Santo subito

Grande afflato per la morte di Andreotti. Tutti uniti nel cercare di dimostrare che è stato un uomo puro, un giglio immacolato

di Adriano Todaro - martedì 14 maggio 2013 - 2236 letture

Calma gente. Calma e gesso perché gli avvenimenti si susseguono con una tale intensità e velocità che spesso uno si sente impotente, inadeguato a riuscire a seguire il tutto.

Prendete il sottoscritto, ad esempio. Nel redigere queste note settimanali, mi accorgo di essere sempre in ritardo sugli avvenimenti, sui fatti che avvengono nel nostro Bel Paese. Ad esempio muore uno e l’indomani è già santo. Siamo un Paese di scarsa memoria civile ma dove si applaudono i morti, chiunque essi siano.

Prendiamo il caso della morte di Giulio Andreotti. Certo, non si può dire che sia stato carpito nel fior della gioventù ma certamente dal crisantemo della maturità. Ma ciò che più mi ha colpito in questa morte è l’unanimità pelosa nei confronti di questa dipartita. Destra, sinistra, centro, destra con un occhio a sinistra e sinistra con due occhi a destra, tutti uniti nel cantare le lodi di questo personaggio. Non le sto a ripetere perché le avete lette sui giornali o sentite in Tv o alla radio. Tutti "Io lo conoscevo bene" e giù a raccontare episodi, aneddoti, battute (sì perché il personaggio passava per uno ironico), citazioni, pezzetti della sua lunga vita.

Io, che non lo conoscevo affatto, almeno personalmente, cosa mai potrei aggiungere alle ore e ore di trasmissioni televisive? Non lo conoscevo anche perché mia madre, da piccolo, mi ha sempre esortato a non frequentare cattive compagnie.

Dicevo delle varie dichiarazioni che non voglio ripetere. Ma una sì, una la ripeto perché recitata da un grande ed illustre personaggio che è diventato, pensate un po’, vicepresidente del Senato. Si tratta del nostro mai dimenticato Maurizio, il cugino di Ignazio il Ghignazzo. Distolto temporaneamente dalla lettura del libretto d’istruzione del decoder, Gasparri l’hanno mandato a fare il vice di Grasso. Ora, è vero che su quella poltrona si sono posate anche le nobili terga della badante leghista Rosi Mauro ma ciò che mi preoccupa è che se Re Giorgio di Savoia (Dio non voglia!) dovesse avere un piccolo mancamento e se Grasso dovesse restare a letto per un raffreddore per qualche giorno, Maurizio avrebbe la direzione del Paese e fra questi poteri anche quello di dichiarare guerra.

Capite bene che questo è sconvolgente perché il Gasparri dagli occhietti vispi, non è riuscito ancora a sintonizzarsi sul canale Iris del suo principale. Come farà a coordinare l’avanzata delle nostre truppe? Ah sì, la dichiarazione. Mi perdo sempre. Dunque Maurizio, dopo aver ricordato che l’illustre defunto è stato un "indiscutibile protagonista della vita politica italiana", ci ha voluto deliziare su alcune cose che univano lui al Santo Giulio: l’appartenenza al Senato, la fede calcistica, il quartiere ed anche la parrocchia di San Giovanni dei Fiorentini per la messa domenicale. Poi fa un volo, non so se pindarico o meno, comunque vola su alte vette oniriche, si immerge negli insondabili abissi del misticismo e afferma che Andreotti "dovrà, anche dopo la fine della vita terrena, accettare un dibattito a più voci sul suo ruolo politico". Vi rendete conto? A chi, se non a Maurizio, poteva venire in mente una lirica come questa? Già ce lo immaginiamo il dibattito fra San Pietro e Belzebù sul "ruolo politico" di Andreotti!

Sulla prematura morte (le morti sono sempre premature) di questo Santo uomo, tutti si sono esibiti in scalate vertiginose per dimostrare che è uscito dai processi a suo carico come un giglio immacolato. Inutile che quel comunistone di Gian Carlo Caselli abbia dimostrato, sentenze alla mano, che le cose non stavano così. E’ stato subissato dai fischi metaforici e non solo. Ma c’è una sentenza? Certo. E che dice la sentenza? La sentenza di primo grado (23 ottobre 1999) lo assolve. Ma quella d’appello (2 maggio 2003) non assolve, ma prescrive Andreotti per il reato di associazione a delinquere, comunque “commesso fino alla primavera del 1980”. La frase esatta del dispositivo è la seguente: La Corte... "dichiara di non doversi procedere nei confronti dello stesso Andreotti in ordine al reato di associazione per delinquere a lui ascritto al capo A) della rubrica, commesso fino alla primavera del 1980 per essere lo stesso reato estinto per prescrizione".

Dunque, per i suoi rapporti con Cosa nostra, il senatore a vita è stato riconosciuto responsabile, fino al 1980, del reato di associazione a delinquere semplice (l’associazione mafiosa, con l’articolo 416bis, è stata introdotta solo dopo i fatti contestati: e se ci fosse stata non sarebbe scattata la prescrizione). In seguito, la Cassazione recepisce integralmente la sentenza della Corte d’Appello e scrive: "L’imputato ha, non senza personale tornaconto, consapevolmente e deliberatamente coltivato una stabile relazione con il sodalizio criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un contributo rafforzativo manifestando la sua disponibilità a favorire i mafiosi. In definitiva la Corte ritiene che sia ravvisabile il reato di partecipazione all’associazione per delinquere... Non resta allora che confermare la statuizione di non luogo a procedere per essere il reato concretamente ravvisabile a carico del sen. Andreotti estinto per prescrizione".

Anche la carta stampata, su questa vicenda, è stata molto reticente. Questi i titoli, dopo la sentenza della Cassazione, di alcuni quotidiani (16 ottobre 2004):

“La Cassazione: Andreotti non è mafioso” (il Giornale)

“Mafia, definitiva l’assoluzione di Andreotti” (Corriere della Sera)

“La Cassazione assolve Andreotti: non è mafioso” (La Stampa)

“Cassazione, Andreotti assolto” (la Repubblica)

“Mafia, la Cassazione conferma l’Appello: Andreotti innocente (Il Sole 24 Ore)

“Andreotti assolto, il Teorema è finito, ma ora cancelleranno anche l’infamia?” (Il Riformista).

La chiamano libertà di stampa, ma è solo servilismo allo stato puro, il tentativo riuscito di confondere le carte al punto che, a distanza di dieci anni, tutti oggi ripetono che il caro estinto è stato assolto. Solo in Italia, infatti, prescrizione significa assoluzione.

Alla Regione Lombardia c’è stata una coda a questa vicenda. Tutti i consiglieri in piedi, ad osservare un minuto di silenzio in onore del Santo. Tutti meno uno che si è alzato sì ma per andarsene fuori dall’aula. Era Umberto Ambrosoli. Quando suo padre era stato ucciso da un emissario di Sindona (definito da Andreotti "salvatore della lira"), Il Santo, riferendosi ad Ambrosoli, aveva dichiarato che questi "Era una persona che in termini romaneschi se l’andava cercando". Il presidente della Regione, il leghista Maroni, a proposito dell’abbandono di Umberto Ambrosoli dell’aula ha esclamato: "Non è stato un gesto elegante...".

Ha ragione perché lui è a capo di un partito che ha come statuto il galateo di monsignor Della Casa. Il suo compagno di partito, Mario Borghezio, gentile e fine come sempre, se l’è presa con la ministra Cecile Kyenge: "Scelta del cazzo, questo è un governo del bonga bonga, Kyenge ci vuole imporre le sue tradizioni tribali". Gli ha fatto eco un fine pensatore come l’ex senatore della Repubblica italiana, nata dalla Resistenza, Emilio Boso: "Deve tornare nel Congo. Sono razzista, lei è estranea a casa mia".

Comunque fatevi coraggio perché una buona notizia c’è. L’Omino con il Riportino è stato condannato anche in appello. Si è subito paragonato al Santo. Ma ha sbagliato perché Andreotti è "più avanti". Andreotti è morto. Lui è ancora fra noi. Purtroppo.


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