Giro81
/ Movimento Proposte: un natale in via Veneto... di Dino Frisullo
Una compagna mi ricordava il valore che ebbero,
una trentina d'anni fa, le notti di Natale trascorse in
piazza, con gli operai in lotta o con il pensiero al Vietnam.
Il doppio valore di rifiuto di un rito consumistico e consolatorio.
Questo Natale per la prima volta da oltre
mezzo secolo è un Natale non solo
"di" guerra, ma "in" guerra. Dentro
una guerra combattuta anche da militari
italiani, che proprio nei giorni successivi si troveranno
sul fronte, a
Kabul.
E nessuno ci racconti la favola risibile della legittimità
del "peacekeeping
sotto mandato Onu", dopo che le bombe hanno fatto strage
di civili in tutto
l'Afghanistan. Dopo che lo stesso Consiglio di Sicurezza
si è piegato al
diktat americano nel rifiuto d'una missione di semplici
osservatori laddove
davvero sarebbero necessari, in Palestina!
L'Onu è ormai, purtroppo, passacarte di scelte unilaterali
di potenza. E i
soldati italiani a Kabul saranno avvertiti anzitutto come
"occidentali" e
come parte del dispositivo militare americano. In attesa
di altre avventure,
in Somalia o altrove.
"Se fossi stato un rifugiato afghano, avrei fatto esattamente
lo stesso:
avrei aggredito Robert Fisk, o qualunque altro occidentale
mi fosse capitato
a tiro", dice onestamente il corrispondente di The
Independent, scampato a
stento al linciaggio da parte dei superstiti delle bombe
americane.
Che succederà se un soldato italiano sarà
lapidato a Kabul? Si ripeteranno
le gesta somale della Folgore?
Credo che la sera di Natale dobbiamo essere
in piazza. Per ribadire la
richiesta ferma di ritiro del contingente italiano e di
ripudio della guerra
in generale, di questa guerra in particolare.
Dobbiamo esserci nel ricordo delle vittime. Le vittime delle
guerre e del
terrore, le vittime della fame e dello scambio ineguale,
le vittime del
razzismo, del proibizionismo e della tratta di esseri umani.
I profughi. I
37mila bambini che ogni giorno, anche nel giorno di Natale,
muoiono per
fame.
Dobbiamo trovare il modo di comunicare un
doppio messaggio.
Che la morte e la sofferenza non hanno colore, che ricordiamo
tutte le
vittime civili innocenti, siano palestinesi o americani,
irakeni o
colombiani, israeliani o afghani o kurdi - compresi i morti
senza nome delle
navi negriere come quella che s'inabissò proprio
la notte di Natale di
cinque anni fa, compresi i morti nel rogo del Cpt di Trapani,
il 29 dicembre
del '97. Compresi i morti nelle carceri in Turchia. E le
vittime della
clandestinità e dell'esclusione, che il 22 dicembre
manifesteranno a Roma.
Ma dobbiamo trasmettere anche, nella scelta dei luoghi,
il messaggio che non
siamo affatto equidistanti, che le responsabilità
sono precise, hanno un
nome. La responsabilità della spirale di tragedie
che inaugura il secolo è
di quella globalizzazione che, per dirla con Kissinger,
"non è che un modo
per definire l'egemonia globale degli Usa".
Dunque, per chi non se la sente di fingere
serenità in questo Natale di
guerra interna ed esterna, la proposta che farei è
questa:
UNA VEGLIA A ROMA LA NOTTE DI NATALE DAVANTI
ALL'AMBASCIATA USA IN VIA
VENETO;
E CONTEMPORANEAMENTE NELLE ALTRE CITTA', DAVANTI A LUOGHI
ALTRETTANTO
SIMBOLICI:
consolati americani, uffici di leva, basi e installazioni
militari, porti
adriatici e jonici e frontiere dalmate su cui s'infrangono
le speranze dei
profughi, centri di detenzione - e piazza Alimonda a Genova...
UNA VEGLIA SENZA SLOGAN, MA CON FIORI E CANDELE, CON FOTO
E STRISCIONI E
CARTELLI, CON NOMI E VOLTI. GRIDANDO IN SILENZIO, CON LE
IMMAGINI E I GESTI.
Come le donne di Plaza de Mayo o di piazza Galatasaray.
Con la stessa
tranquilla dignità, con la stessa capacità
di rendere visibile il filo della
memoria.
Se sapremo pubblicizzare quest'indicazione
città per città, potremmo essere
migliaia. Perchè sono tanti, credo, coloro che condividono
il disagio di una
festa che assomiglia alle grottesche danze dei morti di
G.Grosz.
E se saremo migliaia, la cosa non potrà passare sotto
silenzio da parte dei
media. Sarà lo snodo simbolico fra il ciclo iniziato
a Genova, l'opposizione
alla guerra e, dopo le ferie, la manifestazione antirazzista
del 19 gennaio
e Porto Alegre.