Carceri: l’ipocrisia di indulto e amnistia

Con grande tempismo Napolitano li invoca entrambi. Tutti diventano paladini dei detenuti, anche chi voleva metterli in galera e gettare la chiave. Per salvarne uno
Francesco Gangemi, 79 anni, è stato portato in carcere. Prima di spiegare chi è Gangemi e cosa ha fatto per finire nelle patrie galere, voglio dire qualcosa a proposito del messaggio ai parlamentari inviato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Martedì 8 ottobre, Napolitano ha scritto un messaggio, lungo dodici pagine, rivolto al Parlamento affinché disponga “immediati rimedi straordinari” per ridurre il sovraffollamento delle carceri. Non è la prima volta che il presidente della Repubblica s’interessa delle carceri. Il 28 settembre scorso, durante la visita al carcere di Poggioreale, Napolitano ha affermato testualmente: “Chiedo al Parlamento se ritenga di prendere in considerazione un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia”.
Sono parole che difficilmente si possono confutare. Come abbiamo scritto più volte, la situazione delle carceri è drammatica: 65 mila detenuti per 47 mila posti disponibili. Per capire bene cosa significhino questi numeri bisognerebbe provare a stare, per 24 ore al giorno, in celle di 2,5 per 4,5 metri in sei persone, con tre letti a castello come avviene nel carcere milanese di San Vittore. In una di queste celle, ci sta Hassan H. egiziano, detenuto per spaccio di hascisc che ha chiesto, tramite il suo avvocato, Mauro Straini, la revoca della custodia cautelare a causa delle condizioni disumane di carcerazione "in violazione del Codice di procedura penale, della Costituzione e delle indicazioni provenienti dall’Europa, dove l’Italia è già stata condannata".
San Vittore non è caso limite. C’è anche di peggio. In molti carceri non c’è acqua calda, in altri i termosifoni, d’inverno, non funzionano e d’estate si soffoca. In quelle celle non si fa e non si può fare nulla. Altro che articolo 27 della Costituzione. Lì non c’è nulla. Solo abbruttimento e violenze. Lo scorso anno ci sono stati, nelle carceri italiane, 60 suicidi per un totale di 154 morti; quest’anno, al 9 ottobre, i suicidi sono stati 39 su un totale di 123 decessi.
Parole ben dette, quindi, quelle di Napolitano. Pur tuttavia sono parole che non mi trovano consenziente non fosse altro perché dette in un momento particolare della vita politica italiana. Conosco le carceri per averle frequentate come volontario per diversi anni. C’è un’umanità dolente, in queste discariche sociali, che ha bisogno di risposte concrete e speranza. Nelle carceri, in quelle dove i detenuti sono trattati come esseri umani e non come bestie, in quelle dove non si sta 24 ore in branda perché molte volte non c’è neppure il posto per stare tutti assieme in piedi, ebbene in questi istituti i risultati sono evidenti. Pochissimi i recidivi quando hanno la possibilità di uscire, per lavoro, o come alternativa al carcere; in carcere si studia, si fa teatro, dove è possibile, si lavora, si fanno prodotti che non hanno nulla da invidiare a quelli manufatti nelle aziende esterne. Addirittura, pur essendo un’istituzione chiusa per antonomasia, si producono circa 60 giornali. Un miracolo!
Tutto questo dove l’articolo 27 è applicato. Nella stragrande maggioranza dei casi però, inedia e abbruttimento. Ben venga, quindi, il messaggio presidenziale anche perché tiene conto che se l’Italia, entro il 27 maggio 2014, non garantirà ai detenuti condizioni di vita umane, i ricorsi saranno centinaia. Se dovessero farlo i detenuti, diciamo così, in esubero ai posti disponibili, l’Italia dovrebbe pagare risarcimenti per 270 milioni di euro. E questo perché non è nella norma dell’articolo 3 della Convenzione europea che “vieta pene o trattamenti disumani a causa del sovraffollamento carcerario”. Alcuni detenuti sono già stati risarciti nei mesi scorsi: 15 mila euro per ognuno di loro.
Alle parole del presidente della Repubblica, tutti (escluso M5S, Lega e Fratelli d’Italia, per motivi diversi) hanno applaudito e fatto a gara nelle dichiarazioni pubbliche. All’improvviso il problema carcere è diventato “emergenza nazionale”. Noi siamo un Paese che si poggia sulle “emergenze”, ma su questo problema c’è molta malafede e ipocrisia. Tempo addietro, in un’altra parte di girodivite, rilevavo come non si parlasse più di “certezza della pena” da quando la pena è sulla testa di Silvio Berlusconi. Ora fanno tutti a gara per dimostrare che hanno a cuore i problemi dei detenuti. Altero Matteoli, a botta calda, auspicava indulto e amnistia il “prima possibile”; Renato Schifani voleva “Un impegno totale da parte di tutti… perché noi siamo pronti a fare la nostra parte, ci auguriamo che lo stesso faccia il Pd, senza prevenzioni e pregiudizi politici”; Per Renato Brunetta questo problema doveva scivolare immediatamente “in testa ai lavori delle aule”. Indulto e amnistia, secondo il capogruppo del Pdl, ”vanno realizzati senza indugio”.
Da parte del Pd, come dice il capogruppo, Roberto Speranza, c’è “cauta apertura”. Per lui c’è bisogno di approfondire “ma certo le parole di Napolitano non possono restare inascoltate”. Amnistia e indulto possono interessare Silvio Berlusconi? “Questa è una lettura banale – risponde Speranza – Napolitano solleva un problema reale e drammatico, le vicende di Berlusconi non hanno a che fare con questo problema. Se qualcuno lo pensa se lo tolga dalla testa”.
Le altre dichiarazioni sono tutte su quest’onda, da Marina Sereni a Valeria Fedeli. Insomma, per il Pd il problema Berlusconi non si pone. Vedremo, anche se le passate iniziative non ci fanno stare tranquilli. Sembra che tutti abbiano a cuore i detenuti al punto che uno come Fabrizio Cicchitto dichiara: “Il degrado delle condizioni carcerarie è tale che esso deve essere affrontato con la necessaria incisività e urgenza e non può più essere rinviato”. Quindi, per lui, ci vuole indulto e amnistia.
Ecco la malafede e l’ipocrisia che traspare dalla tempistica del messaggio di Napolitano. Dei detenuti, in realtà, non si è mai interessato nessuno di quelli che siedono in Parlamento. Se avessero avuto a cuore la vita dei detenuti, avrebbero certamente fatto grandi battaglie per carceri più vivibili. Ora si vestono da paladini dei più deboli e, lancia in resta, cercano si salvarli. Soprattutto, a tutti loro, interessa salvarne uno. Si strumentalizzano i detenuti, che hanno giuste richieste e aspettative, per salvare Silvio Berlusconi.
Sbaglio? Può darsi. Se è così, allora qualcuno mi deve spiegare perché solo ora i detenuti sono diventati importanti. Qualcuno mi deve spiegare perché mai si parla di costruire nuove carceri e non di abolire le leggi vergogna (ex Cirielli, Bossi-Fini-Maroni, Fini-Giovanardi ecc.) che, di fatto, hanno riempito a dismisura, le carceri. Perché, proprio in questo momento, sono necessari l’indulto e l’amnistia?
L’amnistia del 2006 produsse, senza dubbio, un risultato importante: nel giro di un mese i detenuti passarono dai 60.710 ai 38.847. Due anni dopo i detenuti ritornarono a essere 54.789 e oggi, come detto, sono 65 mila.
Se non si va alla radice del problema, dopo il provvedimento, le carceri torneranno a riempirsi come e più di prima. E’ già successo e nessuno, nel Parlamento, si è preoccupato. Nuove carceri? Perché, di grazia non utilizzare quelle finite e mai funzionanti che abbiamo citato tempo addietro proprio su queste colonne?
Il 35,19% dei detenuti è composto da stranieri. Il 4,42% donne. Il 37,17% è in custodia cautelare. Il 39,44% ha un’imputazione o condanna per violazione della legge sulle droghe. Bastano questi dati per capire che la vera riforma è fare i processi al più presto possibile, e non tenere in galera persone che poi magari andranno assolti; la vera riforma è dare ai tribunali gli strumenti per operare al meglio; la vera riforma è non mandare in carcere persone cui manca solo qualche timbro su un pezzo di carta; la vera riforma è abolire la legge sulle droghe che non fa differenza fra le sostanze stupefacenti; la vera riforma è abolire le leggi sulla recidiva (ex Cirielli). E magari introdurre, nella nostra legislazione, il reato di tortura sempre disatteso dall’Italia.
Perché Napolitano non ha parlato di questo? Adolfo Ceretti, criminologo all’Università Bicocca di Milano boccia l’idea di Napolitano perché amnistia e indulto “Possono decongestionare sul momento ma nel giro di 2 o 3 anni saremo al punto di partenza. Serve un intervento strutturale con depenalizzazione e rafforzamento delle misure alternative… Si investa sul welfare penale invece che assecondare l’ossessione per la sicurezza. La chiave sono i progetti di prevenzione sociale". E Mauro Palma, fondatore di Antigone, ci ricorda che “se ci si limita ad un’amnistia, allora si tratta solo di un provvedimento deflattivo, che non risolve, perché dopo un po’, ci si ritrova nella situazione di partenza”.
Voci fuori dal coro. Nuove carceri significano maggior personale. Nel 1985, 1989 e 2003 si era fatta la selezione per 500 psicologi. Ora li stanno rifacendo. Una volta assunti (se saranno assunti), gli psicologi saranno a partita Iva a 17 euro all’ora con un mandato che durerà quattro anni, rinnovabile. Non è proprio quello che Ceretti aveva in mente quando parlava di spendere di più sul welfare penale.
Lo scetticismo nostro non è campato in aria. Nel 2006 potevano accedere all’indulto anche chi aveva reati simili a quelli che ha oggi Berlusconi. E c’è qualcosa di peggio. Dalle proposte di legge presentate (dal Pdl e dal Pd), molte sono per un totale colpo di spugna e si parla, addirittura, di andare indietro di ben 8 anni. Insomma, puzza, puzza molto il fatto che ora, proprio ora, c’è il messaggio di Napolitano quando sono anni che la situazione nelle carceri è disperata.
E veniamo al detenuto Francesco Gangemi, 79 anni. Non ha ammazzato, non ha frodato il fisco, non ha rubato, non ha violentato, non è un clandestino, non ha compiuto rapine, non ha corrotto. E allora, perché è in galera? Il 5 ottobre scorso la polizia di Reggio Calabria l’ha tradotto nella Casa circondariale di San Pietro su ordine della Procura generale della Repubblica di Catania. Gangemi è un giornalista e dirige Dibattito News e il reato che ha compiuto è “diffamazione a mezzo stampa”. Che cosa ha combinato Gangemi? Nel 1992 era consigliere comunale e l’intera Giunta, guidata da Agatino Licandro, fu arrestata per aver intascato tangenti da una ditta per la fornitura di fioriere del valore di 90 milioni di vecchie lire.
Gangemi prese la parola e disse chiaramente che in qualche stanza del Comune le valigette entravano piene di soldi e ne uscivano vuote. Come giornalista aveva avuto questa informazione e, pubblicamente, denunciato il malcostume. Interrogato dal giudice, Gangemi si rifiutò di rilevare la fonte così come previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e dalle sentenze della Corte di Strasburgo.
In realtà Gangemi ha otto sentenze emesse, dal 2007 al 2012 nei tribunali di Reggio Calabria, Cosenza e Catania, in gran parte per il reato di diffamazione. Solo in un caso, Gangemi, è stato condannato per falsa testimonianza, e la vicenda fa riferimento all’attività politica del giornalista che ha anche ricoperto la carica di sindaco di Reggio Calabria, per poche settimane, agli inizi degli anni ’90 in un periodo travagliato per la città calabrese dello Stretto.
Ora è chiamato a scontare due anni di pena residua dopo che la Procura della Repubblica di Catania ha dichiarato decaduti i benefici di sospensione condizionale della pena, per i suoi articoli pubblicati sul periodico il Dibattito. Anche perché, come si scrive, “Ha omesso di presentare l’istanza per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei termini prescritti”.
E così Gangemi, a 79 anni, ha provato cosa significa stare in galera. Ora, per sua fortuna, i giudici di sorveglianza di Reggio Calabria hanno accolto le tesi del difensore del giornalista e hanno concesso gli arresti domiciliari. La gravità dell’episodio, però, resta tutto. Quando il direttore del giornale di Berlusconi, Sallusti, diffamò un magistrato, Napolitano si mobilitò immediatamente e, in pratica, lo graziò. Si muoverà con la stessa rapidità anche per Francesco Gangemi che a 79 anni è stato tradotto prima in carcere e ora ai domiciliari? E quanti Gangemi ci sono nelle patrie galere? Vale la pena tenere i Gangemi in galera a 200 euro al giorno? Non è meglio, forse, mandarli a casa e in galera metterci quelli più pericolosi, quelli che hanno rubato a tutti noi e ridotto il Paese allo sfascio?
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