Giro81
/ Movimento Cenone di fine anno di lanfranco caminiti
Il compassato "Times" inglese rivela
che squadre speciali di commandos
americani si aggirano nei meandri delle grotte di Tora Bora
per tagliare le
dita dei caduti di Al Qaeda. Le dita vengono infilate in
appositi sacchetti,
ibernate con un procedimento speciale e inviate a Fort Langley,
per la
conservazione e classificazione. L'orrenda macellazione
si giustifica con
l'acquisizione di codici DNA, ma non è chiaro a cosa
potranno servire: a
identificare qualcuno, forse, a impedire che qualcuno si
spacci per qualcun
altro, forse, a studiare la sequenza del genoma di un terrorista,
fors'anche. Magari per clonarlo. Se un domani tornasse comodo
- e tornano
comodo sempre -, si fa presto a tirare fuori da un laboratorio
un clone
allevato con meticolosa cura: si eviterebbe anche il rischio
evidente della
mancanza di fedeltà mostrata da quelli "originali"
[da "faccia d'ananas"
Noriega a bin Laden]. Benché, come le macchine di
Bradbury, i terroristi
coltivati in provetta pare si ribellino anch'essi: il caso
dell'antrace
diffuso da uno "scienziato pazzo" della Cia [qui
non so cosa virgolettare,
se "scienziato" o se "pazzo"] non lascia
tranquilli. I resti di quello che
fu descritto come il più potente esercito terrorista
del mondo sono
abbandonati a qualunque oltraggio, più scientifico
nel caso di cui sopra,
più selvatico nel caso delle varie bande che depredano
qualunque cosa. E'
una bella gara a chi fa il lavoro sporco [e qui non virgoletto
niente].
Sento tanta vergogna per tutto questo. La pena l'avevo spesa
tutta per i
morti delle Twin Towers. Vorrei avere un'alternativa tra
pena e vergogna. Ho
guardato con notevole curiosità le foto, diffuse
dalle agenzie di stampa,
dei corpi vivi di quello che fu descritto come il più
potente esercito
terrorista del mondo, uomini catturati, inginocchiati a
capo chino,
trascinati per le strade, incaprettati spesso - non è
chiaro se dagli
afghani che furono pastori o dai Rangers che hanno imparato
dalla mafia a
fare dei buoni nodi. Uno aveva un maglione con più
buchi lui di tutti i
buchi che le bombe americane hanno fatto sulle città
afghane e pure sulle
montagne. Uno era magro che faceva spavento per quanto era
magro. Uno aveva
le ciabatte - e ci andava per nevai - che da noi sono buone
per l'estate e
nemmeno tutti i giorni, che certe volte i più anziani,
che sono anche i più
saggi, ci mettono comunque i calzini, quelli bassi, che
con il pantaloncino
corto ci fanno tutta una parure. Uno aveva tutte le croste
sulla faccia. Uno
purtava le scarp de tenis. Uno era vestito di soli stracci,
tanti, uno
sull'altro. Uno era giovane, troppo giovane, senza neanche
un filo di barba
e ho temuto per la verginità del suo culo, per quel
suo essere stato fra le
bestie omofobiche di quello che fu descritto come il più
potente esercito
terrorista del mondo. Uno aveva un cappello lercio in testa.
Uno puzzava che
la puzza la sentivi fin da qua. E lo capisco: la doccia
dev'essere l'ultimo
dei suoi problemi adesso, ammesso che prima per il mullah
Omar farsi la
doccia non fosse troppo perverso. Uno sembrava proprio me,
quando c'ho la
barba lunga di giorni. A parte gli occhiali. Questi, pochi,
son quelli
rimasti vivi, a portare negli occhi e nel cuore e sulla
lingua l'orrore dei
morti macellati a migliaia, prigionieri passati a fil di
spada. Chissà come
avranno fatto i macellai a distinguere afghani da ceceni
e da arabi, da
pakistani e da marocchini, da yemeniti e da egiziani: forse
gli avranno
chiesto di dire qualcosa in pashtun: ai Vespri in Sicilia,
li fecero fuori
così ai francesi che cercavano di mimetizzarsi tra
gli indigeni, "dici 'u
ciceru" e quelli, i galli, "siserò"
e zacchete che lo scannavano. E ho pure
guardato le foto di quello che è davvero il più
potente esercito del mondo:
ragazzoni salubri, odorosi, possenti, puliti, pasciuti,
con tute bellissime,
termiche, pance piatte e sode, ray ban in guerra come al
surf, avambracci di
muscolatura evidente, facce rasate, a mascella dura, con
tutti quei segni
degli indiani Iowa sul naso, sulla fronte, che incattiviscono
pure, se mai
ce ne fosse bisogno. Me li ricordo in Iraq, c'avevano le
tende con l'aria
condizionata, nel deserto, le tende con l'aria condizionata.
Non c'era
proprio partita per i taliban. E se quelli, gli straccioni,
potevano pure
giocare qualche inning buono, non duravano alla lunga. Qualunque
cronista
sportivo poteva dircelo prima: non c'era proprio partita.
I barboni non
vinceranno mai contro una squadra di strafichi. E' la legge
che governa i
campionati e il mondo. Ho visto pure la foto emblematica
della caduta del
governo del mullah Omar: c'era un gruppo di uomini armati,
mujaheddin, stesi sul suo letto. La presa del potere, la
caduta di Kandahar, da parte dei nuovi governanti afghani
è simbolizzata da quel pugno d'uomini armati su un
letto, il letto del mullah Omar. Quello è il palazzo
d'inverno di questa guerra: un letto. Con il materasso pure.
Non c'è la bandiera rossa che sventola sul Reichstag
della Berlino nazista [pure evocata spesso quest'ultima],
non c'è la bandiera a stelle e strisce issata plasticamente
sull'isolotto giapponese di Iwo Jima: c'è invece
un pugno d'uomini stravaccati su un letto. Avevano anch'essi,
i nuovi vincitori, maglioni coi buchi, scarp de tenis, cappelli
lerci; erano troppo giovani, erano magri da far spavento
e puzzavano, e uno sembrava proprio me quando ho la barba
lunga di giorni, a parte gli occhiali. Credo sinceramente
che per quegli uomini aver conquistato un letto equivalga
alla presa di un potere. Io spero
proprio che se lo tengano quel letto. E pure il materasso.
Gli toccherebbe e
se lo sono guadagnato. Poi, ho visto le foto del signor
Karzai, con le sue
belle stole di cashmere, la sua barba sottile ben curata
e le mani eleganti,
i suoi cappelli che deve averne una cifra e se non ci stanno
attenti finirà
con il mandargli in rosso il bilancio del nuovo stato, come
Imelda Marcos
con le scarpe, e un cappotto oversize di buona fattura comprato
in fretta
per venire in occidente, ho sentito il suo fluid english
e c'è qualcosa -
non so bene cosa - che non mi torna. Che c'azzeccano questi
altri barboni, i
nuovi vincitori - pure quelli che sembrano ripuliti con
le giacche militari
americane, come i nostri sciuscià del '45 -, che
c'azzeccano con Karzai?
Così, mi sono detto, mo' glielo propongo a quelli
della Comunità di sant'Egidio: quest'anno, il cenone
di fine anno coi barboni fatelo a Kabul,
coi taliban e i mujaheddin, i pashtun e gli uzbeki, con
tutti quei barboni
lì, con le loro scarp de tenis, le croste sulla faccia,
i cappelli lerci, i
tanti stracci addosso e magri da far spavento. Portategli
il tacchino e le
lenticchie, che ne mangino tante che vengono soldi, il torroncino
e il
panettone, i mandarini e i datteri. Bisogna portargli tutto,
lì non c'è un
supermercato da assaltare come in Argentina. Le televisioni
però ce le
avranno presto, gliele ha promesso il sciur Berlusca, e
così tra l'Hindu
Kush e la valle del Panshir, e nel Bamiyan dove c'erano
i Buddha fioriranno
le parabole, come in tutti i paesi poveri, come in Albania,
in Romania, in
Tunisia, a sognare gli altri mondi. Potranno guardarsi anche
loro Vespa e
Costanzo, letterine e quiz, la Ventura e Gasparri che litigano
in diretta. A
sognare questi altri mondi. Circola voce che tanti televisori
sono già
pronti per la Somalia e lo Yemen, per il Sudan e l'Iraq,
alla faccia
dell'embargo. E pure le parabole sono pronte. Tante. Ma
dopo. Dopo le bombe.
Tante. Se si fa questo cenone di fine anno a Kabul, ci vengo
anch'io a dare
una mano ai tavoli, che c'ho pure un'esperienza. Però,
ecco, non invitiamoli
i Fini e i Veltroni, i Rutelli e i Scajola, i Karzai. Lasciamoli
fuori, così
quei barboni afghani mangiano in pace. Che mangino in pace.
Poi andranno a
buttarsi sul letto del mullah Omar, tutti assieme, taliban
e mujaheddin, a
scorreggiare lenticchie e panettone, che la puzza quando
è tutta assieme non
ci fai caso più di tanto. Dicono che a New York quest'anno
ci siano in giro
tanti barboni come non se ne vedevano da tempo, di più
anzi: ed è l'unico
dato statistico che non si riesce a far quadrare con l'11
settembre, la
madre di tutti i guai americani. Ma dicono siano tanti anche
a Chicago e San
Francisco, e che comincino a circolare a Des Moines e Saratoga.
Se avessi
voce in capitolo nella Comunità di sant'Egidio, inviterei
pure loro a Kabul,
al cenone di fine anno con taliban e mujaheddin: con tutti
quei B52 ci
mettono un attimo ad arrivare, da Des Moines e Saratoga.
E magari, si
potrebbe chiedergli di fare un salto a Cordoba e Buenos
Aires, prima. Si
capiranno tutti a gesti, e poi, quando stai con la testa
nel piatto, ti
frega poco far conversazione col vicino. Buon anno nuovo
a tutti i barboni,
a tutti gli homeless del mondo. Che ovunque possano arraffare
il materasso
del letto del proprio mullah Omar o la busta piena di bendidio
del
supermercato. Prima che ci taglino le dita. Da vivi.