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Il caso Belle Steiner

Regia di Benoît Jacquot, con Charlotte Gainsbourg, Guillaume Canet, Kamel Laadaili (Drammatico, Thriller, - Francia, 2024, durata 100 minuti).

di Piero Buscemi - mercoledì 5 marzo 2025 - 573 letture

Conoscere a priori che la sceneggiatura sia stata tratta da un romanzo del giallista belga Georges Simenon, oltre a preparare lo spettatore su quanto si appresterà a vedere, mette le basi per assistere a un "giallo" nel più classico del suo significato intrinseco che, da sempre, ha palesato dietro questo stile narrativo.

Il film, che uscirà nelle sale il prossimo 13 marzo, offre un particolare punto di vista del "detto" e del "pensato", "dell’essere" e "dell’apparire", su una vicenda drammatica, come può essere quella del ritrovamento del cadavere di una giovane donna, strangolata crudelmente, nella stanza degli ospiti in casa dei protagonisti.

Abbiamo poche sequenze per focalizzare il volto e la personalità della vittima, il film si concentra, piuttosto, sulla dinamica dell’omicidio che, per la presenza in casa di un unico eventuale testimone, o autore del delitto, il padrone di casa Pierre, stimato professore, almeno fino a quel momento, sembra monopolizzare da subito i sospetti della polizia.

Pierre, interpretato da Guillaume Canet, attore francese integrato perfettamente nel personaggio che, come consuetudine di Simenon e sapientemente rispettata fedelmente dal regista Benoît Jacquot, deve esternare quel dovuto distacco da tutto ciò che lo attornia, lasciando negli interlocutori una sensazione di alienazione non ben motivata e, ancora più destabilizzante, nessuna manifestazione emotiva che possa accertare con fermezza la sua colpevolezza. Ma, di contro, anche la sua innocenza.

Accanto a Pierre, la moglie Cléa, nei panni del personaggio una splendida Charlotte Gainsbourg che, ancora una volta, sembra nata per ogni ruolo interpretato nei vari film in cui l’abbiamo ammirata, con quella disinvoltura e naturalezza da far pensare che nessun’altra attrice sarebbe stata più congeniale nella parte.

Si sviluppano sequenze che inducono a una riflessione, che va ben oltre la sola ipotesi di trovarsi di fronte ad una storia creata dalla fantasia. I sospetti, sempre più insistenti, sembrano condurre la narrazione verso un epilogo scontato. Gli stessi atteggiamenti di insicura disamina che la moglie Cléa rivolge al compagno di una vita, inducono a pensare che nessuno si senta padrone di una almeno approssimativa verità, che possa chiudere il caso.

Gli amici più vicini, gli studenti della scuola, chiunque lo abbia conosciuto, anche con lo scambio distratto di un semplice saluto, vede in Pierre l’unico legittimo interprete di un omicidio orrendo, consumato nei confronti di una giovane donna, attraente e tentatrice quanto basti, per giustificarne l’uccisione.

Il film offre diverse chiavi di lettura e di riflessione. Dalla constatazione di un modo di "essere" che contrasta con un modo di "apparire" dell’indiziato principale, fino a una valutazione di condanna nei confronti del ruolo di donna, all’interno di una società, forse più emancipata - il film è ambientato ai giorni nostri, rispetto alla stesura del romanzo che risale agli anni ’50 - ma che non sa riconoscere una presenza sdoganata del mondo femminile, senza la necessità che ogni donna si debba sentire obbligatoriamente con la coscienza sporca. Anche nelle vesti di una vittima dell’ennesimo "femminicidio", per usare un termine convenzionale dei nostri tempi.

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