La città autoritaria

In questo momento rileggere Colin Ward architetto e anarchico è fondamentale, in quanto con il suo rigore e con la competenza di un urbanista già 50 anni fa ha profetizzato il nostro asfittico presente.
La città autoritaria
La città autoritaria è tra di noi, essa è la premessa allo Stato autoritario. Il nuovo autoritarismo utilizza modalità banali e ordinarie per infiltrarsi che in tal modo non sono pensate. Il nuovo autoritarismo usa in modo massiccio i processi di deverbalizzazione per potersi affermare in modo discreto e lasco. È sempre attento a mostrare il vero volto, pertanto si insinua in modo da evitare, finchè è possibili, scontri e opposizioni. Accoglie nel recinto dell’omologazione ogni differenza per svuotarla dei contenuti e rendenderla “eunuca presenza”.
La creatività è un baluardo contro l’autoritarismo. Creatività è osservazione critica capace di tradurre in concetto l’esperienza dialettica. Le contraddizioni e gli allineamenti all’ordine costituito sono resi concetto mediante l’esperienza dialogica che si estende dal dialogo con il proprio sé profondo al tu. La città autoritaria sta ponendo in atto una serie di disposizioni “green”, si pensi ai nuovi spazi verdi nei quali le alberature sono minime, mentre gli spazi per il gioco e per il fitness si espandono senza proporzioni.
I nuovi giardini pubblici sono in larga parte organizzati secondo aiuole di poca estensione che lasciano spazio ad aree di aggregazione. L’attenzione rivolta ai bambini e ai giovani è finalizzata ad addestrare i futuri sudditi del sistema che, dunque, devono essere allevati e sorvegliati. Le aree di aggregazione sono costituite da giochi strutturati a cui i bambini devono adattarsi. Non scelgono il modo in cui giocare e non inventano nuovi giochi, essi utilizzano giochi già precostituiti. Imparano ad adattarsi al sistema fin da subito e tale comportamento è reso più solido da un sistema che accompagna all’adattamento con l’edonismo.
Bambini e adolescenti sono oggetto degli appetiti di una serie di iniziative agonistiche e di attività finalizzate ad acquisire certificazioni linguistiche che, naturalmente, erodono la creatività e il pensiero divergente per farne “consumatori di formazione” di processi già stabiliti a priori. La scuola con i progetti, con l’orientamento e gli innumerevoli PON fino ad arrivare al PCTO chiude il giovane in uno spazio e in una temporalità che riducono fino ad azzerare il tempo della “noia”. Quest’ultima è una delle condizioni per la creatività individuale e di gruppo, essa è trascesa con l’elaborazioni di giochi linguistici e di giochi empirici che finiscono con l’integrarsi e “inventare il nuovo”. Si diventa autonomi mediante l’esercizio della libertà creante.
La città a misura di mercato
La città autoritaria è un immenso mercato, in cui il “gioco muore” e al suo posto vi è una pallida imitazione dello stesso. In modo seduttivo l’infanzia è sottoposta ad un continuo martellamento di stimoli che comportano risposte precostituite. Gli spazi di libertà e di autogestione del gioco si restringono in modo accelerato e parallelamente il pensiero è ingabbiato in schemi che diventano “gabbie d’acciaio” con la forma inedita dei “balocchi per tutti”. Nella città autoritaria le aree per il gioco convivono con spazi pubblici utilizzati per rendere le forze militari più amichevoli e meno distanti. La guerra diventa così una realtà meno spaventosa.
La percezione dei mezzi militari e dei soldati armati, se diventa pratica ordinaria anch’essa non è più pensata. La guerra è nella città, la quale da centro propulsore delle idee è divenuta il luogo ideale nel quale addestrare al “non pensiero” e “all’indifferenza”. L’adulto di domani sarà di conseguenza asservito e organico al sistema.
Colin Ward
In questo momento rileggere Colin Ward architetto e anarchico è fondamentale, in quanto con il suo rigore e con la competenza di un urbanista già 50 anni fa ha profetizzato il nostro asfittico presente:
“Il fatto che si trovi strana l’idea di fornire spazi e attrezzature per l’attività spontanea e non organizzata dei bambini, indica quanto sia radicata nel nostro comportamento sociale la spinta a controllare, dirigere e limitare il fluire libero della vita” [1].
La libertà e il comunismo si costruiscono con un lungo percorso che ha inizio già nell’infanzia. Colin Ward ipotizza in alternativa ai giochi strutturati i campi-gioco in cui i bambini possono sperimentare libere aggregazioni nelle quali inventare giochi, relazionarsi (anche questo si impara) in modo informale e conoscersi. Senza “buone esperienze di autonomia” il soggetto si sclerotizza e la mente plastica dei bambini e dei giovani si irrigidisce in dogmi e in comportamenti naturalizzati e dunque mai concettualizzati. Se manca tale libertà è sicuramente più improbabile che da adulti si possano cogliere le contraddizioni sociali e risolverle. La città autoritaria prepara i nuovi fatalisti che si consegnano al sistema:
“Il campo-gioco è una specie di parabole dell’anarchia, una società libera in miniatura, con le stesse tensioni e gli stessi equilibri mutevoli, la stessa varietà e spontaneità, lo stesso sviluppo autonomo alla co-operazione, lo stesso affiorare delle particolarità individuali e del senso comunitario, che restano latenti in una società i cui valori dominanti sono la competitività e la brama di possesso” [2].
Il lavoro dello spirito del nostro tempo dovrebbe essere tesa a defatalizzare il nuovo autoritarismo che prepotentemente occupa le nostre città e le menti dei giovani e degli anziani. Non più manganello e olio di ricino, ma l’apparente edonismo è usato per rendere i cittadini sudditi volontari di un sistema sconosciuto nella sua microfisica del pensiero unico. La sfida è liberare i sussunti dalle grammatiche dei padroni:
“Sia il vertice che la base, credono nel principio d’autorità, della gerarchia e del potere” [3].
Ora, mentre la storia accelera il ritmo e il pericolo dell’autodistruzione del pianeta non è da escludere, è necessario sfidare la storia e il destino e ricostruire una nuova storia critica del capitalismo che insegni a valutare il nuovo autoritarismo, sarebbe meglio definirlo “totalitarismo”, nel modo assolutamente nuovo e suadente con cui si presenta e sfidarlo con il concetto e con la prassi. Il conteggio delle possibilità di vittoria è inutile, sta a noi semplicemente “non essere indifferenti”e testimoniare un’alta verità, sperando in congiuture storiche favorevoli.
La storia riserva sorprese, ma bisogna coltivarle con l’agire quotidiano. Al momento dinanzi al “deserto” che avanza non resta che “il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà”, per questo aver cura dei giovani e dei bambini in formazione è fondamentale per donare una possibilità al futuro. Se vogliamo interrompere i processi di riproduzione della società attuale è indispensabile denunciare la pedagogia e l’ordine urbano contingente, in quanto sono i servitori più fedeli della nuovo ordine costituito:
“Perpetuare questa società è, in definitiva, la vera funzione sociale della scuola: è la funzione socializzante. La società assicura il suo futuro educando i suoi bambini secondo il suo modello” [4].
La città autoritaria è adattiva nel micro come nel macro. Gli abitanti delle città sono i sudditi di un sistema strutturale e sovrastrutturale che disegna relazioni prive di progettualità e di speranza. La città non è una comunità, ma un “comitato d’affari” che ordina e pianifica gli spazi e all’interno della morsa del cemento ordina le relazioni in funzione della fruizione passiva della città, non più comunità di idee ma luogo di riproduzione del sistema d’affari.
L’estensione delle città non ha come movente solo l’affarismo dei palazzinari, lo scopo è la divisione della comunità, poiché i grandi numeri e le estensioni irrazionali favoriscono l’accentramento e limitano la partecipazione reale sostituita da slogan e da riqualificazioni predeterminate che calano dall’alto sulle comunità di base a cui è richiesto solo l’assenso formale. Malgrado il presente sotto la neve ci sono semi che attendono cura e attenzione operativa per poter nascere al mondo.
La città è tutta da riconquistare e affinché ciò possa essere è necessario rinverdire il nostro immaginario con il quale ripensare i suoi spazi nel presente. Si può cominciare dall’infanzia e dai giovani i quali dovrebbero essere incoraggiati a riconquistare la città conoscendola nella sua verità e a riprogettarla con progetti minimi e grandi in cui immettere tassi di anarchismo e di comunismo nella città degli affari.
[1] Colin Ward, Anarchia come organizzazione, edizioni Antistato, 1973 pag. 125
[2] Ibidem, pag. 129.
[3] Ibidem, pag. 15.
[4] Ibidem, pag. 109.
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