Ma il film "La siciliana ribelle" è la storia di Rita Atria?

Tutta questa macchina pubblicitaria sulla memoria di Rita Atria ci fa orrore. Un parere diverso sulla vicenda dal sito www.ritaatria.it.
Il Film "la Siciliana Ribelle" non è la storia di Rita Atria.
Tutta questa macchina pubblicitaria sulla memoria di Rita Atria ci fa orrore. Stiamo assistendo ad uno dei capitoli più tristi della cinematografia italiana.
Abbiamo visto il film per esigenze legali e possiamo concludere che non solo non si tratta della storia di Rita Atria, ma per noi non si tratta di un omaggio, ma di un vero e proprio OLTRAGGIO alla memoria.
Alla Rai diciamo che per riscattare la memoria di Rita potrebbe riproporre la fiction "Non Parlo più" di Vittorio Nevano del 1995. Possiamo tranquillamente dire che, ad eccezione di piccole sfumatore, la storia di Rita e di Piera viene rispettata.
Stiamo assistendo anche ad una cosa sconcertante: le grandi testate ignorano il comunicato di Vita Maria Atria e sponsorizzano il film di Amenta.
Le grandi testate fino ad oggi hanno ignorato la presa di posizione di Luigi Ciotti e di Piera Aiello e continuano a pompare un film senza chiedersi come mai non sono stati usati i nomi veri.
La lettera di Vita Maria Atria è stata pubblicata da Girodivite http://www.girodivite.it/Tradita-la-memoria-di-Rita-Atria.html e l’intervista censurata (dal regista) di Luigi Ciotti è possibile vederla dal sito http://www.ritaatria.it o dal seguente link:
http://www.youtube.com/watch?v=qEcmvXyOJcw&eurl=http://www.ritaatria.it/&feature=player_embedded
Ovviamente la nipote Vita Maria sta prendendo provvedimenti legali.
Associazione Antimafie "Rita Atria"
Le notizie sopra riportate sono motivo di difficile collocazione del giudizio su questo che, alla fine, basterebbe considerare solo un film. Questa conclusione potrebbe essere valida per qualsiasi opera cinematografica, ma quando ci si trova davanti una ricostruzione di una delle tante vicende siciliane, non sempre è così facile produrre congetture che non siano contraddittorie.
Abbiamo scoperto tutto questo andando a vedere il film e se pensavamo di poter avere maggiori elementi, che ci aiutassero nella comprensione, siamo rimasti disarmati davanti alle immagini che, bisogna ammetterlo, molto sagacemente, sono state confezionate in circa due ore di proiezione.
Il regista, Marco Amenta ha sfruttato, come meglio non poteva, i mezzi che gli sono stati messi a disposizione. Il cast di tutto rispetto vede una grandissima, seppur giovanissima, Veronica D’Agostino che era stata già apprezzata in "Respiro" di Emanuele Crialese, accanto a Valeria Golino.
La parte interpretata dalla D’Agostino non lascia troppo spazio alle critiche. Il personaggio creato dal regista, che dando ragione all’Associazione Rita Atria si discosta sensibilmente dall’immagine del protagonista storico della vicenda, sembra confezionato su misura su questa giovane attrice e la leggera somiglianza con le foto di Rita, completano il collage tecnico.
E basterebbe vederla recitare per uscire dalle sale con la convinzione che, comunque, si è assistito ad un buon film. Di pari intensità l’interpretazione di Lucia Sardo, la madre ideale di qualsiasi film sulla Sicilia e le sue tristi storie di mafia. Anche già convincente ne I cento passi di Marco Tullio Giordana.
Così anche Paolo Briguglia (I cento passi) e Marco Mazzarella (Placido Rizzotto) rappresentano una scelta azzeccata per arricchire il cast. La storia scivola sul susseguirsi delle vicende che, più di una volta in effetti, non convincono. Forse anche perché, mai come in questo caso, la realtà ha i connotati di una tragicità che supera di gran lunga qualsiasi fantasia creativa dell’autore.
Di grande effetto emotivo, la mano del padre mafioso della giovane futura collaboratrice di giustizia, che con maestria all’inizio del film, il regista inquadra in primo piano a coprire il volto della Rita-bambina davanti ad un ennesimo omicidio di mafia, a nascondere la realtà d’appartenenza al proprio DNA mafioso, accusa lanciata alla Rita-adolescente dal giudice che raccoglierà la sua testimonianza.
La fiction, per usare un termine abusato oggi, appare prepotente all’avvio del processo contro i mafiosi denunciati dalla protagonista. La passeggiata che precede la sua deposizione, a sfiorare la cerchia degli imputati dietro le gabbie del tribunale ci sbatte contro una evitabile "americanata".
Prosegue con il litigio in vernacolo siciliano, molto colorito, tra la collaboratrice di giustizia e una contro-testimone, assoldata dai mafiosi ormai messi alle sbarre dalle rivelazioni.
Si chiude quasi alla fine del film, con l’improbabile scena di sesso tra la protagonista e il personaggio Vito, fidanzato-mafioso schierato nella fila del boss mafioso Don Salvo, accusato da Rita. Un fidanzato esecutore materiale dell’attentato ai danni del procuratore antimafia.
E su questo ultimo personaggio, interpretato dall’attore Gerard Jugnot, che l’opera di smembramento della realtà ad opera del regista Amenta, trova il suo compimento.
Chi conosce la storia di Rita Atria, conosce benissimo il suo giudice confessore che altri non è che il compianto Paolo Borsellino. Infastidisce vedere il personaggi creato dal regista muoversi nella scena, ascoltare, combattere, contraddirsi e morire, accennando un ricordo al magistrato ucciso dalla mafia in via D’Amelio, solo nei titoli di coda.
E’ questa ultima constatazione che ci permette di aprire un dibattito senza fine sulle reali intenzioni di Marco Amenta, nell’avere messo sullo schermo questa storia. Si può giudicare la qualità, indiscutibile, di un’ennesima fiction sulla mafia.
La realtà, però, purtroppo è un’altra cosa.
- Ci sono 1 contributi al forum. - Policy sui Forum -
le critiche al film di Marco Amenta mi appaiono infondate ed ingenerose.
Per chi conosce la storia di Borsellino e di Rita sa che il film è davvero assai serio nel descriverne le motivazioni che condussero entrambi alla morte. Borsellino appare come un grande servitore dello Stato, un Magistrato che spinge fino all’estremo sacrificio di se e della serenità della sua famiglia il suo ruolo-missione. Rita viene descritta attraverso una lenta e dolorosa maturazione per fuoriuscire dalla cultura mafiosa. Il film non distorce ma rafforza la verità di una ragazza ribelle alla mafia sino all’estremo sacrificio e di un uomo che è diventato un simbolo ed il maestro per le nuove generazioni della magistratura antimafia. Non è una fiction e nessuno può dire che abbia ambiguità verso la mafia.
Pietro Ancona