Lavoro e Costituzione

Sta a noi riconquistare le parole e i valori della Costituzione: pace, lavoro e comunità sono parte di un processo di lotta senza la quale nulla è possibile.
Lavoro e reificazione
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”
L’articolo I della Costituzione è chiaro nelle sue finalità politiche, non vi è dignità che nel lavoro. Quest’ultimo non è mera attività quantitativa come l’economicismo liberista cerca di insegnare; il lavoro è partecipazione politica al benessere qualitativo della comunità. È fonte di crescita, dovrebbe esserlo, della totalità della personalità, e ne favorisce l’equilibrato sviluppo. Il disoccupato e il precario non sono semplicemente “poveri materialmente”, essi sono travolti dalla passività. Percepiscono un profondo malessere, in quanto a loro è negata la natura politica dell’essere umano. Essi sono in una trappola totale, non a caso in Marx con la caduta del saggio di profitto sono i disoccupati “la leva prima della rivoluzione”.
Una nazione democratica si fonda sul demos, il quale concorre al benessere sociale e materiale con l’attività lavorativa. L’articolo I dev’essere letto in relazione all’articolo III della Costituzione italiana:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua (cfr. art. 6), di religione (cfr. artt. 8, 19), di opinioni politiche (cfr. art. 22), di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Il lavoro è partecipazione al vivere sociale, mediante esso il popolo fonda la democrazia. Il lavoratore che pone nella realtà materiale e storica il suo spirito è libero in quanto “cittadino che pratica con il lavoro la politica”. L’articolo 46 è stato totalmente disatteso:
“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Lavoro e scuola (articolo 34) di qualità si coniugano a formare cittadini sul cui spessore politico vive la Repubblica e si struttura in comunità aperta. Sfruttamento, precarietà e disoccupazione negano la Res-publica e impiantano la metastasi infiltrante dell’oligarchia e del clientelismo. La società azienda, quale il liberismo ha fondato nel nostro tempo, nega i principi costituzionali e inaugura il tempo della dipendenza dei lavoratori dai padroni.
Gli studenti sono clienti orientati dalle istituzioni alle scelte secondo i desiderata dei mercati. La Repubblica muore e al suo posto domina il capitale antropofago. Chi vive sotto perenne minaccia, benestante o povero che sia, non è un cittadino ma è solo un suddito reificato e infelice.
Il lavoro è lo spirito della democrazia, il riconoscimento della sua dignità è la condizione prima di una democrazia reale e non solo formale.
Il neoliberismo in questi decenni non solo ha eroso i diritti dei lavoratori con la complicità dei sindacati e dei partiti, ma ha normalizzato la precarietà e i contratti la cui durata, anche di poche ore, non consente al lavoratore di “sentirsi persona”, poiché è solo “strumento di lavoro” nelle mani del padrone. Il sistema neoliberista è nemico del popolo e si struttura come un sistema plutocratico. Impera una nuova organizzazione piramidale di tipo medioevale, in cui per sopravvivere il superiore sfrutta l’inferiore. Lo sfruttamento è divenuto il fondamento del sistema. L’essere umano è carne da cannone da utilizzare e da buttar via come qualunque arnese; alla fine dell’uso è scarto come qualsiasi materiale. La “società inclusiva”, come la propaganda afferma, produce scarti e importa migranti da usare come mezzi a basso costo. Si offrono spiccioli, in cambio del silenzio di uomini e donne toccati dal dolore in modo atroce.
Verso i lavoratori si sta mettendo in atto una ”politica criminogena”: si muore sul lavoro, si è umiliati e si è ricattati. Il lavoratore è indotto a vivere nella menzogna conosciuta. Deve fingere di credere nelle verità dei padroni, ad esse deve obbedire, ma egli sa che sono menzogne. Senza difese reali dinanzi ai “padroni” è costretto a deformarsi al punto di fingere di credere e di agire di conseguenza. Depressione e patologie schizoidi sono l’esito finale di tale percorso di negazione. La solitudine del lavoratore minacciato e ricattato nel nostro tempo è la verità conosciuta che non si vuole debitamente affrontare, poiché svelerebbe la verità sul capitalismo del nostro tempo. Lo sfruttamento fisico si associa all’umiliazione psicologica. Nella scala sociale c’è sempre un inferiore da usare e sfruttare.
Il senso di colpa inoculato per poter controllare il lavoratore. È colpevolizzato per le prestazioni mai adeguate agli standard padronali, è colpevole della propria condizione sociale. Se occupa nell’organigramma sociale la condizione di sottoposto è sua massima colpa, in quanto non è stato all’altezza di abbattere il nemico-concorrente e salire nella scala sociale. Senza la pulsione al dominio si precipita sul fondo della gerarchia, per cui gli oligarchi sono il modello con cui il lavoratore deve giudicare se stesso. Strategia quest’ultima sostenuta dai media e dagli oratores (giornalisti, ordinari e sindacalisti) che hanno annichilito la coscienza di classe ed hanno favorito l’assimilazione ideologica: i lavoratori sfruttati hanno introiettato la colpa, giudicano se stessi con i parametri stabiliti dai padroni. La grammatica dei padroni è ora nelle menti dei precari e degli infelici che in tal modo si straziano nel dolore.
Uscire dalla trappola linguistico
La grande vittoria delle oligarchie è la destrutturazione del linguaggio di classe. Le nuove generazioni impoverite a livello culturale e lavorativo parlano il linguaggio dei padroni, si disprezzano per il loro status sociale, pertanto la lotta di classe al momento l’hanno vinta i capitalisti.
Il suddito usa lo stesso linguaggio degli sfruttatori, pertanto non si scandalizza dinanzi alla mattanza quotidiana sul lavoro, giudica quasi normale morire sul lavoro, se così non fosse avremmo le piazze colme di manifestanti e i palazzi del potere assediati. L’individualismo più efferato è il modello sociale diffuso che ha intrappolato i lavoratori.
L’Italia e l’Europa sono fondate sullo sfruttamento, quest’ultimo è presentato nella forma ideologica della resilienza e della flessibilità.
La verità è scomparsa con le parole che la indicano. Lo sfruttamento ha un fondamento materiale e uno linguistico, quest’ultimo impedisce al lavoratore di pensarsi nella sua verità. I lavoratori non hanno le parole per descrivere e comunicare la loro condizione, pertanto sono in una trappola linguistica alimentata dall’inglese padronale e dalla manipolazione delle parole. Società schizoide in cui si vive lo sfruttamento, ma lo sfruttato nomina la propria condizione con le parole del padrone. Se a un lavoratore si rubano le parole non può che essere una semplice funzione produttiva in un immenso campo di sfruttamento. La proprietà è un furto ottenuto con la deverbalizzazione dei lavoratori. L’alienazione è un furto materiale e linguistico. In questa corsa verso la negazione del lavoro, siamo ora ad un momento di passaggio nodale: il sistema padronale è sicuro di sé al punto da aver avviato la separazione tra il lavoro e la retribuzione: l’alternanza scuola lavoro e gli stage sono la testa di ponte avanzata con cui si sperimenta lo sganciamento tra lavoro e remunerazione. L’episodio della giovane nigeriana Beauty, la lavoratrice 25enne picchiata il 3 agosto 2022 dal suo datore di lavoro a Soverato (Catanzaro), per aver chiesto di essere pagata, è parte di tale logica in atto.
Costituzione negata e umanesimo calpestato sono queste le verità sempre più palesi che il linguaggio del mercato non può più occultare. I lavoratori devono ricominciare a conquistare la lucida verità sulla loro condizione senza la quale non vi può essere coscienza di classe e autentica rappresentanza. Le condizioni materiali per riattivare la lotta di classe all’interno del dettato costituzionale vi sono tutte.
Il mercato è un immenso automatismo che si muove secondo logiche e leggi crematistiche, la sua onnipotenza può ribaltarsi in sconfitta, in quanto i soggetti che lo muovono sono chiusi nei loro fortilizi sociali ed ideologici. Si aprono possibilità di lotta, in quanto il sistema oligarchico vive una fase di derealizzazione incentivata dall’onnipotenza che lo guida. I sudditi sono nelle condizioni di riconquistare il senso e la verità della loro condizione. Sta a noi riconquistare le parole e i valori della Costituzione: pace, lavoro e comunità sono parte di un processo di lotta senza la quale nulla è possibile. La progettualità è dimensione di realtà da costruire a livello teorico e pratico.
Sta a tutti i lavoratori congedarsi dalle menzogne dell’individualismo e riaprire i chiavistelli della storia.
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