Sei all'interno di >> :.: Primo Piano | Attualità e società |

Pestato in caserma, muore in ospedale

E’ successo a Varese due anni fa, ma lo apprendiamo solo ora. Ancora una violenza assurda all’interno di una struttura dello Stato. Cittadini senza garanzie e forze dell’ordine che credono di essere al di sopra della legge. Aperto un fascicolo contro "ignoti"

di Adriano Todaro - mercoledì 24 marzo 2010 - 4690 letture

JPEG - 18.2 Kb
giuseppe_uva

E’ possibile, in uno stato di diritto quale noi siamo, essere portati in caserma dai carabinieri perché ubriachi, essere trattenuti illegalmente e morire? E’ possibile che la magistratura dopo 21 mesi dai fatti tenga aperto un fascicolo di indagine contro ignoti?

I fatti di questa oscura e violenta vicenda cominciano a Varese il 14 giugno 2008. Una banale vicenda che smette di essere banale perché muore una persona, un cittadino italiano colpevole di aver bevuto, quella sera, un po’ troppo. Giuseppe Uva, 43 anni e l’amico Alberto Biggiogero, 35 anni, verso le 3 di notte, sono fermati da una gazzella dei carabinieri. Sono in stato di ebbrezza e colpevoli di aver spostato alcune transenne bloccando così l’accesso delle auto ad una strada del centro. Nasce così, da questo episodio tutto sommato insignificante, l’ennesima storia di diritti negati e di morte.

Un carabiniere riconosce Uva che tenta di scappare, lo chiama per nome e lo insegue bloccandolo. Biggiogero, invece, è subito bloccato. Intanto arrivano due volanti della Polizia di stato. In tutto, per alcune transenne spostate, ci sono 3 auto delle forze dell’ordine per un totale di 6 agenti. Uno spiegamento di forze assurdo per due persone che hanno alzato un po’ – come si dice – il gomito. Uva è spinto nella macchina dei carabinieri, Biggiogero in quella della polizia e tutti si dirigono alla caserma dei CC di via Saffi dove arrivano attorno alle 3,30. E tutti e sei, stranamente, restano in caserma e quando Uva sarà trasportato in ospedale, due di loro saliranno sull’autoambulanza, procedura questa non usuale.

Ma prima di questo, cosa succede nella caserma? Secondo la testimonianza di Alberto Biggiogero, all’entrata in caserma i due sono separati. Biggiogero, da una stanza dove è guardato a vista, sente Uva gridare e si rende conto che lo stanno picchiando anzi, “massacrando”. Grida ai poliziotti di smetterla e viene minacciato di subire la stessa sorte.

Verso le 4 del mattino riesce, in un momento in cui è lasciato solo, a chiamare il 118 chiedendo di intervenire. L’operatore del 118 chiama in caserma per verificare la veridicità della chiamata e si sente dire dai carabinieri che si tratta di una lite fra ubriachi e che provvederanno a togliere il telefonino. Biggiogero, però, è riuscito a chiamare anche il padre il quale arriva prontamente in caserma, riporterà a casa il figlio e si offrirà di portare Giuseppe Uva in ospedale.

Possibilità negata dai carabinieri perché, così dicono, Uva è stato già visitato “dal dottore”. In realtà dopo una ventina di minuti della telefonata di Biggiogero al 118, si presenta in caserma il “dottore”, un uomo con valigetta e impermeabile.

Biggiogero e il padre ritornano a casa. Uva, invece, mai più. A questo punto sono gli stessi carabinieri che telefonano alla guardia medica, chiedono un Tso cioè un trattamento sanitario obbligatorio per Uva. Così è portato in ospedale e attorno alle 8,30 nel reparto psichiatrico. Due ore dopo muore per arresto cardiaco.

Termina così questa notte di passione, recidendo un’altra vita. Ma le stranezze di questa vicenda continuano. Gli esami tossicologici dimostrano che ad Uva gli sono stati somministrati farmaci controindicati in caso di assunzione di alcol. E’ questo l’elemento che ha portato alla morte Uva? Oppure oltre a questo c’è anche il fatto che Uva è stato precedentemente “massacrato”?

Importante la testimonianza del comandante del posto fisso di polizia del pronto soccorso. Questi afferma che sono venuti a conoscenza della morte in ritardo “pur non trattandosi come evince dall’allegato referto medico di evento non traumatico”. Traduzione: Uva è morto per un evento traumatico. Poi continua: la salma di Uva giaceva “supina e senza abiti, con la parte ossea iniziale del naso in zona frontale, munita di una vistosa ecchimosi rosso-bluastra, così dicasi per la parte relativa del collo sinistro, le cui ecchimosi proseguivano con discontinuità, su tutta la parete dorsale, lesione di cui non viene fatta menzione nel verbale medico di accettazione”. Traduzione: Uva è giunto in ospedale “massacrato”. Ed ancora: “Non vi è traccia degli slip del de cuius e su chi abbia provveduto alla loro rimozione dal corpo”, indumenti per altro non consegnati ai parenti. Traduzione: gli abiti e gli indumenti intimi dell’Uva non sono stati consegnati alla famiglia perché sporchi di sangue. Macchie di sangue che ci sono, sembra, anche nella parte posteriore dei pantaloni all’altezza della regione anale ed anche all’altezza del pube.

E l’autopsia? Fatta sbrigativamente e ignorando o minimizzando fratture e lesioni sul corpo di Giuseppe Uva. Il primo pubblico ministero è cambiato. Tutto è stato messo a tacere, gli indagati sono solo due medici. Ma, come si diceva, c’è un fascicolo aperto di indagine nei confronti di chi ha trattenuto illegalmente in caserma Uva e lo ha picchiato. Erano in sei, facile sapere chi possano essere i colpevoli. Eppure il fascicolo è contro “ignoti”.

Sono passati due anni da quei terribili fatti. Una vicenda simile a quella che ha visto protagonisti altre persone messe sotto la tutela dello Stato e morte più o meno misteriosamente come Marcello Lonzi, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Aldo Bianzino.

All’inizio ci domandavamo se fosse possibile tutto questo. Sì, purtroppo in questo Paese, è possibile. Ed è possibile perché c’è stato un progressivo imbarbarimento della società, perché l’impunità è diventata valore, perché tanto i poveracci non hanno diritti, siano essi immigrati o ubriachi, gay o zingari. Le forze dell’ordine giurano sulla Costituzione, ma forse la stessa non l’hanno mai letta, alla stragrande maggioranza dei cittadini importa poco se in carcere si muore perché “se erano lì qualcosa avevano fatto” e non ci si accorge così che in questo modo, con questi vergognosi episodi si riduce lo stato di diritto e che tutti noi, da un giorno all’altro, possiamo finire in una caserma dove i diritti costituzionali non valgono più come è successo in Cile o in Argentina, ma anche a Genova nel 2001.

Questa vicenda l’apprendiamo dopo due anni. Merito dei familiari di Uva, merito della giornalista del TG3 Maddalena Bolognini, merito di Luigi Manconi dell’associazione “A buon diritto”, merito dell’agenzia Ristretti Orizzonti, merito di chi non vuole assuefarsi alla morale comune, di chi non crede alle verità ufficiali. Ma nello stesso tempo è una sconfitta. In uno stato di diritto non si dovrebbe poter nascondere per due anni la morte di un cittadino. In uno stato di diritto democratico e costituzionale avrebbero dovuto essere le stesse forze di polizia a fare pulizia al loro interno, denunciare chi ha deviato dai suoi compiti istituzionali. In uno stato democratico non si può, dopo due anni, tenere un fascicolo d’indagine contro “ignoti”.


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -