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Figure retoriche (2): Metafora

‘I media non dicono alle persone cosa pensare. Ma hanno una palese influenza nel dire alle persone cosa pensare riguardo a qualcosa’ afferma Doherty.

di Alessandra Calanchi - mercoledì 5 febbraio 2025 - 239 letture

Sostituzione di un termine proprio con uno figurato, o di un termine con un altro

Es. il mare di grano ondeggia, il leone è il re della foresta

Il tramonto dell’occidente è una metafora – sì, è vero, è sia un eufemismo sia una metafora. Perché la bella notizia è che le figure retoriche non si escludono l’un l’altra, anzi, si accoppiano, si accorpano e fanno legione.

Facciamo un esempio: Il grande sonno, titolo del famoso romanzo di Chandler, che si riferisce alla morte, è sia metafora sia eufemismo. La vita è sogno di Calderon de la Barca, è già un po’ più complicato, anche perché il titolo in spagnolo suona sia come sonno, sia come sogno.

Sei un mostro invece è una metafora ma non è un eufemismo. Sei un mito sì. Ecc. ecc.

Il popolo bue è una metafora, sollevare un polverone pure, ma meno fantasioso. Anche Via col vento è una metafora (di cosa? Guardate il film).

Avere uno scheletro nell’armadio è una metafora.

Essere magro come uno scheletro invece è una similitudine, la sorella minore della metafora. Sì, deve ancora crescere, ha ancora bisogno del “come”.

Essere magro come un’acciuga è un’altra similitudine (ma è anche body shaming).

Sei una volpe è una metafora

Sei astuta come una volpe è una similitudine

Sei una stella del cinema è una metafora

Ho il cuore in gola = metafora

Hai il cuore d’oro = metafora

L’Amazzonia è il polmone del mondo = metafora

L’Italia è uno stivale = metafora

Ma non solo…. The Guardian mette… “in guardia” contro il linguaggio sviante delle metafore nella comunicazione:

“Si intensifica il dibattito internazionale sulla rappresentazione di immigrazione e migranti. […] Anche in Australia i media riflettono sull’uso del linguaggio e su come esso, negli ultimi decenni, sia cambiato insieme alle politiche di accoglienza del Governo, trasformando i ‘richiedenti asilo’ in ‘illegali’. […] ‘è importante essere consapevoli dei termini di cui i media fanno un uso improprio’, osserva Shariatmadari, se si vuole ‘mantenere la capacità di pensare in modo chiaro e indipendente all’immigrazione’. Esempi recenti nel panorama britannico sono le metafore ‘sciame’ – usata da Cameron, ‘saccheggio’ – a cui ha fatto ricorso il segretario per gli Affari Esteri, Philip Hammond, ‘tsunami’ – scelta dal Daily Mail, ‘inondazione’ – preferita dal Daily Express. Neppure la virtuosa BBC ne è rimasta immune, scegliendo il verbo ‘inondare’ per descrivere gli spostamenti di chi, giunto in Italia, vuole proseguire verso nord. Rifacendosi alla linguistica cognitiva, l’autore dell’articolo riflette su come il ricorso a tale linguaggio considerato ‘figurato’ porti con sé molte implicazioni: qual è il concetto che queste metafore trasmettono alla mente di chi ascolta o legge? Il messaggio che arriva, a livello inconscio, e che determina il modo di inquadrare sentimenti, fenomeni, cose e persone potrebbe essere questo: ‘i migranti sono insetti’, ‘i migranti sono un esercito invasore’, ‘l’immigrazione è un’inondazione’.

Aggiunge Shariatmadari: ‘Non dovrebbe essere necessario sottolinearlo, ma: la piaga degli insetti distrugge i raccolti e rovina il cibo; gli eserciti invasori riducono in cenere le città e commettono genocidi; le inondazioni distruggono le case e fanno annegare le persone. I migranti non fanno nessuna di queste cose.’ Non è questione di libertà di espressione, ricorda il giornalista, non si vuole in alcun modo limitarla o proibire l’uso di alcune parole; si tratta, piuttosto, di rivedere quegli schemi di pensiero che non riflettono la realtà […] non può esserci spazio per ‘i migranti sono insetti’ o ‘l’immigrazione è un’inondazione’ in nessuna discussione che pretenda di avere a cuore l’interesse dei cittadini.

L’analisi di Ben Doherty, che ripercorre gli ultimi quaranta anni, giunge a una conclusione: i cambiamenti nella terminologia riflettono i cambiamenti dell’approccio politico e amministrativo al fenomeno dell’immigrazione, di cui il linguaggio stesso è strumento. I media, di volta in volta, hanno recepito e fatto loro questi cambiamenti, in un processo che non riguarda solo l’Australia. Lo stesso è accaduto e continua ad accadere negli Stati Uniti e in Europa. ‘La terminologia conta perché plasma la nostra comprensione di un fenomeno’ – ha scritto Jane McAdam, docente universitaria esperta in diritto internazionale […] ‘I media non dicono alle persone cosa pensare. Ma hanno una palese influenza nel dire alle persone cosa pensare riguardo a qualcosa’ afferma Doherty.


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