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Un carcere malato

Un inferno fra rivolte, suicidi, autolesionismi e sovraffollamento. La ministra studia la possibilità di utilizzare i soliti braccialetti elettronici nonostante il fallimento. Nelle carceri, 23.632 detenuti di troppo. Il confronto con gli altri Paesi europei

di Adriano Todaro - martedì 13 dicembre 2011 - 4158 letture

In Italia non vige la pena di morte. Così recita la nostra Costituzione. In Italia, però, si può morire anche quando sei stato affidato allo Stato. Avviene, continuamente, nelle carceri e si muore perché diventa insopportabile vivere in condizioni animalesche. Ci si uccide perché manca la speranza di rifarsi una vita, ci si uccide perché sei malato, tossicodipendente, straniero e non vedi via d’uscita, perché il diritto alla salute non è garantita.

Dal 26 novembre al 4 dicembre, in otto giorni, sono morti nelle carceri, fra suicidi e malattie, ben quattro persone, un decesso ogni due giorni. E’ ormai un bollettino di guerra e diventa difficile raccontare queste morti, perché c’è il dubbio che a forza di raccontare quello che avviene nelle carceri, il lettore abbia una sorta di assuefazione, si abitui alla "normalità" di quei decessi.

Non sapremo mai se Monia Bellafiore, 42 anni, in carcere da un mese, avesse ucciso o no la madre. Sappiamo solo che si è impiccata con una stoffa, né che tipo di malattia avesse Gaye Seydina, 37 anni, il quale dopo aver accusato un malore, viene portato all’ospedale e muore. E che dire di Michele Misculin, 33 anni, morto nel carcere di Trieste per aver preso un’overdose di antidolorifici? E non sapremo mai a cosa pensasse Said Wadih, 34 anni, cittadino marocchino quando si è ucciso con uno dei metodi più gettonati nelle carceri: respirare gas dalla bomboletta in dotazione per il fornellino utilizzato per cucinare.

Sono solo nomi ed è già tanto che abbiamo i nomi. I più delle volte, solo le iniziali. Non contano nulla, neppure da morti.

Ne moriranno ancora. Quest’anno sono già 61. Dal 2000 al 5 dicembre 2011 ci sono stati 687 suicidi e 1.923 decessi. Quanti ne dovranno ancora morire prima che i nostri politici tutti tesi a salvaguardare i loro vitalizi, si ricordino di questo problema? Perché nel recente decreto Monti non c’è nulla, neppure una parola che riguarda il carcere e la vita dei detenuti? Il presidente Napolitano non ha approvato il piano carceri per mancanza di requisiti costituzionali ma si continua a parlare normalmente della costruzione di nuovi istituti, di far gestire le strutture a privati e a fondazioni bancarie, di braccialetti elettronici.

Quest’ultimo tema, quello dei braccialetti elettronici, ritorna periodicamente ogni qual volta cambia il ministro della Giustizia. L’ultima, Paola Severino, afferma che sta studiando il problema e che potrebbe rappresentare lo strumento per svuotare le carceri. Niente di più falso. Anzi è già, in partenza, un discorso fallimentare. Dove il braccialetto viene usato da anni, esso viene applicato solo a determinate categorie di persone che hanno compiuto determinati reati e non alla totalità dei detenuti che hanno un ultimo periodo da scontare. Inoltre c’è un problema di costi. Il primo braccialetto, messo ad un peruviano subito evaso, risale a dieci anni fa. Ogni braccialetto costava, allora, 60 mila lire. Fu un fallimento. O suonava sempre oppure bastava andare in cantina e non suonava più così come quando ci si infilava nella vasca da bagno. Insomma soldi buttati al vento. Ma noi quando dobbiamo spendere i soldi di tutti i cittadini siamo caparbi e così nel 2003 si fece un accordo con la Telecom di circa 11 milioni di euro l’anno; in totale 100 milioni di euro. Su 400 braccialetti, ne furono utilizzati solo 6; gli altri dimenticati in qualche cantina. Ma i soldi alla Telecom andavano dati e sono stati dati.

Ma al di là degli aspetti puramente economici e comunque da non trascurare in questo periodo di lacrime e sangue per i soliti noti, c’è anche un problema più generale perché il braccialetto elettronico va a scontrarsi con elementi importantissimi del trattamento penitenziario e delle misure alternative. Viene meno uno dei cardini della riforma delle carceri e cioè la messa in prova dei detenuti, la fiducia alla persona che ha l’obiettivo di recuperare il senso di legalità. D’altronde dagli arresti domiciliari fuggono solo il 2 per cento dei detenuti e quindi che senso avrebbe spendere così tanti soldi invece di utilizzare le misure alternative al carcere?

Una risposta che non avremo mai dai nostri governanti, paurosi di inimicarsi larghe fette dell’opinione pubblica, quelli che vogliono solo chiudere le celle e buttare via la chiave, quelli che si sentono "sicuri" solo se vengono a sapere che le carceri sono sovraffollate.

E questo è l’altro problema quello che sta alla base delle rivolte di questi giorni nelle carceri italiane come ad Ancona. Tutto parte dall’episodio, terribile, dove un detenuto del Marocco, per protesta prende ago e filo e si cuce la bocca seguito poco dopo da un altro detenuto straniero. I compagni, frattanto, appiccano piccoli incendi, battono le inferriate. Il fumo dei roghi invade le celle, i corridoi e debbono intervenire gli agenti in assetto antisommossa. Ma perché la rivolta? Perché sono stanchi di vivere come bestie, ammassati in fetide celle. Sono stanchi di non essere curati, di non avere diritti perché sarà meglio ricordarlo a tutti che è giusto togliere la libertà a coloro che si sono macchiati di delitti, ma non la dignità di persone.

E le proteste continuano in altre carceri. Gli standard europei prevedono per ogni detenuto 7 metri quadrati in cella singola e 4 in cella multipla. In Sicilia in 7 metri ci stanno 12-14 persone. C’è una disponibilità di 5.406 posti ma i detenuti sono 7.883. Nel carcere di Venezia ci sono le "celle frigorifere". Nel femminile i bagni non hanno finestre, funziona una doccia su quattro, due lavandini su due sono inutilizzabili e il riscaldamento, come dice un documento delle detenute "rimane spento tutto il giorno e credeteci in questi stanzoni la cui struttura risale al 1.200 che per metà è già inagibile e a rischio di crollo, vi lasciamo immaginare il gelo, anche quello del cuore... Ci sono persone anziane, con malattie croniche, e il freddo non è proprio l’ideale... Chiediamo di scontare le nostre pene senza dover essere torturati gratuitamente. Dal freddo, dalla burocrazia e dai burocrati”. A Lecce ci dovrebbero stare 587 detenuti e invece ce ne sono 1.347. Per venti ore al giorno si rimane chiusi in cella in tre e solo il 10% dei detenuti è impiegato in attività lavorative; gli altri se ne stanno in branda. E poi ancora ad Agrigento dove non c’è acqua calda e quando piove le celle dell’ultimo piano si inzuppano e a Poggioreale in nove in una cella con turni anche per stare in piedi.

Ci sono carceri, ad esempio quello di Treviso, in cui manca anche la carta igienica così come sapone e dentifricio. Il cappellano del carcere, don Pietro Zardo, ha chiesto aiuto alla Caritas. E’ ciò che avviene, giornalmente, negli istituti di pena italiani. Ormai i detenuti sono 68.017; ci sono 23.632 detenuti di troppo. In una situazione così terribile è chiaro che i suicidi aumentino ma anche le proteste. I detenuti che hanno fatto almeno un giorno di sciopero della fame sono stati ben 6.121. Ed aumentano anche le aggressioni al personale penitenziario. Il risultato è stato di 394 feriti di cui 389 poliziotti, 3 medici e due infermieri.

Difficile parlare con un magistrato di sorveglianza che dovrebbero essere 208 e sono, invece, 193. Quasi impossibile essere seguiti da educatori e assistenti sociali mentre 44 educatori che hanno vinto il concorso bandito nel 2004 e concluso nel 2008, ad oggi non risultano in servizio.

Secondo i preziosi dati di Antigone, l’VIII ottavo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione, titolato opportunamente "Le prigioni malate", al 1° settembre 2009 il tasso di sovraffollamento in Italia era del 148,2%. Record europeo superato solo dalla Serbia (157,9%). In Francia il tasso era del 123,3%; in Germania del 92%; in Spagna del 141%; nel Regno Unito del 98,6%. Eppure, sempre secondo i dati di Eurostat, i tassi di criminalità in Italia sono inferiori a quelli della Germania e Regno Unito. Da noi si registrano 4.545 reati ogni 100 mila abitanti, in Germania 8.481, nel Regno Unito, 7.436. Abbiamo anche un altro record, quello degli stranieri nelle carceri. In Italia rappresentano il 37%. In Francia il 18,1, in Germania il 26,4, in Spagna il 34,6, nel Regno Unito il 12,6. E in Italia il 50,7% della popolazione detenuta non ha sentenza definitiva.

Anche per quanto riguarda la misura alternativa al carcere siamo ultimi. In Francia 123.349 detenuti, nel corso del 2009, hanno usufruito di qualche misura alternativa; in Germania 120 mila persone; in Spagna 111.994, nel Regno Unito e in Galles 197.101. E in Italia? Solo 13.383!

Da noi, in Italia, si preferisce parlare di massimi sistemi, di braccialetti elettronici, di nuove carceri da far gestire ai privati. E intanto si muore. Si muore nell’indifferenza generale e negando così, di fatto, la possibilità di mantenere viva la speranza per una vita (anche se "ristretta") più dignitosa.


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