Muore un altro detenuto, ma ci si scandalizza per la detenuta incinta

Continua l’ipocrisia dell’Italia bacchettona. Dall’inizio dell’anno sono venti i detenuti morti e quindici si sono tolti la vita. Il ministro manda gli ispettori a Bollate dove una detenuta è rimasta incinta
Ancora un morto in carcere. Il ventesimo dall’inizio dell’anno e se è suicidio, il quindicesimo. Questa volta è avvenuto nel carcere di Reggio Emilia dove un detenuto di 47 anni, sembra tossicodipendente, ha inalato il gas della bomboletta che i detenuti usano regolarmente per cucinare. A fianco del corpo, un sacchetto di plastica.
Suicidio o “infortunio”? In realtà molti tossicodipendenti s’infilano un sacchetto di plastica in testa, s’avvicinano alla bomboletta, aprono la valvola e inalano gas. Una fattispecie di droga, una droga da poveracci come sono coloro che sono in carcere e che, invece, dovrebbero stare in strutture apposite.
Il decesso è avvenuto attorno alla mezzanotte, l’orario dove minore è il controllo degli agenti. In realtà non c’è per nulla controllo perché è impossibile che una sola persona possa controllare 150 reclusi come a Reggio Emilia, ma come avviene in quasi tutte le carceri.
Ormai morire in carcere è diventata “normalità” e con la normalità arriva l’assuefazione. Quindi la morte di un detenuto diventa una “non notizia”. In realtà siamo stanchi, ogni settimana, di registrare la morte di persone che dovrebbero essere custoditi dallo Stato. Morire in carcere non fa notizia, non scandalizza, non importa. Sono i reietti della società e quindi non debbono avere pretese anzi, nella vulgata popolare, “stanno fin troppo bene. Hanno anche la Tv in cella”.
Insomma, non si scandalizza nessuno. Né i cittadini né, tantomeno, i nostri deputati. Ma appena si viene a sapere che in un carcere una detenuta è rimasta incinta, beh, allora, i titoli dei giornali si sprecano, il sindacato dei poliziotti si pronuncia, il ministro della Giustizia invia gli ispettori. e tutti si mostrano scandalizzati.
L’episodio è avvenuto qualche tempo addietro nel carcere di Bollate, un istituto a reclusione attenuata dove si sperimentano, con successo, metodi di inserimento dei detenuti, pratiche di socializzazione, possibilità di lavoro e formazione. Il tutto diretto con grande professionalità e umanità da Lucia Castellano.
Due detenuti, un uomo e una donna, frequentano il corso di periti chimici. Si conoscono, nasce una simpatia, poi l’amore. Trovano, in modo fugace, dove potersi amare, ma lei resta incinta. Ed ecco i titoli dei giornali che improvvisamente s’interessano delle carceri. Dei problemi delle carceri? Ma no, i titoli sono tutti per scatenare impulsi per guardoni del tipo “Scandalo a Bollate” o “Carcere a luci rosse”. Ecco che anni e anni di lavoro, importantissimo, è vanificato da un titolo. Bollate non è più il fiore all’occhiello dove sperimentare percorsi umani e rispettosi della dignità umana, ma un luogo di perversione, di amori liberi e cose del genere.
Addirittura il sindacato di polizia penitenziario Sappe, parla di “episodio sconcertante” e s’invoca l’intervento del ministro e del capo del Dap. Il che puntualmente avviene con l’invio di alcuni ispettori a Bollate. “I fatti – così scrive il Sappe – avvenuti in un istituto penitenziario a trattamento avanzato come quello di Bollate, dimostrano il fallimento di politiche eccessivamente risocializzanti, che vanno a discapito dei servizi di sicurezza e vigilanza. Questi programmi devono essere rivisti”.
Osservate bene i termini. “Politiche eccessivamente risocializzanti”. Cosa significa? Il problema è che Bollate è stato sempre sopportato e mai condiviso e si aspettava che succedesse qualcosa per penalizzarlo e farlo diventare come tutti gli altri carceri invocando il solito moralismo sicuritario e fallimentare, ipocrita e nauseante.
Inutile far presente a queste persone che in Europa, quasi dappertutto, nelle carceri possono entrare, periodicamente, mogli o compagne e avere momenti di gioia sessuale affettiva. Inutile ricordare che la nostra Costituzione punisce il reato, ma non gli affetti e che non c’è scritto da nessuna parte che oltre alla libertà al detenuto debba essere anche tolto l’affetto per una persona. Quindi pena doppia.
Non ci si scandalizza che in carcere ogni settimana si tolga la vita una persona, ma del fatto che una detenuta aspetti un bambino sì. E’ l’Italia di oggi, l’italietta delle escort e delle violenze in carcere che non si vogliono conoscere, l’italietta delle truffe e di chi in carcere si uccide. Ogni mese entrano in carcere circa 1.000 persone. A Bollate, per una volta, è entrato l’amore.
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