Carceri: i maldipancia di Napolitano

Visita a San Vittore presidiato dalla polizia. Le carceri definite da Napolitano "vergogna d’Italia". I partiti, ipocritamente, si allineano. Unica controcorrente, Rita Bernardini che invita Napolitano a fare come ha fatto con Sallusti
Lo scorso mercoledì, era impossibile avvicinarsi alla piazzetta Filangieri, a Milano. Polizia, carabinieri, agenti penitenziari, vigili urbani, guardie di finanza, poliziotti in borghese con ricetrasmittenti posizionate all’orecchio. Un incredibile e spropositato spiegamento di forze in occasione della visita del presidente Giorgio Napolitano al carcere di San Vittore.
Da un’altra parte della piazzetta, un sacerdote, don Virginio Colmegna, fondatore della Casa della Carità, in sciopero della fame (assieme ad altri) per i problemi che si vivono nelle carceri e per ridare dignità ad una cittadina rumena di 27 anni, tre figli, finita in carcere perché 6 anni prima (sottolineiamo, 6 anni prima!) chiedeva la carità per strada.
Quando vuole la giustizia, quella con gli occhi bendati e la bilancia, è inesorabile. Lenta ma inesorabile. Soprattutto quando l’accusato è un povero cristo senza potere, che non può permettersi avvocati famosi, meglio se parlamentari, che non è un potente. E la rumena era ed è una senza potere che faceva accattonaggio. In questi 6 anni, assistita appunto dai volontari della Casa della Carità, si era rifatta una vita, aveva un lavoro, una casa.
Ora questa "normalità" si è spezzata. Come afferma amaramente don Colmegna "questa è la dimostrazione che in carcere ci sono persone che non ci dovrebbero stare". Fortunatamente un giudice, Carlo Giovanni Cotta, ha sospeso l’esecuzione della pena e la rumena, dopo 28 giorni di carcere, ha potuto riabbracciare le figlie.
Lo spiegamento di forze per Napolitano, il dramma della giovane madre rumena. Due facce della stessa medaglia. La medaglia del carcere, un’istituzione obsoleta, una discarica sociale per togliere dalle strade, dalla società civile, i diversi, i malfattori, i poveri, gli stranieri, coloro che hanno difficoltà ad inserirsi.
Certo è un bene ed è positivo che Giorgio Napolitano sia andato in visita a San Vittore dove ci sono ben 1.600 detenuti di fronte ad una capienza di circa 800 posti. Il dramma del sovraffollamento, il dramma che vivono i 206 istituti carcerari del nostro Paese. Sovraffollamento che periodicamente denunciamo da queste colonne. San Vittore è un carcere circondariale inaugurato nel 1879 e nemmeno, sotto molti aspetti, uno dei peggiori. Pur con tutte le difficoltà, esiste, all’interno, una certa socialità grazie all’avveduta direzione prima di Luigi Pagano e poi di Gloria Manzella. I volontari lavorano bene, si fa teatro, ci sono laboratori di moda e pelle, si produce un giornale e tanto altro. Eppure...
Eppure solo una parte dei 1.600 detenuti sono coinvolti in queste attività. La maggioranza di essi bivacca nel poco spazio a disposizione, nell’inedia più completa.
L’incontro con Napolitano è stato fatto nella parte ristrutturata dell’ingresso, nella cosiddetta "rotonda". Ristrutturata, e quindi nuova. Pubblico selezionato e solo due detenuti che leggono un appello. Marie Helene Ponge e Francesco Fusano hanno parlato di affetti recisi, della lontananza delle loro famiglie e hanno chiesto di non essere dimenticati dalla politica.
Quando Napolitano interviene, la commozione la si coglie molto nelle sue parole, soprattutto quando riferendosi alle carceri afferma "che qui sono in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia".
Il riferimento è alla Corte europea dei Diritti Umani che l’8 gennaio scorso ha dato un anno di tempo all’Italia per trovare una soluzione ai "problemi strutturali" del nostro ordinamento giudiziario. Ma anche alle multe che l’Italia continua a pagare per non garantire ai detenuti una vita dignitosa in carcere e i diritti fondamentali come la salute. Non è un caso, infatti, che a Strasburgo ci sono centinaia di ricorsi pendenti perché l’Italia non garantisce lo spazio vitale ai detenuti che corrisponde a tre metri quadri per persona.
Poi anche parole fuori dalla ritualità delle visite ufficiali, come quando ha affermato che lui avrebbe firmato "per l’amnistia non una ma dieci volte".
E allora perché l’amnistia non passa? Perché il quadro politico è cieco e sordo, perché i detenuti contano poco, i più non votano e inoltre i partiti hanno paura di inimicarsi parte del loro elettorato dopo che per anni hanno sbraitato di "certezza della pena" ed altri ridicoli slogan.
L’ipocrisia di quasi tutti i partiti arriva al punto che dopo la visita di Napolitano a San Vittore, si sono allineati alle sue parole definite "sacrosante". Non faranno nulla come non hanno fatto nulla sino ad ora. Ma in campagna elettorale non si può certo mostrarsi "lontani" dal presidente della Repubblica. Ecco allora le dichiarazioni alle agenzie di stampa, un blaterare continuo a dimostrazione che loro, di carcere, non capiscono proprio nulla. Favi (Pd) auspica che la situazione insostenibile delle carceri "sia rapidamente superata e venga restituito il prestigio e l’onore all’Italia, macchiato dalla Corte europea per i diritti umani... L’eredità morale e civile che ci consegna il presidente Napolitano, avrà nel centrosinistra un sicuro custode...". Gli fa eco Pietro Grasso che dà la colpa della mancata amnistia ai "veti incrociati" in Parlamento e critica i governi Berlusconi e Monti che hanno dato prova di "una gestione assolutamente inadeguata". Per Alessia Mosca, sempre del Pd, il reinserimento lavorativo è la soluzione del problema ed "io m’impegno a portare avanti la proposta di legge sul reinserimento lavorativo... lo strumento più efficace per l’abbattimento del tasso di recidiva".
Più estemporanea la dichiarazione di Roberto Maroni (Lega) che, naturalmente vorrebbe costruire più carceri. Poi un colpo al cerchio e una alla botte: "Non è giusto che ci sia sovraffollamento, ma non è neanche giusto che chi ha commesso un reato venga messo in libertà". Infine la Lega si candida a gestire le carceri: "Facciamo un progetto, le utilizziamo e le gestiamo noi con l’accordo del ministero della Giustizia e forse gli risolviamo un problema". La prosa grattugia e i congiuntivi anche ma il senso è chiaro. E’ il vecchio sogno delle privatizzazioni delle carceri. "Le utilizziamo e le gestiamo noi...". Forse Maroni pensava al Trota o a Belsito.
La mette sui soldi, invece, il candidato di Fermare il declino, Gianbattista Rosa. San Vittore, afferma, è una follia politico-urbanistica. "A 500 metri da Sant’Agostino e Santa Maria delle Grazie, dove le case valgono 9.000 euro al metro quadro, 1.600 disgraziati vivono in condizioni inaccettabili di disagio e sovraffollamento, occupando uno spazio che può essere invece una clamorosa risorsa per Milano". La proposta? La proposta non è certo nuova, la manna di tutti gli speculatori. E’ quella di costruire un nuovo carcere in campagna, lontano dalla vista dei benpensanti e usare l’attuale San Vittore come "Cittadella delle arti e dei mestieri, dove troveranno sede laboratori, centri di ricerca, botteghe del design, della moda, dell’arredamento e delle altre eccellenze. San Vittore deve diventare, insieme al Duomo e al Castello, il simbolo di una Milano che rinasce, e che attrae intelligenze e investimenti, non un lugubre luogo di pena nel cuore pulsante della città".
Di tutto altro spessore la dichiarazione di Ilaria Cucchi di Rivoluzione Civile: "Mentre continuiamo a fare proclami, promesse e inutili chiacchiere la gente continua a morire. Anche per questo serve una legge sulla tortura. Occorre l’amnistia, eliminare le leggi criminali come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi" se il nostro Paese vuole continuare a definirsi civile. Maurizio Torrealta, dello stesso raggruppamento della Cucchi, ricorda a tutti il numero dei morti nelle carceri, il numero dei suicidi. Poi un affondo: "Nelle carceri italiane viene applicato un protocollo segreto che obbliga la polizia penitenziaria a mantenere il segreto su qualsiasi evento accada all’interno e a riferirlo esclusivamente all’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna-Ndr). L’autorità giudiziaria, finché rimarrà in funzione questo protocollo ‒ conclude Torrealta ‒ sarà esclusa dal controllo delle carceri, violando così i dettami della Costituzione ".
Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, dopo aver sottolineato che il sistema carcerario italiano è fuori dalla legalità interna e internazionale, ricorda che l’associazione ha presentato tre proposte di legge d’iniziativa popolare per intervenire sulle norme che creano carcerazione senza sicurezza: introduzione del reato di tortura, l’abrogazione della Fini-Giovanardi e l’introduzione del numero chiuso nelle carceri. "I partiti in campagna elettorale e il prossimo Parlamento ‒ conclude Gonnella ‒ hanno una piattaforma da cui partire per riportare il sistema carcerario nella legalità".
Dopo aver visitato il VI raggio di San Vittore, dove ci sono rinchiusi soprattutto detenuti stranieri, Giorgio Napolitano, all’uscita del carcere, è stato accolto dal presidio dei radicali al grido di "Amnistia, amnistia". Napolitano si è avvicinato e ha parlato brevemente con loro. Ed è stato in questo ambito che ha dichiarato che lui avrebbe firmato "per l’amnistia non una ma dieci volte".
Frattanto si sono conosciuti i dati relativi alle misure alternative alla detenzione, dati forniti dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) e resi pubblici da Ristretti Orizzonti. Si parla tanto di queste misure ma in realtà c’è difficoltà a portarle avanti. Se confrontiamo i dati del 2011 a quelli del 2012 vediamo che il rapporto tra misure alternative e detenzione carceraria passa dal 29% al 30%. A fine dicembre 2011 c’erano 66.897 detenuti; a dicembre 2012, 65.905. Hanno utilizzato le misure alternative, a tutto il 2011, 19.239 detenuti; nel 2012, 19.986. In pratica ogni 10 detenuti ci sono solo 3 persone in misura alternativa. Un dato che non trova riscontro in nessun Paese europeo. Senza dimenticare che nel 2012 sono avvenuti in carcere 154 decessi. Fra questi, 60 persone si sono uccise.
Di questo però non si parla mai e tanto meno ne parlano in campagna elettorale i politici.
L’unica ad andare controcorrente è la deputata radicale Rita Bernardini che ha rimproverato il presidente della Repubblica di aver "concesso meno grazie dei suoi predecessori" e l’ha invitato a "commutare la pena di tanti detenuti ignoti che vivono in condizioni insostenibili, così come ha fatto per Alessandro Sallusti".
Bernardini non tiene conto della diversità che c’è tra Sallusti e l’ultima sfigata rumena. Sallusti fa parte della Casta degli Intoccabili, la rumena, invece, no. La rumena si accontenti del fatto di aver trascorso in carcere solo 28 giorni. E, soprattutto, la prossima volta non chieda l’elemosina. Magari diffami un magistrato. Vedrà che la grazia arriverà.
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