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Voglia di chiusura

Qualcosa è cambiato negli ultimi recenti anni. E quando cambia qualcosa a livello sociale e psicologico, spesso è in peggio.

di Piero Buscemi - mercoledì 9 novembre 2022 - 3983 letture

Auto impazzite che sfrecciano, guidate da giovani e meno giovani che a volte provocano morti. Test alcolemici positivi. Distratti pedoni che attraversano le strade con gli occhi sbarrati sui cellulari. Autisti a una mano che osservano altri display comunicanti con l’altra.

Qualcosa è cambiato negli ultimi recenti anni. E quando cambia qualcosa a livello sociale e psicologico, spesso è in peggio. Ci sono manifestazioni che dovrebbero farci riflettere. Farci fermare a osservare con più attenzione i nostri comportamenti, prima, e poi quelli degli altri.

Una strana alienazione, che non è più la classica estraniazione dal mondo alla quale ci siamo ormai abituati da decenni, oggetto di studi e di terapie di massa che ci hanno fatto pentire di non aver seguito corsi universitari in psicologia che, forse, oggi ci avrebbero riconosciuto un’occasione in più occupazionale.

Queste esternazioni collettive sono visibili e tangibili in ogni campo del relazionismo sociale. Pensieri digitati su fonti comunicative virtuali, una spasmodica ricerca di anormalità e la tentazione sottile di farsi catturare da una sorta di gusto dell’orrido. Un’attrazione che diventa sempre più difficile da contrastare, come se l’azzardo fosse l’unico modo di vivere e di sopravvivere nel mondo dei nostri giorni.

Non è facile isolare il "virus" di queste perdite di equilibrio all’interno di un contesto sociale del quale oggi, più che in passato, si sente la necessità di non poterne fare a meno. Il malessere si annida silenzioso tra la gente, passando da una mente all’altra senza alcun sintomo apparente. È solo quando singolarmente, ognuno esteriorizza il proprio personale subconscio che ciò che può sembrare strano, che ci si illude non appartenga, si manifesta come un disagio comune.

Tra le tante manifestazioni di queste che, sommariamente, possiamo definire patologie, una che si distingue rispetto alle altre è sicuramente il palesamento in parole, disegni, immagini fotografiche di una repulsione nei confronti di tutto quanto rappresenti una chiusura. A voler essere banali, la breve segregazione del 2020 e le sue saltuarie repliche, ha lasciato il segno indelebile di una privazione di libertà alla quale nessuno aveva realmente pensato come una probabile situazione perpetuata nel tempo.

Capita sempre più spesso di leggere pensieri fugaci che ci richiamano a un confronto con ben più drammatiche e nette segregazioni. Si sente il bisogno di confrontarsi con tutto ciò che possa essere accostato a qualsiasi forma di chiusura. Carceri, sanatori, manicomi, luoghi abbandonati di alienazione sono solo alcuni esempi che si sente il bisogno di testimoniare con qualsiasi forma espressiva, che sia appunto qualche verso poetico, un improvvisato aforisma o anche una foto rubata a quei luoghi dimenticati.

Non è neanche una manifestazione di necessità di protezione verso qualcosa che si teme e che si è vissuto per un breve periodo. Un fenomeno che avevamo visto lentamente svilupparsi fino a diventare "normalità", quando un folto pubblico di telespettatori aveva restituito consenso a tutte quelle programmazioni televisive che ripercorrono storie maledette, intrise di omicidi efferati, anche del passato, come a rappresentare un antidoto verso la crudeltà umana, in tutte le sue fattezze.

Appare quasi come un’attrazione masochistica per quel gusto dell’orrido, di cui sopra, che fa scattare la paura, difficilmente gestibile e controllabile, ma che per assurdo rende protagonisti all’interno di un malessere comune che fa rivendicare una discutibile appartenenza. In un mondo di anonimato, sorretto da migliaia di contatti da sfoggiare come una meritocrazia sociale, ci si ritrova ad appagarsi e a provare a trovare un equilibrio psichico vivendo a stretto contatto con le fonti di terrore che, inevitabilmente, provocano una reazione a un eccessivo lassismo collettivo dei nostri tempi.


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