"I sindacati? La rovina dell’Italia!"

Surreale discussione con un artigiano della Brianza, infarcita di luoghi comuni: operai che non hanno voglia di lavorare e artigiani che pagano troppe tasse. Un odio viscerale verso i lavoratori determinato da 20 anni di cultura berlusconiana

di Adriano Todaro - martedì 20 dicembre 2011 - 3756 letture

Per tutta una serie di motivi che non sto a raccontare ‒ perché personali e quindi non interessanti per il lettore ‒ la scorsa settimana ho avuto la possibilità di passare, in auto, due ore con un artigiano brianzolo. Sono state due ore surreali, ma anche pedagogiche, con l’artigiano Luigi veemente, iracondo, rabbioso nei confronti di "tutti", ma soprattutto nei confronti di lavoratori e sindacati, questi ultimi da lui definiti la "rovina dell’Italia".

Ma proseguiamo con ordine. L’artigiano è di Monza, "capitale" della inutile provincia di Monza e Brianza. Si occupa di arredamenti, mobili, salotti. E’ la tipica lavorazione della zona che ha fatto conoscere questi prodotti, e i mobili, in tutto il mondo. Cittadine come Lissone, Meda, Bovisio, Cesano Maderno, sono diventate importanti centri di produzione.

Oggi, con la crisi, ridimensionati ma sempre con prodotti innovativi e all’avanguardia. Una lavorazione fatta nelle "botteghe", spesso nelle cantine, e svolta, soprattutto fino a qualche tempo fa, da tutti i componenti della famiglia. Casa e bottega nel senso più preciso del termine considerato che la casa stava e sta sopra il laboratorio. Non ci sono stati grandi cambiamenti nel corso degli anni. Il modulo è sempre il medesimo con poche varianti. Prima una casa singola formata da un solo piano (sopra l’abitazione, sotto la bottega), oggi ancora così e l’aggiunta di qualche villetta a schiera con regolamentari nanetti in giardino.

Non è un caso che in queste cittadine la cooperativa edilizia non si è mai sviluppata. Erano tutti lavoratori autonomi con casa di proprietà, pochi gli immigrati provenienti dal Veneto e dalle regioni del Sud che preferivano trovare alloggio nei paesi più vicini alle fabbriche di Cinisello, Sesto San Giovanni, Milano.

Grandi lavoratori gli artigiani brianzoli. Sgobboni che non guardavano le ore o le festività. Si lavorava sempre, alla domenica, tutt’al più, si facevano i conti. La sera, si andava sopra a mangiare e poi subito giù a "portarsi avanti" con la produzione. Il 25 Aprile non era considerato, il 1° Maggio, bontà loro, si lavorava mezza giornata. Una società dunque chiusa, impermeabile alle novità, che considerava una perdita di tempo andare al cinema, leggere un libro, intessere rapporti, interessarsi della cosa pubblica. Importante era solo la loro bottega.

Poi i tempi sono cambiati. I figli degli artigiani, non tutti hanno seguito le orme familiari, si sono laureati, magari hanno trovato da lavorare presso altre aziende. Ma la cultura dominante è quella di "mettersi in proprio" perché andare sotto padrone rimane per loro un fallimento.

In Brianza, ad esclusione di alcuni Comuni per tradizione "rossi", ha sempre vinto la Dc. Poi la Lega. Poi Fi. Gli artigiani hanno votato questi partiti e hanno fatto i soldi lavorando e facendo lavorare molto, non hanno pagato le tasse, hanno e continuano ad evadere il fisco, dare il lavoro a domicilio. La ricetta è tutta qui. Tanti soldi per acquistare case in giro, auto di lusso, Suv rigorosamente neri per i rampolli. Le case non se le godono perché stanno sempre a lavorare, ma non fa nulla. L’importante è possederle così come è importante l’automobile di un certo tipo per far colpo sul cliente, sul vicino di casa oppure arrivare in piazza per il rituale aperitivo. L’esteriorità la fa da padrona.

Io e Luigi abbiamo conoscenze comuni (anzi per lui sono parenti) e saranno questi a procurarmi il passaggio. Lui, l’artigiano, scende dalla località sciistica di Livigno, in Valtellina con un suo operaio che poi conoscerò come Franco e mi raccoglie in un paese più a valle. Ma non è andato a sciare, ma a lavorare. Viaggiando verrò a sapere che è andato a prendere le misure a casa di un cliente per un certo lavoro e a sistemare un appartamento di sua proprietà che ha acquistato alcuni anni orsono.

La macchina su cui viaggiamo, una Bmw, è molto confortevole. Guida Luigi con a fianco l’operaio. Io sto dietro. La strada sino all’imbocco della superstrada per Lecco è un inferno. Luigi impreca e non rispetta i limiti di velocità e intanto parla. Inizia prendendola alla larga: il nuovo governo, la differenza con il vecchio e altri piccoli episodi avvenuti in settimana. Ma già si capisce dove vuole andare a parare. Mi sembra di essere in uno scompartimento di un treno o nella sala d’aspetto di un medico, dove si trova sempre un rompicoglioni che ti subissa della sua personale ricetta politica.

Ma Luigi ha una particolarità. Si lascia prendere la mano e l’ira trabocca dalle sue parole incurante che al suo fianco ci sia un suo operaio (in seguito saprò che è già in pensione e lavora da Luigi, in nero).

Mi spiega che ha 68 anni, che la moglie, stessa età, lavora con lui, che i figli sono laureati e, naturalmente, lavorano per proprio conto. Ascolto non molto interessato le sue vicende familiari e cerco di dire qualcosa tanto per non fare la figura del maleducato. Ma Luigi continua, con un misto di orgoglio, a raccontare la sua vita che è poi la vita della sua azienda, un binomio inscindibile. E mi racconta che lavora sempre, che sua moglie, nei momenti delle consegne, sta alzata sino alle 4 del mattino e cosucce del genere.

"Due anni fa mi hanno operato al menisco. Ma il giorno dopo, pur con il bastone, ero in laboratorio a lavorare".

"Ma non va in pensione?"

"In pensione? Ma scherza? Possiamo ancora dare tanto alla società". (Dai discorsi che farà più avanti capisco che in pensione c’è già, ma continua lavorare-Ndr).

"Alla società?".

"Certo, cosa crede. Quando vedo in giro persone ancora giovani che stanno senza far niente mi assale una rabbia... Tanto le pensioni le paghiamo noi".

"Veramente se sono in pensione i contributi li hanno pagati"

"Tütt ball. Tutte balle. La realtà che è comodo non lavorare e ogni mese prendere i soldi della pensione".

"Quindi lei è d’accordo con l’aumento dell’età pensionistica?".

"Come no, altro che d’accordo. Guardi io lavoro e spero di andare avanti a lavorare per altri 10 anni. Perché se stai a casa sprechi i soldi e basta. Io avevo una operaia che è andata in pensione l’anno scorso. Ogni volta che la incontro mi racconta dove è stata, una volta in Egitto, una volta in Messico. Si figuri lei quella lì che cosa ci va a fare in Messico! Quando gli dico che spende molto nei viaggi, mi risponde che non ha figli, il marito è anche lui in pensione e quindi viaggiano".

"Beh, potendo, mi sembra un bel modo di vivere la pensione. E poi non le sembra giusto, a parte questo caso, che un lavoratore, magari in catena di montaggio, ad un certo punto si possa riposare?".

"Ma che catena e catena. Questi chi, fan nagott, non fanno niente tutto il giorno. Hanno tutti i diritti, non si possono toccare sennò intervengono i sindacati che sono la rovina dell’Italia...".

"Veramente i sindacati non hanno mai governato l’Italia".

"Sì l’hanno rovinata con gli scioperi come quello dell’altra volta. Un Paese in crisi e questi fanno sciopero".

"Ma non crede che se l’Italia è in crisi è anche perché ci sono gli evasori fiscali, quelli che non pagano il fisco?".

"Ma chi non paga? Noi artigiani siamo penalizzati, continuiamo a pagare, lavorare, lo Stato continua a mungere da noi".

"I dati dicono che gli artigiani dichiarano, in media, solo il 20 mila euro l’anno. Sa quant’è la dichiarazione media di un gioielliere? 16 mila euro l’anno, meno di un operaio. Lorde, naturalmente".

"Ma cosa significa? Lo sa lei quante spese abbiamo noi? Se gli operai stanno male, stanno a casa, pagati. Noi, invece, dobbiamo continuare a lavorare".

"Senta, lei può raccontare quello che vuole ma i dati non me le invento io. Il ministero dell’Economia dice che l’evasione fiscale è attorno ai 270 miliardi di euro l’anno, il 18% del Pil. Le sembra giusto?".

Luigi non risponde. Ormai è un fiume in piena. Grida contro gli operai fannulloni che si mettono in malattia e che quando vanno in pensione fanno un lavoro nero.

"Sa cosa fanno? Scelgono il lavoro notturno che si lavora meno e durante il giorno vanno a fare il lavoro in nero nelle altre aziende. Poi dicono che lavorare in catena è usurante e vanno in pensione prima e noi li dobbiamo pagare per farli andare in Messico!"

Guardo la reazione di Franco, ma il suo viso è immobile, guarda fisso la strada davanti a lui. In due ore non interverrà mai nella discussione. Mi accorgo anch’io di essermi lasciato andare oltretutto nei confronti di una persona che gentilmente mi ha dato un passaggio, mi ha fatto una cortesia. Cerco di rientrare nei limiti e sposto l’attenzione sui tagli che si potrebbero fare per non incidere ancora una volta su chi è a reddito fisso.

Luigi, però, sembra proprio che non accetti di ritornare a fare una discussione serena. Continua ad inveire contro operai, sindacati, comunisti, Bertinotti. Mai contro Berlusconi o contro la Lega che ha portato il Paese allo sfascio. Poi se la prende con questo governo che si è inventato di far pagare una tassa a chi possiede case all’estero. Guarda caso Luigi ne possiede una, in Francia. Me lo dirà lui stesso a riprova che lui i soldi che guadagna li fa girare, non li tiene in banca. Beh, dico io, mi sembra giusto che chi più ha più paghi. Mi accorgo troppo tardi di aver fatto un errore. Sembra che Luigi non spettasse altro che quello per aprire un’altra filippica contro governi e sindacati. Ormai sono anch’io alterato e gli getto in faccia un altro dato: "In Italia si vendono 206 mila auto di lusso da 100 mila euro, ma solo 72 mila persone dichiarano oltre 200 mila euro. Come la definisce questa, lei?".

Luigi si volta verso di me e io mi preoccupo, visto il traffico stradale, della nostra incolumità. Ha una faccia tra l’incazzato e lo schifato. Probabilmente mi considera un insetto molesto, una nullità. Borbotta qualcosa e poi fa notare che siamo quasi arrivati. E’ una grande consolazione anche per me. Quando si ferma per farmi scendere, mi avvicino al suo finestrino e gli do la mano. Lo invito, con Franco, ad andare in un bar a prendere qualcosa. Ma Luigi, a nome anche di Franco non accetta. "Gho minga temp, non ho tempo io d’andare al bar. Devi andà a laurà. Debbo andare a lavorare". Ingrana la marcia e se ne va. Forse non lo rivedrò più.

Di certo, quando arriverà a casa, racconterà alla moglie, questo incontro. E parlerà di questo strano tipo che ha preso a bordo. Un tipo che è d’accordo con gli operai che fanno sciopero e che mi ha chiesto, pensa, perché non vado in pensione. Con tutto il lavoro che ancora c’è da fare. Per la società? Certo, ma anche per acquistare un’altra casa, magari in Kenia.

Tutto sommato, però, un incontro che vale molto di più di tante inchieste di natura sociologica.


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