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Berlino, estate ’42

Regia di Andreas Dresen, con Liv Lisa Fries, Johannes Hegemann, Lisa Wagner, Alexander Scheer, Emma Bading (Drammatico, - Germania, 2024, durata 124 minuti)

di Piero Buscemi - mercoledì 19 marzo 2025 - 1050 letture

Si ritorna sempre a parlare della Seconda Guerra Mondiale, delle sue atrocità, delle sue crisi di coscienza, delle sue lezioni che non sono mai state assorbite abbastanza. Volontariamente o per un più opportuno rifiuto di una scomoda realtà, ci si ritrova nel terzo millennio a rimuginare sul passato per giustificare le nefandezze di un’attualità che si riconosce a ripetere gli stessi errori, le stesse atrocità, le stesse crisi di coscienza.

Il regista Andreas Dresen racconta da tedesco, figlio di generazione che cerca ancora le colpe e i colpevoli di quel ventennio nefasto che, come un cancro di percezione, si ripresenta puntualmente ad annidarsi nel presente, a fare i conti con le guerre che, in nome di una apparente democrazia o una fallace motivazione più nobile, si vogliono far credere più "giustificate".

Attraverso lo sguardo dolce e smarrito della protagonista, Hilde Rake, interpretata da una splendida e sempre convincente Liv Lisa Fries, ci riporta a un capitolo quasi adombrato dalla Storia, per ovvi motivi legati a priorità da ricordare con maggiore enfasi. Quel periodo che vide coinvolta una parte della gioventù tedesca a provare a ribellarsi, più giusto "resistere" all’avanzata del nazismo che avrebbe macchiato per sempre l’animo del popolo tedesco davanti al resto del mondo.

Locandina Berlino, estate \'42Hilde Rake, giovane moglie di un attivista della Resistenza tedesca, Hans Coppi (Johannes Hegemann), appartenente al gruppo Orchestra Rossa, che durante la guerra fu il punto di contatto comunicativo con l’intelligence sovietico. A questa rudimentale ma efficace fonte di spionaggio fu dedicato un film nel 1989 dal regista francese Jacques Rouffio, con Claude Brasseur.

La narrazione di Berlino, estate ’42 è incentrata sulla voglia di normalità che i due protagonisti cercano in un quotidiano discutibile ed incerto. La normalità di un amore spontaneo e necessario, l’illusione di poter davvero contribuire a creare un’alternativa a quel corrotto pensiero diffuso e coatto che il nazismo ha rappresentato negli anni vissuti da questi due giovani sognatori e, almeno in parte, ingenui speranzosi in una società migliore.

Durante quei piccoli successi che rudimentali mezzi di trasmissione vocale, quali una semplice radiotrasmittente poteva rappresentare, si consolida e rafforza il rapporto tra questa giovane donna e questo esaltante "partigiano" tedesco. E come in tutte le storie più classiche d’amore, il coronamento di un sentimento di speranza verso il futuro, è il concepimento di una nuova vita.

Una speranza che si confronta con l’attualità di oggi, una sempre poca propensione ad affidare alla nascita dei figli il coraggio di trovare un modo diverso, più equo, liberato dalle violenze, per concepire una nuova società.

La cronaca del tempo, la vicenda di Hilde e Hans Coppi è storia vera, ci racconta del crollo di un sogno, che va oltre l’idea di liberarsi dal nazismo, e sprofonda nell’arresto dei due protagonisti, con un epilogo finale drammatico che si può approfondire attingendo dalle biografie.

L’estro del regista si manifesta nella sua capacità di raccontarci un mondo non molto diverso da quello in cui stiamo vivendo. Le aspettative, i sogni, forse anche le ambizioni di due giovani che, in quelle trasmissioni clandestine con i servizi segreti sovietici, avevano riversato un ideale di libertà e, per assurdo, di quotidianità banale, genuina, innocente. Così pura e spontanea, che nessuno dovrebbe mai permettersi di intralciare con l’assolutismo violento che si rispecchia da sempre nell’esistenza umana.

Chi avrà modo di vedere il film, in uscita nelle sale italiane il 20 marzo, porterà con sé lo sguardo smarrito, dolce e umano che la giovane madre Hilde rivolge allo spettatore e al piccolo figlio, nato tra le mura di un carcere, erede di un presente incerto, così crudele da costringere la carceriera Anneliese Kühn (Lisa Wagner) a redimersi e ad accusare Hitler di nutrire uno scarso sentimento di pietà.

Era necessario un altro film sul nazismo? Una domanda che stenta a trovare una risposta. Una domanda alla quale si è costretti a confrontarsi per ogni nuova pellicola che ci racconta un pezzo di verità che possa, almeno in parte, restituirci una forma di perdono. Questo film può apparire come un tentativo del regista a riscattare un popolo tedesco che, come abbiamo già detto, ha ereditato un marchio per sempre presente nell’immaginario delle generazioni che si sono susseguite nel tempo. Di sicuro, ricordare il sacrificio di due giovani protagonisti della resistenza tedesca, rappresenta un punto diverso e poco conosciuto di questa parentesi storica dell’umanità. Rimane il rammarico della constatazione che, da quelle efferatezze, nessuno imparerà mai come smettere di commettere gli stessi errori.

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