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Lettera aperta a un sacerdote

La vicenda paradossale della mancata benedizione ad una musulmana

di Adriano Todaro - mercoledì 27 gennaio 2016 - 6030 letture

Caro don Angelo Chizzolini… Avrei dovuto cominciare così questa lettera aperta a un sacerdote della provincia di Savona ma non ce la faccio. Mi sembra troppo confidenziale e ipocrita. Sì, ipocrita. Perché questo don Angelo non mi è per nulla caro. E allora inizio questa lettera con un più formale “Egregio”.

Egregio don Angelo Chizzolini, lei è parroco di Arnasco, ridente paesino posto a 290 metri di altitudine, in provincia di Savona, con 663 abitanti. Le scrivo perché sono stato colpito da un episodio che l’ha visto come protagonista e, proprio per questo, è finito, suo malgrado o no, sui giornali nazionali. Il tutto risale a venerdì 15 gennaio quando, nella notte, per una fuga di gas, crolla una palazzina nella frazione Bezzo e rimangono uccise cinque persone fra cui Dino Andrei, 76 anni e sua moglie Aicha Bellamoudden, 56 anni.

Lei, egregio sacerdote, durante la cerimonia funebre si è rifiutato di benedire la salma di Aicha (e lo stesso ha fatto anche al cimitero) perché la donna, pur avendo intrapreso il cammino di conversione al cristianesimo, non aveva ancora ricevuto il battesimo.

Noi laici ci sentiamo spesso ripetere che non capiremo mai le ragioni della fede. Agnostici e non credenti non capiranno mai che le vie del Signore sono infinite Forse è così ma in questa vicenda non riesco a vedere non solo le vie del Signore ma neppure un barlume di umanità, quell’umanità che i sacerdoti devono necessariamente possedere per svolgere il proprio ministero. Se lo faccia dire da uno che non crede: lei non ha proprio il “diritto” di fare il sacerdote, è arido e inutile prima di tutto per i veri cristiani.

Ora le voglio raccontare un episodio che risale al 1978 e che ho seguito molto da vicino. Dunque, in un paese di 20 mila abitanti a poca distanza da Milano, un ex segretario del Pci, in quel momento presidente dell’Anpi locale (se non lo sa, Anpi significa Associazione nazionale partigiani italiani), si ammala di tumore. Ha fatto il partigiano e all’età di 19 anni è stato condannato dal Tribunale speciale fascista di Como a 24 anni di carcere. E’ una brava persona, tiene rapporti con tutti, è amico di tanti cattolici. La domenica mattina accompagna la moglie, cattolica, sino all’entrata della chiesa. Poi lui va a vendere l’Unità o in sezione.

Quando la vita sta abbandonando il partigiano, a casa sua si presenta, per la prima volta, il parroco del paese. Lui, l’ex partigiano, non fa nessuna polemica, lo accoglie gentilmente, parlano, discutono. Quando muore, non avendo lasciato ai familiari nessuna indicazione per i funerali, la moglie, cattolica, decide di portarlo in chiesa. Telefona al parroco il quale tergiversa, accampa scuse, le bandiere rosse e altri futili motivi. Al funerale partecipa “tutto” il paese. Una folla immensa, a dimostrazione della popolarità e del rispetto nei confronti dell’ex partigiano. Quando il corteo giunge nella piazza dove sorge la chiesa, il parroco fa sbarrare le porte forse per paura che quel miscredente ma onesto personaggio possa, di soppiatto, infilarsi in chiesa.

Dopo una settimana muore un’altra persona. Questo è ricercato dai carabinieri per una serie di reati, fra cui, una violenza su una ragazzina di 16 anni. Quando i carabinieri vanno a casa a cercarlo, lui è lì tranquillo con moglie e figli. Per non farsi arrestare cerca di nascondersi e non trova di meglio che appendersi dal balcone. E’ al terzo piano e a un certo punto non ce la fa più ad essere sospeso nel vuoto, molla la presa e si sfracella al suolo. Inutile dire che questo personaggio in chiesa è ricevuto. Una pecorella smarrita, certo, ma che sapeva benissimo quando rubava o violentava.

Perché le racconto questo? Perché sono sicuro che lei nella sua chiesa avrebbe celebrato i funerali a questa persona. Perché sono tutti figli di Dio, ma qualcuno, per lei e il parroco brianzolo, un po’ meno, siano essi comunisti (e onesti) o musulmani sulla via della conversione. Le dico questo perché sicuro che se dovesse morire uno che non paga le tasse (ricorda “Date a Cesare…”), uno che inquina, uno che porta i soldi all’estero e licenzia gli operai, uno che, in guanti bianchi, truffa tanta povera gente, questa persona avrebbe trovato posto nella “sua” chiesa.

Sono anche convinto che lei sia contro le unioni civili, i gay e tanto altro. Lei è anche recidivo nel senso che, nel passato, quando il papa invitava i sacerdoti ad aprire ai migranti le parrocchie, lei dichiarò che prima di dare la sua canonica ai profughi, l’avrebbe bruciata. Io, che non sono per nulla corretto e che sono anche cattivo, quando ho letto questa frase ho augurato a don Angelo Chizzolini di bruciare anch’esso mentre appiccava il fuoco alla canonica.

Ho appreso che, forse per metterci una pezza, ha telefonato al fratello di Aicha, Moustapha Bellamoudden. “Il sacerdote – ha dichiarato il signor Bellamoudden – mi ha detto di essere stato minacciato, di avere ricevuto una lettera anonima. Se davvero fosse andata così, doveva denunciarlo davanti alle autorità presenti ieri alla cerimonia funebre e non aver alcuna paura".

Lei ha cercato di metterci una pezza ma come dicono i padovani xe pèso el tacòn del buso, peggio il rammendo che il buco. Eppure lei dovrebbe sapere quanti sacerdoti hanno pagato con la vita il loro modo di essere onesti e dalla parte dei più deboli. Le dicono niente nomi come quelli di don Pietro Pappagallo, don Ubaldo Marchioni, don Antonio Musumeci, don Delfino Angelici, don Pietro Morosini, don Giovanni Minzoni e tanti altri? Anche loro erano stati “avvertiti” di non stare con i partigiani e non in modo anonimo. Non avevano accettato l’avvertimento e sono stati uccisi. E lei si preoccupa per una banale lettera anonima?

Non voglio addentrarmi oltre e far sorgere così la sensazione d’interessarmi sulle intenzioni non esplicitate del sacerdote. Quello che io chiedo, invece, è da che parte stia veramente la Chiesa. Noi lo sappiamo ma lei, don Angelo, si è mai posto questa domanda? Lo sa da che parte sta la sua Chiesa? In un paese di 663 abitanti ci si conosce tutti. Lei confessa i suoi parrocchiani e, con tre avemarie, li assolve dai peccati. Fa bene perché bisogna perdonare e perché Dio è misericordioso. Assolve anche coloro che hanno rubato a qualche povero cristo, attraverso la banca (ad Arnasco ce ne sono ben otto), o con gli affitti in nero? E Aisha che colpa aveva?

Quando era in seminario, avrà certo studiato Sant’Agostino e le sue “Confessioni”. Si ricorda, don Angelo, quando rivolgendosi al Signore, scrive che l’uomo “si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi“?

Lei ha peccato perché è caduto nel peccato peggiore tra i sette vizi capitali, la superbia. Ha deciso lei di non benedire Aisha, sostituendosi così al suo Dio. La superbia, appunto.

Le consiglio di andarsi a confessare. E magari si legga anche qualche libro di due suoi “colleghi” come don Lorenzo Milani e quel “pretaccio” di don Gallo. E si veda, si riveda, se l’ha già fatto, il film “Il Vangelo di San Matteo” di Pier Paolo Pasolini, personaggio a lei certamente inviso perché comunista e omosessuale. Ma con un senso religioso che in lei, pur essendo prete, è ben lontano da avere. Lei, fortunatamente, è giovane; può anche recuperare e ravvedersi folgorato sulla via di Damasco come San Paolo. Ma, soprattutto, vada a confessarsi e chieda, umilmente, di essere perdonato.

Con nessuna stima

Adriano Todaro


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