assegnazione delle sedi che siano effettivamente inclusivi, che non si trasformino in un fattore di esclusione sociale, e che garantiscano il diritto di partecipazione a tutti.
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Un’opera fuori dagli schemi accademici e, insieme, profondamente radicata in una lunga traiettoria di pensiero critico. Una “biografia dei nostri tempi” che affonda nella crisi delle democrazie contemporanee, nell’erosione del concetto di popolo, nell’indebolimento delle funzioni intellettuali. Un collage di appunti, discorsi e scritti d’occasione nei quali l’autore rivendica una passione per il popolo inteso come simbolo esibito in pubblico del nostro essere ontologicamente relazionali. Cantaro mette in discussione le categorie dominanti di sovranismo, populismo, neoliberalismo, denunciando il tradimento da esse veicolato della sovranità popolare in favore di autoreferenziali élite e di algoritmi senza volto. Con Dante, Pasolini, Gramsci, Leopardi, Sciascia, Tocqueville, e in aperta polemica con la “scienza italianistica” degli intellettuali “insani”, il libro sviluppa una critica radicalmente severa della sinistra postmoderna – e dei suoi derivati ideologici, come la woke culture – quando precipita in una sorta di moralismo identitario che la condanna al velleitarismo e all’irrilevanza politica.
Amato popolo : Il sacro che manca, da Pasolini alla crisi delle democrazie / Antonio Cantaro. - Roma : Bordeaux edizioni, 2025. - 242 p. - (Bianca). - ISBN 979-12-5963-268-5.
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In un momento tanto delicato per gli equilibri internazionali e le nostre stesse vite, con conflitti che stanno seminando morte e distruzione in tutto il mondo e spese militari che aumentano vertiginosamente a discapito degli investimenti in istruzione e sanità, siamo sconcertati dall’iniziativa de il "Villaggio Esercito". Questa iniziativa intenderebbe promuovere tra i napoletani le presunte “opportunità” offerte dal mondo militare, mostrando loro, come fossero giocattoli, strumenti di morte quali mine, carri armati, elicotteri, ed altri veicoli bellici.
Siamo indignati, anche perché questo avviene proprio a Napoli “Città di Pace e di Giustizia”, così come dichiarato nello Statuto comunale.
Per questo motivo come Comitato Pace, Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio – Campania manifestiamo la nostra netta contrarietà a questa iniziativa ed invitiamo i cittadini napoletani a disertare la vergognosa esibizione militarista sul lungomare di Napoli indicendo un Presidio per il giorno 16 Novembre 2025 a partire dalle ore 11 a Piazza Vittoria.
Comitato Pace, Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio - Campania
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Nei giorni scorsi mi trovavo a Palermo per un convegno e il sabato mattina, a lavori conclusi, camminando per le vie del centro mi sono imbattuta in un incontro intitolato "Fine vita dignitoso". Indagando sul web ho appreso che (cito)
L’iniziativa, promossa con il patrocinio dell’Associazione Culturale Rito Simbolico Italiano e del Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani, vuole contribuire alla diffusione di una cultura del rispetto, della consapevolezza e della responsabilità condivisa nelle scelte di fine vita.
Incuriosita, mi sono mescolata al pubblico e ho avuto modo di apprezzare moltissimo la prima relatrice, l’avv. Filomena Gallo (segreteria nazionale dell’associazione Luca Cascioni), che ha illustrato nei dettagli la lunga battaglia per il rispetto del diritto della persona, che dovrebbe comprendere anche la scelta sul fine vita, contemplata fin dalla Costituzione ma frequentemente ostacolata da pregiudizi, procedure e ritardi. Non intendo pronunciarmi sugli altri relatori, un professore di filosofia e un medico, persone rispettabili ma prive ahimè della lucidità militante e laica di Gallo. Voglio invece tornare indietro di qualche riga e soffermarmi sul disagio che provo ogniqualvolta leggo "fine vita" al maschile.
Ora, che io sappia, fine in italiano esiste sia nella forma femminile (sinonimo di termine, conclusione) sia nella forma maschile (sinonimo di obiettivo, scopo). Dunque trattandosi in questo caso del primo dei due significati, la grammatica vorrebbe che anche fine vita fosse al femminile, dunque: Fine vita dignitosa. Eppure il maschile si sta consolidando, qui alcuni esempi.
https://www.hospicediabbiategrasso.it/approfondimenti/pillole-di-bioetica/fine-vita
https://giuridico.chiesacattolica.it/le-proposte-sul-fine-vita-nelle-regioni-italiane/
In realtà la forma corretta dovrebbe essere LA fine vita. Oppure LA fine-vita. Oppure LA fine della vita. Perché questo momento di passaggio che ci attende tutti quanti è diventato maschile? Forse perché morte in italiano è femminile e qualcuno ha pensato che bisognava creare una sorta di equilibrio bipartisan?
Vorrei ricordare un altro caso che riguarda il cinema. Non diciamo UNA lieta fine ma UN lieto fine.
Perché?
Le questioni di genere irritano molte persone, eppure vanno affrontate e problematizzate. Forse IL conferisce più dignità, più autorevolezza, più felicità, e inconsciamente ci rimanda a un fine (uno scopo) della nostra esistenza, a una sua presunta utilità in un disegno cosmico, a un obiettivo superiore che ci sfugge o che viceversa fa parte del dogma religioso per cui non c’è una vera interruzione ma continuità in una dimensione ultraterrena? Al punto che perfino un romanzo o un film si meritano IL lieto fine e non una lieta fine.
Forse LA fine ci spaventa. Forse la femminilità va rinchiusa negli ambiti dell’estetica, e del resto le pubblicità di cosmesi e trattamenti antirughe, rimpolpanti, tonificanti ecc. che promettono di far ringiovanire o invecchiare più lentamente sono in costante aumento.
Dobbiamo prenderci cura delle parole. Dobbiamo sorvegliare le parole, a partire dai pronomi, dagli aggettivi, dagli articoli maschili e femminile. Se vi sembrano inezie, se vi sembra una sciocchezza, ne avete il diritto. Ma sappiate che rinunciare alla manutenzione delle parole, abdicare alla custodia dei significati, significa delegare ad altri ciò che ci definisce e che definisce il nostro mondo, la nostra storia, la nostra identità, il nostro futuro.
Tutti gli articoli della rubrica di Alessandra Calanchi su Binomi di parole.
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Riprendo la rubrica dopo un certo tempo con due parole che terminano in "one". Sono molte le parole di questo tipo in italiano - emozione, immaginazione, precisione, persuasione, convinzione, istruzione, educazione, rivoluzione, ma oggi ne ho scelte due che mi sono state sollecitate dalla lettura di un articolo apparso proprio su Girodivite, un articolo interessante e condivisibile che a un certo punto utilizza la parola negro. Sì, avete letto bene, negro non in corsivo né virgolettato. Ho tempestivamente segnalato all’autore quello che credevo fosse un refuso per nero e ho scoperto (con una certa perplessità mista a incredulità) che era voluto, che era provocatorio, che era inteso come una reazione a certa retorica di sinistra.
Ora, pur nel rispetto di tutti i pareri, e pur stimando l’autore che so essere un intellettuale probo e un buon cristiano, peraltro ammiratore dei padri comboniani che rappresentano un’ala di sinistra della chiesa, vorrei dichiarare la mia estraneità anzi la mia apprensione e costernazione rispetto sia alla scelta lessicale sia alle motivazioni che la giustificano.
Le parole esistono e si possono usare tutte. Questo è sacrosanto. Ma ce ne sono alcune che hanno una storia dolorosa, come appunto negro, che negli Stati Uniti corrisponde sia a negro sia a nigger, una parola che non si può nemmeno dire, è tabù, si dice N word. Certe parole hanno un significato sociologico, politico. Certe parole hanno determinato sofferenza e orrore, e il loro uso deve essere fatto in modo responsabile.
Da tempo sappiamo che biologicamente le razze non esistono, eppure il razzismo continua a esistere e ad alzare la testa. Abbiamo già parlato del bel libro di Anna Curcio, L’Italia è un paese razzista. Usare un termine anziché un altro è una scelta doverosa e dovuta a chi ha lottato, a chi ha dato la vita. Altrimenti si fa il gioco dei cancellatori seriali di parole (vedi la mia rubrica Vocabolario resistente), del potere che nega e riscrive, dei revenant che svalutano gli orrori del passato. Antifascista è diventata una parola tabù, se non stiamo attenti anche lo stupro tornerà a essere chiamato violenza carnale, il femminicidio sarà di nuovo rubricato come delitto d’onore, e il genocidio (anche se il termine lo usa l’Onu) sarà relegato a un passato sempre più lontano. Già oggi si è trovata un’espressione utile a obliterare l’autarchia - democrazia illiberale. Un binomio che mi fa orrore.
In questo mondo riscritto secondo i dogmi del potere i neri saranno di nuovo negri e quella parolina apparentemente innocua trascinerà con sé tutto il bagaglio simbolico, antropologico e iconografico che dagli anni 60 in poi si è cercato di controbilanciare con teorie scientifiche, con dottrine politiche improntate all’uguaglianza, con la lotta al pregiudizio. La buona fede dell’autore e della redazione - su cui non discuto - non sono sufficienti a farmi creder di poter scongiurare questo rischio. Pertanto provo una sincera apprensione nel senso di timore legato a qualcosa che ho appreso ben delineato qui:
[…] che c’entra l’apprensivo (ossia l’ansioso) con l’apprendere (ossia l’imparare, il conoscere)? Forse che sia ansioso di sapere? Non proprio. L’apprensione, propriamente, è l’atto di apprendere - cioè quello di prendere e far proprio con la mente, e quindi di capire. È una comprensione, una percezione. E l’apprensivo scaturisce dall’apprensione proprio come inclinazione ad apprendere, a comprendere, a percepire. Questa inclinazione può avere come facile esito quello della percezione di pericoli futuri: un esito che è uno dei più importanti dell’esercizio dell’intelligenza, che penetra le possibilità e dirige le azioni. Perciò l’apprensivo diventa l’ansioso: l’apprensione è un’ansia solida, frutto di un calcolo e di una chiara visione della situazione […]
E per costernazione mi rivolgo molto più semplicemente alla Treccani:
costernazióne s. f. [dal lat. consternatio -onis; v. costernare]. – Grave abbattimento dell’animo, afflizione profonda, sgomento
In conclusione,
Le PAROLE sono importanti, così come lo sono le emozioni che suscitano.
Anche il DIALOGO è importante, e ringrazio la rivista per promuoverlo e sostenerlo. È una pratica di libertà e di democrazia.
È altrettanto importante non confondere la censura con la cultura del rispetto, la cancel culture con il linguaggio inclusivo.
Piccola bibliografia utile:
Walter J. ONG, Oralità e scrittura : La tecnologia delle parole (Il Mulino ed.)
Vera Gheno, Potere alle parole : perché usarle meglio (Einaudi ed.); La grammatica che serve : Morfologia, lessico, fonetica e ortografia. Comunicazione, tipologie testuali, sintassi. Invalsi (Feltrinelli ed.)
Gianrico Carofiglio, La manomissione delle parole (Rizzoli ed.); Con parole precise : Manuale di autodifesa civile (Feltrinelli ed.).
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Il sangue dell’emancipazione
Il capitalismo è metamorfico, è come acqua, poiché prende la forma del contenitore ma resta tale. La storia è il contenitore del capitale che assume innumerevoli forme per affermare la sola logica del dominio. La storia ci consente di comprendere le deformazioni del capitale e, in tal modo, ci permette di individuare nel presente e nel recente passato le logiche dell’assimilazione e della stabilizzazione contingente del capitalismo nella sua struttura-sovrastruttura.
Ci sono momenti nodali della storia, in cui il capitalismo si mostra nella sua verità e la camaleontica maschera cade mostrando il volto apocalittico dell’illimitato che lo connota. L’illimitato è nell’accumulo crematistico che macina uomini e risorse con una macchinazione diabolica. L’illimitato si specchia solo in se stesso, non conosce fondamento veritativo, ma omologa e massifica popoli, persone ed enti per trasformarli in mezzi e passive presenze. L’illimitato è una macchina per produrre mezzi. Tale realtà-verità è tra di noi e spesso è edulcorata dalle belle parole e dalla propaganda che rende “il discorso debole discorso forte”. La storia comunque ci restituisce la verità. Nella storia di Haiti è riflessa la verità del capitalismo.
Haiti ottenne l’indipendenza nel 1804 dopo una non breve lotta degli schiavi iniziata nel 1791. Haiti era colonia francese e poche migliaia di proprietari governavano su una massa enorme di schiavi, erano circa 500000 gli uomini e le donne abusati nel corpo e nella mente. I proprietari nel rispetto del più bieco economicismo ritenevano che era più produttivo consumare fino alla morte gli schiavi tenendoli in condizioni disumane piuttosto che nutrirli, in quanto si risparmiava nel sostentamento e potevano essere sostituiti con estrema facilità. Lo schiavo comprato dai negrieri aveva una vita media di sette anni. Haiti con tale ciclo di schiavitù-produzione produceva il 60% della produzione mondiale di caffè e il 40% dello zucchero. Nella colonia erano presenti i mulatti, i quali nella stratificazione razziale occupavano una posizione intermedia, erano liberi, ma non avevano gli stessi diritti dei bianchi.
La rivoluzione francese il 26 agosto 1789 sancì con la 2Dichiarazione dell’uomo e del cittadino” l’uguaglianza giuridica degli uomini. Non erano contemplati gli schiavi. La rivoluzione francese mostrava il suo ventre molle, era una rivoluzione borghese e per borghesi. Ad Haiti gli schiavi iniziarono la rivolta. Gli echi della rivoluzione giunsero nell’isola e la rivolta ebbe inizio. Le catene della schiavitù dovevano essere infrante. Spagnoli e inglesi sostennero i rivoluzionari al fine di impossessarsi dell’isola. Fu solo in questa circostanza che la Convenzione decretò nel 1794 l’abolizione della schiavitù. La rivolta trovò il suo riferimento carismatico e organizzativo in Toussaint Louvertur. Eroe libertario scrutato con sospetto anche dagli Stati Uniti, poiché la schiavitù era parte del sistema economico americano. Al di là delle conflittualità, dunque, gli stati capitalistici erano e sono simili: sfruttamento e dominio sono gli attributi che li definiscono. Le parole di Toussaint Louverture sono grida che giungono a noi:
“Ho preso le armi per la libertà di quelli del mio colore, [libertà] che solo la Francia ha proclamato, ma che nessuno ha il diritto di annullare. La nostra libertà non è più nelle loro mani, ma nelle nostre. ...”
Ed ancora
“Sono nato schiavo, ma la natura mi ha conferito l’anima di uomo libero”.
Louverture significa “nuova strada”. Ed egli con il popolo nero aprì i sigilli della storia. Erano riusciti a liberarsi della schiavitù e non erano caduti nelle trappole delle “alleanze”. La rivoluzione francese superata la fase radicale ritrovò in Napoleone Bonaparte l’incarnazione degli interessi borghesi. La Francia ingaggiò una breve lotta con il popolo nero, poiché voleva ristabilire la schiavitù ma senza successo. Nel 1804 gli haitiani proclamarono l’indipendenza di Haiti, essi chiamarono la loro patria Haiti, nome originario amerindo. Il capitalismo non ha il senso del limite, stupisce per il suo parossismo incapace di pensare il senso delle azioni.
Nel 1825 le cannoniere francesi tornarono a minacciare Haiti. Il presidente Jean Pierre Boyer fu costretto a firmare un accordo che costringeva gli haitiani a pagare 150 milioni di franchi d’oro agli ex padroni francesi quale indennizzo per la “perdita della colonia”. Il debito fu successivamente ricontrattato in 90 milioni. Gli sfruttati pagarono dopo essere stati consumati dalle fatiche per arricchire i padroni. Dopo il 1825 buona parte delle risorse furono destinate all’edificazione di strutture difensive e per il debito esorbitante che fu estinto nel 1947. La Francia, ancor oggi, tace sui crimini commessi nell’isola e non ha effettuato nessun gesto ufficiale per riparare al lungo dominio diretto e indiretto. Nel 2001 con la legge Taubira la Francia ha riconosciuto la schiavitù e la tratta atlantica degli schiavi come un crimine contro l’umanità.
Le dichiarazioni si sprecano e nei fatti sono la propaganda che serve ad oscurare la realtà e a far percepire l’occidente come il continente dei diritti. Il presidente di Haiti Jean-Bertrand Aristide, in occasione del bicentenario nel 2003 della morte di Toussaint Louverture, ha avanzato la richiesta delle “riparazione coloniali”, la quale è stata sostanzialmente ignorata dalla Francia. La patria della fratellanza dopo aver costituito il “Comitato indipendente di riflessione e proposte sulle relazioni franco-haitiane” ha respinto l’istanza, in quanto non ha alcun fondamento giuridico. Ancora una volta per la giurisprudenza dei “signori del mondo” la legge è solo il diritto del più forte. Nel 2004 un colpo di stato ha rovesciato Aristide e il nuovo governo ha “ritirato la richiesta”. Sono naturalmente coincidenze. L’indennizzo avrebbe dovuto finanziare scuole, ospedali, strade e infrastrutture essenziali.
Tutto manca ad Haiti, poiché il debito imposto con il ricatto dell’invasione nel 1825 ha condotto a versare alla Francia, per oltre un secolo, l’80% del bilancio statale con le conseguenze che si possono immaginare. La Banque de France deve la sua stabilità anche all’enorme afflusso di denaro proveniente da Haiti. Il colonialismo è vivo nella psiche degli europei e il razzismo è sostenuto dall’economicismo che conduce alla pubblica indifferenza verso tali “etiche richieste”. Una storia atroce, dunque, di ingiustizie e di negazione dell’alterità che la Francia e l’Europa continuano a ignorare. L’Europa ha perso l’anima, l’ha venduta al capitalismo e tra le sue pieghe ha il sangue e la carne dei popoli sfruttati. Una nuova storia può iniziare con il riconoscimento dei crimini commessi.
Haiti con la sua miseria nel tempo presente ci parla delle tragedie etiche del capitalismo. La storia, dunque, ci insegna la verità, per questo il capitalismo la necrotizza, la nega e la manipola. Coloro che ignorano non si ribellano, ma curvano la schiena dinanzi al potere percepito come immodificabile ed eterno. La storia tormentata di Haiti è la storia del capitalismo che mostra in patria il volto del diritto dietro cui si celano disuguaglianze e violenze, mentre negli stati sotto il giogo coloniale e neocoloniale può mostrarsi senza mascheramenti nel suo nichilismo mortifero.
La storia è un campo libero di potenzialità e si spera che un giorno potremo dire che delle sofferenze degli schiavi e degli sfruttati nel mondo “neanche un capello sarà perduto”, per questo bisogna trasmettere “la storia del capitalismo” e di “ogni sistema totalitario” nella sua terribile e oscena verità. La pedagogia della liberazione necessita di ricordare per poter divergere dagli spettri del passato.
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Francesco Gheghi con il suo cortometraggio La Buona Condotta, si è aggiudicato il premio della sezione nazionale della ventiduesima edizione di accordi @ DISACCORDI – Festival internazionale del cortometraggio a Napoli. La giuria artistica ha premiato il cortometraggio perché “La Buona Condotta, è un cortometraggio capace di ribaltare le attese spettatoriali, dall’incipit del racconto al sorprendente finale. Una riflessione amara e profonda sul familismo amorale, condotta senza retorica attraverso una narrazione brillante e coinvolgente che lascia spiazzati e sbigottiti a fare i conti con i nostri bias cognitivi".
La kermesse partenopea, diretta da Pietro Pizzimento e Fabio Gargano, e con il coordinamento artistico di Giuseppe Colella, si è tenuta dal 3 al 9 Novembre 2025 interamente presso la Corte dell’Arte di FOQUS a Napoli con la proiezione di centodieci cortometraggi finalisti e con gli incontri con gli autori delle opere presentate. La giuria artistica quest’anno era composta dal docente Luigi Barletta, dal critico cinematografico Ignazio Senatore e dal docente e regista Pino Sondelli.
The Storm/La tempesta di Angela Conigliaro ha vinto la sezione Animazione con la motivazione “La regista Angela Conigliaro con l’opera La Tempesta/The Storm con un sapiente uso dell’animazione e attraverso il linguaggio della metafora, semplice, ma non banale, trasmette allo spettatore di tutte le età un messaggio sul valore della pace e dell’amicizia che vanno perseguite sin dalla più tenera età".
Riconoscimento con Menzione speciale a Il Fantasma di Carta di Fulvio Davide Ricca "per aver ricreato con un uso sapiente delle tecniche dell’animazione le atmosfere gotiche presenti nelle opere di Edgar Allan Poe, combinando immagini vivide, horror psicologico ed esplorazione del decadimento e della follia, conducendo ad una catarsi finale".
Il primo premio della sezione Campania è andato al cortometraggio Appuntamento a Mezzogiorno di Antonio Passaro: "Il cortometraggio si distingue come un’opera di profonda sensibilità, capace di raccontare l’amore nella sua dimensione più pura e universale. Per aver saputo trasmettere, con delicatezza e profondità, la realtà di una vita vissuta attraverso il trascorrere degli anni. Appuntamento a mezzogiorno racconta con autenticità i sentimenti e gli affetti che legano due persone, restituendo allo spettatore una testimonianza visiva intensa e sincera. Il piccolo film traduce con sensibilità il senso di un amore che resiste al tempo, in cui i ricordi diventano custodi di emozioni eterne e di un legame che non si cancella mai. A testimoniare la buona rappresentazione scenica, è stata la intensa interpretazione psicofisica di due bravi e sensibili attori: Nunzia Schiano e Gigi Savoia".
Il premio per la migliore attrice nazionale è andato a Miriam Candurro per Fermata "Le Madonnelle" di Lorenzo Cammisa . "Premio per la capacità di Miriam Candurro di offrire un’interpretazione realistica e mai eccessiva, affrontando una storia che intreccia una terribile vicenda di cronaca con la vita privata della protagonista".
Migliore attore per la giuria artistica è stato Renato Carpentieri con il film breve Camera con Vista di Mario Porfito "Per la visione della sua interpretazione scenica fisica e umorale e al tempo stesso autentica nel suo percorso personale che, come protagonista, restituisce allo spettatore un’esperienza poetica e universale di vita, capace di fondere introspezione e potenza visiva in un linguaggio cinematografico, maturo e originale".
Il premio per la Migliore regia per la giuria artistica è andato a Gennaro Parlato per il film breve Su di Noi :"Con uno sguardo pieno di sensibilità e coraggio, la regia di Gennaro Parlato in modo intimo e consapevole, con una attrattiva sequenza di immagini, conduce lo spettatore dentro le pieghe dell’inconscio, esplorando il peso del silenzio e la forza della liberazione. La sua regia si distingue per sensibilità visiva e profondità narrativa, offrendo un viaggio autentico alla ricerca di una libertà diversa, sessuale e interiore, del protagonista, capace di toccare corde universali dell’animo umano".
Il premio per il miglior documentario è andato invece a La Flobert’s di Francesca Ferrara e Giuseppe Carrella “Per aver affrontato con coraggio e lucidità un tema di drammatica attualità e aver dato voce al dolore e al coraggio di chi resta, trasformando la denuncia in un atto d’amore e di giustizia. Attraverso un linguaggio sobrio e potente, il documentario illumina le ferite collettive delle morti sul lavoro. Un’opera che commuove e risveglia le coscienze, richiamando, con forza, alla responsabilità civile e morale di ciascuno".
I Hate New York del regista Jasmin Baumgartner ha vinto la sezione Internazionale –“ Per aver saputo raccontare, con sottile ironia e profonda umanità, come a volte la sorte e le piccole incomprensioni possano allontanare le persone più dell’amore che le unisce. Sullo sfondo luminoso e notturno di New York, il film intreccia leggerezza e malinconia, mostrando come anche una ricerca apparentemente futile possa diventare un viaggio dentro se stessi e dentro la città. Un’opera capace di sorridere della fragilità umana, restituendole al tempo stesso dignità e poesia".
Ha portato a casa un principale premio anche Martyrion - La Storia di Isabelle di Luca Ciriello e Teresa Antignani per la sezione a tematica ambientale “Per aver saputo trasformare una tragedia individuale in una potente testimonianza collettiva. Attraverso lo sguardo partecipe dell’arte e dell’attivismo, il racconto intreccia dolore, coraggio e giustizia, restituendo dignità a chi è stato vittima e voce a chi non si arrende.
Un film che commuove, scuote e invita a non restare indifferenti di fronte alle morti sul lavoro e agli abusi che deturpano la terra e la vita".
Il pubblico ha assegnato il suo premio al film Sharing is Caring di Vincenzo Mauro.
Si è rinnovato anche per quest’anno il premio per il miglior montaggio, istituito da AMC – Associazione Nazionale Montaggio Cinematografico e Televisivo, con la giuria composta dai giurati Alessandro Giordani, Carla Macrì, Maria Chiara Piccolo e Antonio Toscano ; al montatore Giacomo Lalli per il film La Buona Condotta di Francesco Gheghi è andato il premio edizione 2025. Menzione speciale della giuria di AMC invece è andata al montatore Mirko Platania per il film breve A Domani di Emanuele Vicorito.
accordi @ DISACCORDI – Festival internazionale del cortometraggio a Napoli è organizzato dall’associazione Movies Event con il contributo della Regione Campania tramite il fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo. Il Festival si avvale della partnership internazionale del canadese Italian Contemporay Film Festival, della preziosa collaborazione del Centro Sperimentale di Cinematografia – Production, dell’Associazione Festival Italiani di Cinema e delle agenzie nazionali di promozione cinematografica tedesca, francese e belga.
www.accordiedisaccordi.it
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ANAFePC, l’Accademia Nazionale per l’Alta Formazione e Promozione della Cultura prosegue il suo impegno attraverso focus periodici sui temi strategici per il futuro della Paese e delle varie comunità. Oggi l’attenzione torna sulla sanità siciliana, in vista della scadenza utile di giugno 2026 per l’attuazione del DM 77/2022 sulla riforma della sanità territoriale.
Il diritto alla salute viene garantito dalla Costituzione e richiede nella sua attuazione degli standard uniformi e adeguati in tutta la regione siciliana. I dati Agenas di settembre 2025 collocano la Sicilia al 17° posto per attuazione della riforma, evidenziando chiari ritardi che impongono la richiesta di una maggiore trasparenza e responsabilità oltre che interventi urgenti. I cittadini devono conoscere le reali azioni che verranno avviate dalla Regione e dalle Asp per rafforzare la sanità di prossimità: utili il coordinamento tra enti, la copertura dei servizi, le assunzioni, gli investimenti e l’utilizzo delle risorse del Pnrr. Solo così si potrà garantire la presa in carico dei più fragili ed evitare il ricorso al privato, tutelando equità e universalità del Servizio Sanitario Nazionale.
“È fondamentale che i cittadini siano informati con chiarezza sullo stato della riforma sanitaria in Sicilia – dichiara Calogero Coniglio, presidente ANAFePC Accademia Nazionale per l’Alta Formazione e Promozione della Cultura - “sentiamo il dovere civico di stimolare un confronto serio tra istituzioni, operatori e cittadini”.
ANAFePC chiede che, prima della scadenza di giugno 2026, l’Assessorato regionale alla Salute chiarisca gli obiettivi raggiunti, le criticità, le prossime tappe e le soluzioni. In gioco ci sono la salute dei cittadini, la fiducia istituzionale e la tenuta del sistema sanitario siciliano.
È doveroso che l’Assessorato regionale alla Salute fornisca ai cittadini un’informativa chiara sull’avanzamento della riforma, indicando quali strutture e servizi sono attivi e quali criticità sono oggetto di rallentamento sui tempi previsti. L’attuazione è fondamentale per risolvere i problemi quotidiani come assistenza domiciliare frammentata, pronto soccorso intasati, lunghe liste d’attesa e carenza di personale medico, infermieristico, tecnico e di supporto, oltre alle difficoltà nei servizi territoriali e consultori.
“Le criticità del sistema sanitario regionale sono evidenti – “aggiunge Maurizio Cirignotta, vicepresidente ANAFePC – “serve una svolta concreta per garantire equità e centralità della persona, evitando che i ritardi sul DM 77 compromettano un’occasione storica per la Sicilia”.
Il Decreto Ministeriale 77/2022, che dovrebbe rivoluzionare l’assistenza sul territorio, prevede strumenti precisi: le Case della Comunità, le Centrali Operative Territoriali (COT), gli Ospedali di Comunità, i servizi di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). Tuttavia, ad oggi, l’informazione pubblica sul loro stato di realizzazione è scarsa e frammentaria.
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Il palazzo poi aveva una vetrata opaca che nascondeva le scale che conducevano ai piani superiori. Per accedere agli appartamenti occorreva salire i gradini di una scalinata di marmo consunto e bucherellato dal tempo. Spesso ci sedevamo, noi ragazzi, su quei gradini a progettare fantasie con le quali far trascorrere il tempo delle nostre giornate.

In un paesino della provincia messinese, cinque adolescenti si contendono il controllo e l’uso di una palestra all’aperto contro una gang di quartiere. Tra una scaramuccia e l’altra, ognuno di loro coltiva un sogno che, spesso, viene condiviso con gli altri durante i momenti di dialogo e confronto. È l’innesco del nuovo imperdibile romanzo di Piero Buscemi da oggi in vendita.
Il romanzo di Piero Buscemi è acquistabile in formato ebook su tutti gli store digitali italiani, e in formato cartaceo con il sistema del print on demand.
L’autore
Piero Buscemi è nato a Torino nel 1965. Redattore del periodico online www.girodivite.it, ha pubblicato : "Passato, presente e futuro" (1998), "Ossidiana" (2001, 2013), "Apologia di pensiero" (2001), "Querelle" (2004; nel 2021 in edizione ZeroBook, nel 2022 in edizione inglese), L’isola dei cani (2008, ZeroBook 2016), "Cucunci" (2011), “Le ombre del mare” (2017, edito da Bibliotheka – nel 2025 riedito da ZeroBook), Enne (ZeroBook 2020). Ha curato l’antologia di poesie Accanto ad un bicchiere di vino (ZeroBook 2016); e le antologie di articoli di vari autori pubblicati su Girodivite: Parole rubate (2017), Celluloide (2017). Per il volume di poesie Iridea di Alice Morino (ZeroBook, 2019) ha contribuito con una scelta di suggestioni fotografiche. Vincitore di diversi premi letterari, alcuni suoi racconti e poesie sono contenuti in alcune antologie nazionali. Il romanzo "Querelle" è stato tradotto in inglese e pubblicato dalla Pulpbits Press (Stati Uniti). Nel 2022 pubblica la raccolta di articoli dedicati al tennis Di dritto e di rovescio : L’importanza del raccattapalle ed altre storie (ZeroBook); nel 2023 il romanzo Il giudizio dell’acqua (ZeroBook). È tra i fondatori dell’Associazione culturale "Aromi Letterari" di Messina. Sostenitore di Greenpeace, di Amref, collabora con le attività condotte da Amnesty International, è donatore sangue Avis.
Sinossi editoriale
In un paesino della provincia messinese, cinque adolescenti si contendono il controllo e l’uso di una palestra all’aperto contro una gang di quartiere. Tra una scaramuccia e l’altra, ognuno di loro coltiva un sogno che, spesso, viene condiviso con gli altri durante i momenti di dialogo e confronto. Hanno un luogo di ritrovo per le loro riunioni, un vecchio pozzo chiuso, situato all’interno del quartiere dove vivono. A stravolgere e iniettare nuovi stimoli a una ormai monotona faida di quartiere, interviene un altro ragazzo, di qualche anno più grande che, durante il giorno, aiuta il padre a gestire un laboratorio di fotografia, concedendosi lo svago e la distrazione di leggere dei libri presso la biblioteca comunale del paese. Durante queste letture, questo ragazzo farà la scoperta di un’antica casa posta non lontano dal luogo di ritrovo quotidiano. Una casa che nasconde dei segreti legati alla storia risorgimentale del paese e alla creazione di un limone, chiamato “Interdonato” dal cognome del suo creatore, protagonista in prima persona della Spedizione dei Mille garibaldina, alla quale si unirà. Il ragazzo più adulto convincerà il resto del gruppo a unirsi a un’avventura, decidendo di esplorare la casa, dalla quale ogni giorno scorge la figura di una donna anziana che all’interno svolge le mansioni di domestica.
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La vicenda è nota: Angelo D’Orsi, storico e accademico, avrebbe dovuto tenere una conferenza dal titolo “Russofobia, russofilia, verità” presso il Polo del 900 a Torino, ma l’evento previsto per il 12 novembre è stato annullato a seguito di un post di Carlo Calenda, che ha chiesto al sindaco di Torino Stefano Lo Russo di intervenire per fermare l’iniziativa definendola “propaganda putiniana”, richiesta che è stata rilanciata da Europa radicale e da Pina Picierno, vicepresidente PD del Parlamento Europeo. A stretto giro è poi arrivata una presa di posizione ufficiale dell’Anppia nazionale, che ha preso le distanze dall’adesione della sua sezione torinese alla conferenza. A fronte di quello che a molti appare come un atto di censura, il circolo Arci La Poderosa ha offerto la propria sede per ospitare l’incontro con la partecipazione del giornalista Vincenzo Lorusso, in collegamento da Lugansk, di Alessandro Di Battista e di Moni Ovadia.
Questo l’antefatto. Certo il confronto tra la manifestazione degli antiputiniani doc che si è svolta nel tardo pomeriggio in centro e la serata a La Poderosa è impietoso: una sessantina mal contata contro un capiente salone stracolmo già un’ora prima dell’inizio della conferenza, tanto che gli organizzatori hanno dovuto predisporre sedie e impianto audio nel cortile; c’era parecchia gente ad ascoltare assiepata anche in strada.
Prima dell’inizio della conferenza sono riuscito a chiedere ad Angelo D’Orsi qual è il senso del titolo della sua riflessione su russofobia, russofilia, verità e cosa pensa della censura che lo ha colpito.
“In generale” mi ha risposto il professore “diciamo che la russofobia, pur avendo momenti alterni, in realtà ha degli elementi di fondo. Vale a dire che i russi sono presentati non solo come orientali, ma come barbari, diversi da noi, sono un altro da noi che non ci interessa conoscere, con il quale non ci interessa dialogare. Questo è l’elemento di fondo che attraversa le varie epoche. Ci sono stati però anche dei momenti di russofilia, cioè di attenzione benevola verso la Russia, ad esempio quando è andato al potere Gorbaciov. C’è stato un momento più remoto di russofilia dopo la prima rivoluzione russa, quella del febbraio del 1917 con la caduta dello Zar, che aveva suscitato entusiasmo anche nel mondo occidentale, e perfino con la nascita dello Stato Sovietico c’è stato un momento di attenzione benevola per ciò che stava accadendo in Russia; tra l’altro Torino è stata capofila da questo punto di vista. Noi non possiamo concepire, infatti, un’identità europea che escluda Tolstoj, Dostoevskij, Cechov, o tutto ciò che la Russia ha prodotto nei secoli perché è parte intrinseca della nostra identità europea. La russofobia poi invece ha prevalso negli anni della guerra fredda e, dopo la fine dell’URSS, da quando Putin è salito al potere.
“Oggi” ha proseguito D’Orsi “i media hanno cominciato di nuovo a spargere una russofobia veramente estrema, anche grottesca, ridicola, di cui noi siamo ancora vittime. Allora lo scopo della mia conferenza è proprio questo, provare a mettere un po’ le cose in chiaro, analizzando le scaturigini storiche, le implicazioni politiche e la situazione attuale, mostrando anche l’assurdità e la stupidità della russofobia.”
Alla mia domanda sull’annullamento della serata al Polo del 900, il professor D’Orsi ha risposto: “Assolutamente non mi aspettavo, non avrei mai potuto immaginare, neanche in un incubo, che nella mia città, dove io sono stato professore universitario per 45 anni, dove ora insegno come professore a contratto al Politecnico, mi si impedisse di tenere una pubblica lezione. Non mi è mai successo, io faccio lezioni un po’ dappertutto, tra novembre e dicembre ne farò due a Parigi, una a Teheran, a Saragozza, a Barcellona e in varie città italiane. Ma che nella mia città mi si impedisse di fare una conferenza al Polo del Novecento è veramente una cosa raccapricciante. Calenda è un personaggio per me patetico, però ho anche contato che ieri erano 500 i messaggi, adesso sono di più, di solidarietà, in cui mi incoraggiano a non mollare, andare avanti, e così via. Anzi, mi invitano ad approfittare di questa situazione per rilanciare un movimento che parta da alcune basi, uno delle quali è il rifiuto della guerra, il rifiuto del sostegno a questa guerra accelerata in cui noi siamo pienamente implicati.
Insomma, io prima non mi aspettavo la censura e dopo non mi aspettavo tanto movimento di solidarietà, che non è solidarietà ad Angelo D’Orsi, che non conta niente, ma è solidarietà all’idea che non possiamo lasciarci sopraffare, non possiamo perdere il diritto all’espressione di un pensiero diverso rispetto al pensiero binario: cioè che se non sei a favore di Zelensky, sei per Putin, se non sei a favore di Netanyahu, sei per Hamas, c’è solo il 7 ottobre, il 22 febbraio eccetera, eccetera. In realtà è compito dello storico di far vedere proprio i processi che portano alle situazioni attuali e questa conferenza è parte del mio mestiere di storico. Quindi la parola verità nel titolo ha proprio questo senso. Il compito della storia è accertare la verità al di là della russofobia e della russofilia, tutto qua”.
Questi concetti sono stati approfonditi dal professor D’Orsi durante la conferenza che ha visto la partecipazione on line di Vincenzo Lorusso, intervenuto da Lugansk, Alessandro Dibattista e Moni Ovadia, che hanno espresso solidarietà e sdegno per la censura e preoccupazione per il clima di intolleranza verso le voci indipendenti portato avanti da questo governo di destra, ma purtroppo anche da parti dell’opposizione. D’Orsi ha concluso con queste parole la serata a La Poderosa: “Il fascismo ha sempre imposto il proprio potere non solo con la repressione, ma soprattutto con la prevenzione e l’atto di censura preventiva che voleva impedirmi di parlare gli assomiglia molto”
Questo articolo di Cesare Manachino è stato diffuso da Pressenza.
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Eppure il sistema funziona, eccome se funziona. Ho spesso la tentazione di lamentarmi delle situazioni che mi coinvolgono in prima persona e di quelle internazionali, di cui si sente qualche rumors. Concentrandomi sull’Italia, osservando dall’esterno le varie realtà, mi colpiscono quelle che ritengo essenziali perché la nostra società sia presentabile, accogliente ed egalitaria nelle sue forme più concrete che formano i principi democratici e costituzionali a cui siamo stati educati e con i quali ci ostiniamo a educare le nuove generazioni, sempre che il ministro dell’istruzione e del merito (le minuscole sono volute) ci consenta di farlo.
Lavoro, sicurezza, istruzione, sanità e giustizia sono questi gli elementi essenziali e, purtroppo, saremo costretti a votare per il referendum sulla separazione delle carriere, mentre la nostra società si sta sgretolando sull’altare della democrazia.
La Repubblica italiana è fondata sul lavoro. Su questo non si discute, è scritto nella Costituzione. Ma quale lavoro? Quello precario che da più di vent’anni detta le regole del mercato e che sfrutta i lavoratori fino al momento in cui, per raggiunto limite d’età o se un incidente sul lavoro non li ha travolti, si vedono esclusi dalla produttività. Marco Biagi fu ucciso dalle brigate rosse nel 2002. Mi piacerebbe sapere se chi lo uccise si sarebbe immaginato che il lavoro sarebbe diventato precario tout court. Sono sicuro che mai avrebbe immaginato che per sfruttare i lavoratori si sarebbero inventati non solo i contratti a termine ma addirittura di far figurare sui contratti un esiguo numero di ore di lavoro (dalle 3 alle 6 ore settimanali), per risparmiare sui contributi statali, rispetto a una settimana lavorativa di almeno 36 ore.
La sicurezza nelle nostre strade è diventata una bandiera elettorale per molti che, spesso, hanno paura di uscire di casa o addirittura di rimanere in casa, meglio in villa, per paura di essere sequestrati, o turlupinati: i nostri risparmi di una vita dedicata al lavoro sono o non sono sacri? Ci permettiamo l’indifferenza verso i morti nel Mediterraneo o l’ignoranza nei confronti dei centri per il rimpatrio (CPR) e del fatto che migliaia di persone dormano all’aperto, o in condizioni disumane, nelle nostre strade e campagne. Preferiamo pensare che spaccino droga e che ci rubino il lavoro che è alla base della nostra Repubblica. Preferiamo pensare che sia a causa degli stranieri se la delinquenza aumenta ogni anno e, proprio per questo, le carceri sono piene di sporchi negri.
La laurea è importante perché permette di svolgere professioni che, pur se nel nostro paese non sono tutelate adeguatamente, permettono un guadagno superiore, rispetto a chi non ha voglia di studiare o è uno sporco immigrato. Anche il diploma è importante e vorremmo negarlo a chi usa in classe quel maledetto aggeggio che va in rete e che i giovani utilizzano continuamente nelle ore di veglia? Ops scusate, mi assento un attimo, ho ricevuto un messaggio WhatsApp importante… Quando avevo a che fare con studenti riottosi ad abbandonare lo smartphone, con fare scherzoso li ammonivo con questa frase: «Attento, se continui così, diventerai cieco!», ricordando gli ammonimenti clericali di quando ero ragazzo, con buona pace dei ricordi felliniani.
E vorremmo non dare un diploma a chi si rifiuta di svolgere la prova orale dell’esame di maturità (evviva, sembra un tuffo nel passato)? Sono studenti che colgono, anche se inconsapevolmente, gli aspetti anacronistici del mondo della scuola, quando vengono richieste loro competenze che il medesimo mondo non può fornire in quanto sembra essersi rinchiuso in una bolla estranea alla realtà.
Ricordo che gli studenti protestavano anche per poter parlare di educazione sessuale a scuola (mi chiedo dov’era il ministro dell’istruzione e del merito, forse era andato al mare?), per evitare incidenti inconsapevoli a chi era colpito da tempeste ormonali, peraltro assolutamente naturali. Con un pochettino di ritardo ora si vorrebbe introdurla come materia anche alle scuole medie. Pardon, si definisce educazione all’affettività: non è mai stata insegnata e se oggi l’educazione sessuale o all’affettività, che dir si voglia, è intesa dagli adolescenti in modo sbagliato, a volte morboso, e crea dei disastri annunciati di violenza e di morte, forse la scuola non c’entra nulla ma è responsabilità della società e, in modo particolare, di chi detiene e ha detenuto il potere negli ultimi 30/70 anni, tanto per non scontentare nessuno.
Ma come, l’altro giorno sono andato a fare una visita in ospedale e mi ha ricevuto un medico negro (molto tempo fa c’era lo stesso sconforto se il medico era donna). Ho scoperto che non ci sono medici a sufficienza nelle strutture pubbliche e che spesso i medici sono reclutati dall’estero (lo stesso da dove provengo i migranti) oppure sono medici italiani, a gettone, che svolgono mansioni massacranti e, a volte, non possiedono nemmeno gli skill per la funzione richiesta. Sempre per non parlare di coloro che si rifiutano di accedere alle cure mediche perché troppo costose. Ricordo il periodo del flagello dei nostri giorni: il Covid, i vaccini e i No-Vax che imperversavano, disturbati e non. I soldi non c’erano allora come non ci sono oggi. Ma come il PNRR che ricordo significa Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Resistenza sarebbe stato un termine troppo comunista) dov’è andato speso? Forse nei progetti di un ponte che sarà il nostro vanto italico.
Nelle nostre strade si va diffondendo uno slogan «Giustizia Giusta!». Ma come la Giustizia non sarebbe giusta in Italia? Non lo è stata durante il ventennio, (quando c’era lui, caro lei!) ma quella era una dittatura, una feroce dittatura mentre ora siamo in democrazia. Nella mia montesquieana memoria, da non confondersi con la memoria montalbaniana, i tre poteri sono sempre stati divisi: Legislativo, Esecutivo e Giudiziario. Ora vogliamo suddividere il terzo in due tronconi: separazione delle carriere nelle due fondamentali, inquirente e requirente e sfido chiunque a spiegarne il significato alla maggioranza delle persone che dovranno recarsi alle urne per svolgere il loro diritto/dovere di partecipazione alla vita democratica. Forse questa riforma costituzionale è stata approvata proprio per sfruttare l’ignoranza della popolazione e sviarne l’attenzione su un delitto efferato che però si è compiuto quasi vent’anni fa. Che sia un orrendo gioco di potere?

Tragicamente, penso proprio di sì. Quello che mi preoccupa di più è che il prossimo referendum, in quanto afferisce a un mutamento della Costituzione, non avrà il quorum e cioè non ci sarà lo sbarramento della percentuale al 50% dei votanti per ottenere l’approvazione della riforma. Così chi non andrà a votare si rimetterà al volere del potere vigente. La democrazia si sta davvero sgretolando.
Eppure il sistema funziona. Non possiamo negare che il sistema funzioni: dalla nascita della Repubblica e fino a tangentopoli la Democrazia Cristiana ha fatto funzionare il sistema con una serie di pesi e contrappesi perfetti: come dire, un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Dopo questo equilibrio precario, dovuto alla guerra fredda, il sistema ha continuato a funzionare assumendo caratteri che, di volta in volta, sono stati più buonisti, goderecci o foschi e lugubri. Ma ha continuato a funzionare. Negli ultimi trent’anni chi è andato al potere ha avuto un unico scopo: mantenere lo status quo.
Il lavoro è diventato più precario con i sindacati che si divertono ad allungare i fine settimana, visto che non hanno la possibilità di far scioperare per più di un giorno e non saprebbero nemmeno se l’adesione raggiungerebbe un risultato significativo, visto che i lavoratori più politicizzati sono ormai tutti in pensione.
La sicurezza nelle strade è comunque accettabile e allora ci concentriamo sul riarmo che è una valvola di sfogo per l’economia e ci fa sentire più sicuri da invasioni indesiderate, fuorché da quelle della zanzara tigre. I migranti sono tutti delinquenti e se muoiono ci lasciano indifferenti.
Il mondo della scuola non è più educativo perché, invece di preoccuparsi della didattica, si è concentrato sulla democrazia partecipativa e sui bambini, senza accorgersi che gli adolescenti, quando cominciano a capire qualcosa del mondo degli adulti, scappano terrorizzati e si rifugiano in un mondo virtuale che, per assurdo, sembra sia più rassicurante della società. L’educazione deve essere approvata da tutti, genitori compresi? Forse anche no.
Gli ospedali non funzionano? Lasciamo che qualche facinoroso si scagli con violenza nei confronti di medici e infermieri fino a che la popolazione non si renderà conto di quanto lo stato italiano sia preoccupato della salute dei suoi cittadini. Se poi qualcuno non si vorrà curare, saranno affari suoi. I medici migliori continueremo a pagarli di più nelle strutture private e se poi ci sarà qualche raccomandato, pazienza, da che mondo è mondo, c’è sempre stato qualche furbetto.
La Giustizia non è giusta? Rimbocchiamoci le maniche: divide et impera. Dividiamo la magistratura in due, creiamo due Consigli Superiori della Magistratura, sorteggiamo i giudici, così la politica estenderà il proprio potere e la propria influenza su un altro potere della Repubblica. Mai più Tangentopoli. Così l’Italia sarà più efficiente anche se i politici non dovranno più pagare per i loro abusi. E cosa importa se i processi dureranno un’infinità? Meglio, anche perché saranno processati solo i rubagalline, quelli che non hanno la politica pronta a difenderli da quei giudici assetati di sangue politico. Le carceri si affolleranno sempre di più. Provate a pensarci: senza quella magistratura agguerrita contro il potere, costruiremo ponti, i treni saranno in orario e le autostrade finalmente saranno sgombre dal traffico.
Eppure il sistema funziona, eccome se funziona. Forse questa situazione non potrà reggere a lungo ma il potere fa di tutto per mantenere lo status quo e, mi verrebbe da dire, ante. Le nostre lamentazioni, i nostri “cahier de doleance”, di rivoluzionaria francese memoria, non solo il potere li metabolizza ma se ne nutre, quasi fossero un favo stillante. Ricordate il divo Giulio, al secolo Giulio Andreotti, quel simpatico politico che, nel bene e nel male, ha fatto la storia della nostra prima repubblica [1]? Quando era sottosegretario dei governi De Gasperi fu soprannominato l’onorevole assicurazioni perché aveva parole di conforto per chiunque riuscisse ad avvicinarlo. Almeno qualcuno si illudeva che i suoi problemi quotidiani fossero degni di attenzione per quel politico fisicamente un po’ sgraziato.
Eppure il sistema funziona, eccome se funziona. Negli ultimi trent’anni, il nostro ideale democratico si è ridotto al lumicino: ci lamentiamo (sia a destra sia a sinistra, a seconda di chi è al potere) fieri della nostra libertà d’espressione e andiamo a votare. Sono convinto che quando la mia generazione sarà passata a miglior vita, oggi rappresenta la stragrande maggioranza della popolazione, saranno solo pochi eletti che utilizzeranno il voto come strumento di partecipazione democratica.
Quindi la domanda rimane solo quella di leninista o tolstoiana memoria: Che fare? Il mio anziano cervello rimane un po’ confuso: continuo ad annaspare, vado a votare e mi illudo che le mie idee siano condivise. Il referendum della prossima primavera, dove spero che tutti si rechino alle urne, sarà il banco di prova resistente, pardon resiliente, della democrazia italiana.
Per qualsiasi elezione politica futura, dalle regionali alle politiche vere e proprie, invito ad andare a votare in massa e a scarabocchiare la scheda, come bambini che vengono invitati a colorare un disegno prestampato. Al contrario della scheda bianca, questo eviterà i brogli. Come vorrei che almeno il 90% degli aventi diritto andassero a votare e che quasi tutti annullassero la scheda. Forse i partiti la smetterebbero di dire che hanno vinto, anche se hanno evidentemente perso, e soprattutto non potrebbero più permettersi di dire che il governo è espressione della volontà popolare. Forse qualcosa cambierebbe e finalmente il sistema funzionerebbe negli interessi del popolo, pardon della popolazione.
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Dall’8 giugno e fino al 23, a Ortigia (Siracusa) in via Roma 30 - da Spazio30 Ortigia - collettiva di Bertrand/ Lasagna/Mirabile

Una collettiva di pittura , che spazia dal figurativo all’astrazione, il titolo prende spunto da una citazione del libro di Francesco Antonio Lepore (la bestemmia del silenzio), a proposito di un libro di Milan Kundera (la vita è altrove) dove si parla di silenzio assordante ”solo il vero poeta sa che cosa sia l’immenso desiderio di non essere poeta, il desiderio di abbandonare la casa degli specchi, in cui regna un silenzio assordante”
In expo:
Bertrand / Lasagna / Mrabile
Spazio 30, Via Roma 30, Siracusa. Dall’8 Giugno 2012
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A Niscemi la Carovana antimafie e No MUOS
La Carovana contro tutte le mafie alza il tiro contro il dilagante processo di militarizzazione del Mezzogiorno. Lunedì 4 giugno, Niscemi ospiterà la tappa chiave siciliana dell’evento internazionale promosso da Arci, Libera e Avviso Pubblico con la collaborazione di Cgil, Cisl, Uil, Banca Etica, Ligue de L’Enseignement e Ucca. L’appuntamento è per le ore 17 per un giro di conoscenza della “Sughereta”, la riserva naturale in contrada Ulmo sono in corso i devastanti lavori di realizzazione di uno dei quattro terminali terrestri del MUOS, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare delle forze armate Usa. Alle 18, proprio di fronte ai cantieri i quella che nelle logiche dei Signori di Morte darà l’arma perfetta per i conflitti del XXI secolo, Comitati No MUOS, giornalisti, ricercatori ed esponenti del volontariato denunceranno in diretta streaming la rilevanza criminale e criminogena dello strumento militare. Poi, alle 20, tutti in piazza per un happening di parole, suoni e immagini per ribadire il No al MUOS e per un Mediterraneo di pace, con un legame ideale con la straordinaria stagione di manifestazioni, 30 anni fa, contro i missili nucleari Cruise di Comiso.
Saranno in tanti a giungere a Niscemi per testimoniare la centralità della lotta contro le disumanizzanti tecnologie di guerra che Usa e Nato puntano a installare in Sicilia (oltre al MUOS, gli aerei senza pilota Global Hawk e Predator). Da Paolo Beni (presidente nazionale Arci) ad Alessandro Cobianchi (responsabile nazionale Carovane antimafie), da Luigi Ciotti (presidente Libera) a Giovanni Di Martino (vicepresidente di Avviso Pubblico) e Antonio Riolo (segreteria regionale Cgil). E i giornalisti Nino Amadore, Oliviero Beha, Attilio Bolzoni e Riccardo Orioles con i musicisti Toti Poeta e Cisco dei Modena City Ramblers. Ma saranno soprattutto le ragazze e i ragazzi dei Comitati No MUOS sorti in Sicilia ad animare l’evento e raccontare la loro voglia di vivere liberi dall’orrore delle guerre e dalle micidiali microonde elettromagnetiche. “Il 4 giugno, così come è stato lo scorso 4 aprile a Comiso e il 19 maggio a Vittoria, ricorderemo attivamente il sacrificio di Pio la Torre e Rosario Di Salvo, vittime del connubio mafia-militarizzazione”, spiega Irene C. del Movimento No MUOS di Niscemi. “Dalla realizzazione della base nucleare di Comiso all’espansione dello scalo di Sigonella, l’infiltrazione nei lavori delle grandi organizzazioni criminali è stata una costante. Ciò sta avvenendo nella più totale impunità pure per i lavori di realizzazione del sistema satellitare di Niscemi”. Le basi in cemento armato su cui stanno per essere montate le maxiantenne del MUOS portano la firma della Calcestruzzi Piazza Srl, un’azienda locale che a fine 2011 è stata esclusa dall’albo dei fornitori di fiducia dell’amministrazione provinciale di Caltanissetta e del Comune di Niscemi. I provvedimenti sono stati decisi dopo che la Prefettura, il 7 novembre, aveva reso noto che a seguito delle verifiche disposte dalle normative in materia di certificazione antimafia erano “emersi elementi tali da non potere escludere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società”. Secondo quando evidenziato dal sen. Giuseppe Lumia (Pd), il titolare de facto, Vincenzo Piazza, apparirebbe infatti “fortemente legato al noto esponente mafioso del clan Giugno-Arcerito, Giancarlo Giugno, attualmente libero a Niscemi”. Ciononostante, le forze armate italiane e statunitensi non hanno ritenuto di dover intervenire per revocare il subappalto alla Calcestruzzi Piazza. L’1 aprile 2012, i titolari dell’azienda hanno deciso di rispondere ai presunti “detrattori”. Con un colpo ad effetto, hanno annunciato la chiusura dell’azienda e il licenziamento degli otto dipendenti con contratto a tempo indeterminato. “Dobbiamo interrompere il rapporto di lavoro a causa dei gravi problemi economici che attraversa l’azienda per la mancanza di commesse”, ha spiegato uno dei titolari. I responsabili? “Alcuni giornalisti e i soliti professionisti antimafia che infangano il nostro buon nome”. Lunedì 7 maggio, mentre a Niscemi erano ancora aperte le urne per il rinnovo del consiglio comunale, uno dei Piazza ha minacciato in piazza di darsi fuoco con la benzina. Al centro delle invettive, sempre gli stessi cronisti “calunniatori” e gli “invidiosi” per la commessa militare.
Da quando No MUOS significa No Mafia, il clima in città è tornato a farsi pesante. E la Carovana assume il compito di portare solidarietà a tutti quei giovani che sognano ancora una Niscemi libera dalle basi di guerra e dalla criminalità.
Antonio Mazzeo
CG
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Catania: i film di Giugno all’Arena Argentina
http://www.cinestudio.eu/arena-argentina-programma-giugno/
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“Non si svolgerà la parata militare del 2 giugno Roma. La parata militare del 2 giugno, quest’anno, non si svolgerà. Lo ha comunicato il ministro della difesa Forlani, con una nota ufficiale. La decisione è stata presa a seguito della grave sciagura del Friuli e per far si che i militari e i mezzi di stanza al nord siano utilizzati per aiutare i terremotati anziché per sfilare a via dei Fori imperiali.” 11 maggio 1976
Via: http://3nding.tumblr.com/
Vedi online: 3nding.tumblr.com
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Si è tenuta ieri mattina la conferenza stampa del circolo Città Futura PRC – FdS sulla questione della mancata restituzione agli utenti Sidra del canone « fognature e depurazione ». Maria Merlini, segretaria del circolo, ha brevemente ripreso le varie tappe della vicenda: questo canone – riscosso dalla Sidra dal 2006 al 2008, raddoppiando le bollette – è stato dichiarato illegittimo dalla sentenza n.335/2008 della Corte Costituzionale nel caso di abitazioni la cui rete fognaria non sia collegata ad un depuratore, cioè – per quanto riguarda Catania – per l’80% degli utenti. Già all’indomani della sentenza il circolo Città Futura, che fin dall’inizio aveva denunciato l’iniquità della riscossione di questo canone, si era subito attivato per permettere ai cittadini di chiedere alla Sidra il rimborso delle somme riscosse illegittimamente, consegnando moltissime richieste formali di rimborso agli uffici della società. Un provvedimento normativo del 2009 ha imposto la restituzione del canone entro il 2013, previa autorizzazione degli ATO. Ma nonostante l’ATO competente abbia deliberato già nel 2010 la restituzione del canone, quantificandone l’ammontare complessivo in quasi 2 milioni e mezzo di euro, la Sidra non ha ancora restituito nulla agli utenti, nascondendosi dietro un ipotetico conflitto di attribuzione tra l’ATO, la Sidra ed il Comune di Catania, che della Sidra è unico azionista. Per questa ragione il circolo Città Futura nei giorni scorsi ha incontrato il Prefetto di Catania, che ha dichiarato che si attiverà immediatamente contattando i tre soggetti interessati, affinchè venga fatta chiarezza sulla vicenda e vengano finalmente restituite ai cittadini le somme illegittimamente loro imposte. A conclusione della conferenza stampa, Luca Cangemi – del coordinamento nazionale della Federazione della Sinistra – ha denunciato come l’atteggiamento della Sidra sia ancor più inaccettabile in un contesto di grave crisi economica ed occupazionale, in cui la restituzione di queste somme indebitamente riscosse potrebbe dare un pur piccolo sollievo ai cittadini, già alle prese con l’aumento di altre tasse e servizi come la TARSU e l’IMU, annunciando che in mancanza di una rapida soluzione della vicenda il circolo Città Futura organizzerà un’azione legale degli utenti per pretendere dalla Sidra quanto dovuto.
http://circolocittafutura.blogspot.it/2012/05/sidra-la-vertenza-continua.html
Vedi online: http://circolocittafutura.blogspot....
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giovedì 31 maggio, dalle ore 19,30, al circolo città futura, via Gargano 37 Catania inaugurazione della mostra, a cura del collettivo LGBTQ IbrideVoci, ORGOGLIOSE R/ESISTENZE: 18 anni di movimento gay/lesbo/trans/queer a Catania videoproiezione "Orgogliosa Resistenza: volti e corpi del Pride", foto di Alberta Dionisi AperiCena... una serata di incontro e socialità con bar e buffet a volontà a prezzi anticrisi
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ATTACCO AL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO E DISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ PUBBLICA
Seminario di approfondimento
martedì 29 maggio ore 19 via Gargano 37
Coordina:
Luca Cangemi (segretario circolo PRC Olga Benario)
Intervengono:
Giuliana Barbarino (collettivo Gatti Fisici);
Nunzio Famoso (già preside Facoltà di Lingue);
Felice Rappazzo (docente Università di Catania);
Chiara Rizzica (coordinamento precari della ricerca)
Circolo Olga Benario
Rifondazione Comunista – FdS
Via Gargano, 37 Catania
Fb: PRC Catania Olga Benario - circolo.olgabenario@libero.it
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la Feltrinelli Libri e Musica
Giovedi’ 24 Maggio
alle ore 18
presso il bistrot de la Feltrinelli Libri e Musica
di via Etnea 285 a Catania
PAOLO MONDANI
e
ARMANDO SORRENTINO
presentano
CHI HA UCCISO
PIO LA TORRE?
Omicidio di mafia o politico?
La verità sulla morte
del più importante dirigente comunista assassinato in Italia
CASTELVECCHI
intervengono
ADRIANA LAUDANI
e
PINELLA LEOCATA
inoltre ha assicurato la sua presenza
il Procuratore della Repubblica di Catania
GIOVANNI SALVI
Pio La Torre viene ucciso il 30 aprile 1982. Indagini farraginose e un lunghissimo processo indicheranno come movente dell’omicidio la proposta di legge sulla confisca dei patrimoni mafiosi, di cui era stato il più deciso sostenitore. Esecutore: Cosa Nostra. Un movente tranquillizzante. Un mandante rimasto nell’ombra. In realtà, con la morte di La Torre si compie un ciclo di grandi omicidi politici iniziati con l’uccisione, nel 1978, di Aldo Moro e proseguito, nel 1980, con la soppressione di Piersanti Mattarella, presidente democristiano della Regione Sicilia. Uomini che volevano un’Italia libera dal peso della mafia politica e dall’influenza delle superpotenze. Dalle carte dei servizi segreti risulta che La Torre viene pedinato fino a una settimana prima della morte. Nel 1976, la sua relazione di minoranza alla Commissione parlamentare Antimafia passerà alla storia come il primo atto di accusa contro la Dc di Lima, Gioia, Ciancimino e la mafia finanziaria. Nel 1980, in Parlamento non teme di “spiegare” l’omicidio Mattarella con il caso Sindona e con la riscoperta di una vocazione americana della mafia siciliana. È La Torre a conoscere i risvolti più segreti dell’attività del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; a comprendere il peso della P2; a intuire la posta in gioco con l’installazione della base missilistica Usa a Comiso; a intravedere, con nove anni di anticipo, il peso di strutture come Gladio. Raccoglie e riceve documenti riservati, appunta tutto in una grande agenda: di questo non si troverà nulla. Nei mesi che precedono il suo assassinio, La Torre torna in Sicilia a guidare il Pci fuori dalle secche del consociativismo, nel tormentato tentativo di ridare smalto a un partito spento. Trent’anni dopo l’omicidio, l’esperienza complessa e straordinaria di La Torre spiega molto delle sorti attuali della sinistra e della democrazia nel nostro Paese. E, per la prima volta, si cerca di leggere in controluce un delitto colmo di episodi per troppo tempo tenuti all’oscuro.
Paolo Mondani è giornalista d’inchiesta. Nel 1997 ha collaborato agli Speciali di Raidue. Sempre per la Rai ha lavorato come inviato per Circus, Raggio Verde, Sciuscià, ed Emergenza Guerra. Nel 2003 è stato coautore di Report insieme a Milena Gabanelli. Nel 2006 è stato a fianco di Michele Santoro in AnnoZero. Dal 2007 è di nuovo firma di punta di Report su Raitre. Tra le suo pubblicazioni «Soldi di famiglia» (Rizzoli).
Armando Sorrentino è avvocato. E’ stato il legale della parte civile Pci-Pds nel processo per l’uccisione di Pio La Torre e di Rosario Salvo. Ha rappresentato la parte civile nei processi per la Strage di Capaci e nel «Borsellino ter». Inizia l’attività negli uffici legali della Cgil, a lungo militante e dirigente locale del Pci-Prs, oggi è impegnato nell’Anpi e con l’Associazione dei Giuristi Democratici.
Grazie e a ritrovarci
Sonia Patanìa
Sonia Patanìa
Responsabile Comunicazione e Eventi
La Feltrinelli Libri e Musica
via Etnea 285, Catania
eventi.catania@lafeltrinelli.it
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Comunicato stampa
19 maggio 2012 – Italia Scuola Morvillo-Falcone
Un sabato mattina di primavera: attentato in istituto professionale di Brindisi - Una morta, un’altra in pericolo di vita, altre ferite e feriti.
Un tentativo di strage …
Una strage di giovani che andavano a imparare in un istituto professionale di tecnica, di moda.
Un istituto frequentato prevalentemente da giovani donne.
Altissimo è il valore simbolico della scelta del luogo, una scuola dove le giovani vanno ad apprendere conoscenze e costruire saperi per lavorare e costruirsi una vita libera e migliore. Significa tante cose la scelta del luogo, basta volerli vedere tutti questi significati, come li ha visti chi ha preparato l’attentato.
Qualunque sia la matrice, qualsiasi possa essere la valenza politica sia di attacco alle istituzioni, o terrorismo di vario stampo, una cosa è certa, che la conta delle morti violente di giovani donne subisce un aumento repentino nel panorama miserevole dei femminicidi quasi quotidiani in ogni parte d’Italia. Che la violenza spietata e disumana, singola o collettiva che sia, si manifesta ancora una volta.
Comunque la si voglia chiamare, questa è la cronaca della arretratezza di un paese che si annovera fra le potenze economiche mondiali, e che si ammanta di una democrazia di cui le donne non possono usufruire né in casa né fuori casa.
Quante sono le morti violente delle donne ogni anno? Nel 2012 in aumento progressivo e, nell’insieme, ogni anno centinaia, una strage che è solo la punta dell’iceberg della violenza maschile. Violenza a cui si aggiunge questa che crea lutto, dolore e terrore in tutto il paese. Paura che entra nelle coscienze perché abbatte uno degli ultimi luoghi, la scuola, considerati generalmente sicuri. Bisogna fermare questa violenza singola e collettiva.
Bisogna porre argine in ogni modo alla strage, prima, durante e dopo qualsiasi indagine o summit.
Non è più tempo di parole e di opinioni, è tempo di scelte, rimedi e di coscienza civile.
Un intero anno abbiamo passato con l’UDI, in tante e tante in tutta Italia con la Staffetta di donne contro la violenza sulle donne, da 25 novembre 2008 al 25 novembre 2009. Su, su dalla Sicilia alla Lombardia.
Fino all’ONU, a New York siamo andate. E ancora siamo qui a fare la conta delle morte e ferite, senza una legge, senza un allarme, senza prevenzione, senza contrasto, senza nessun tentativo di modificare seriamente la cultura della violenza individuandone le radici storiche e politiche.
In poche parole senza alcun intervento adeguato di chi ci rappresenta, amministra ed emana leggi.
Le nostre istituzioni dovrebbero condividere con noi il nostro perenne lutto, e devono riconoscere la nostra grande generosità di donne che sempre collaborano e sopportano nella speranza di una pace meritata. Devono riconoscere l’ingiustizia della condizione di terrore quotidiano in cui siamo costrette a vivere, e devono trovare sempre i colpevoli e garantire una pena certa, devono adoperarsi a promulgare leggi di contrasto e prevenzione alla violenza, di qualsiasi forma e tipo. Perché è un guadagno per tutte e tutti.
Quante volte ancora dovremo piangere vite di donne spezzate per capriccio o per esercizio arbitrario di un potere personale o collettivo, che in Italia purtroppo è ancora monopolio del genere maschile?
Il dolore per Melissa e le altre ragazze e ragazzi è indicibile e può essere espresso solo in parte con la condivisione del terribile dolore dei loro genitori, degli insegnanti e di tutti coloro che riconoscono il valore della vita umana.
UDI Unione Donne in Italia
Sede nazionale Archivio centrale Via dell’Arco di Parma 15 - 00186 Roma Tel 06 6865884 Fax 06 68807103 udinazionale@gmail.com www.udinazionale.org
“Io non compro Golden Lady, Omsa, SiSi, Filodoro, Philippe Matignon, NY Legs, Hue, Arwa fino a quando tutte le operaie OMSA - Faenza non verranno riassunte”
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“L’Italia che non si vede” Rassegna di cinema del reale
Un mito antropologico televisivo, di Maria Helene Bertino, Dario Castelli e Alessandro Gagliardo Catania, mercoledì 9 maggio 2012, ore 21 ZO centro culture contemporanee
Martedì 22 maggio, alle ore 21, presso il centro culture contemporanee ZO, quinto e ultimo appuntamento con “L’Italia che non si vede”, rassegna nazionale di cinema del reale promossa a Catania dall’officina culturale South Media (circolo UCCA). In programma, per la sezione “Le immagini perdute”, “Un mito antropologico televisivo”, un film nato attraverso il lavoro e la ricerca di malastradafilm film, pensato, discusso e montato da Helene Bertino, Dario Castelli e Alessandro Gagliardo.
Presentato con successo all’ultima edizione del Torino Film Festival, nella sezione Italiana.doc, Menzione Speciale “Premio UCCA Venticittà”, Un mito antropologico televisivo è un film pretesto pensato per introdurre nel dibattito culturale l’idea di antropologia televisiva, intesa come chiave di lettura di un racconto popolare non ancora affrontato dalla storiografia, nonché strumento di ricostituzione di comunità attraverso la visione della televisione come soggetto di narrazione. In mezzo un patrimonio enorme custodito da centinaia di piccole emittenti che passo dopo passo gli autori stanno cercando di recuperare, conservare e pubblicare.
Attraverso l’uso di riprese video realizzate tra il 1992 e il 1994 (periodo chiave per la storia siciliana e italiana) e provenienti da una televisione locale della provincia di Catania il racconto televisivo penetra nella storia popolare di una nazione per comporre così il quadro delle sue difficoltà, descrivendone la sua natura più profonda. La telecamera coglie frammenti di quotidiano e li restituisce dopo anni ancora carichi della loro capacità di descrivere la nostra società, invitandoci a mettere in atto una lettura antropologica della narrazione televisiva.
Ufficio stampa: info@southmedia.it 349 1549450 www.southmedia.it
CG
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[1] Per chi volesse sbizzarrirsi, vedi Giulio Andreotti, su: Wikipedia.
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