La poesia della settimana: Friedrich Hölderlin

Uno dei più grandi poeti della letteratura tedesca, segnalato da Schiller. Teologo, romantico, attivista politico. Addirittura, folle.

di Piero Buscemi - martedì 17 settembre 2013 - 4096 letture

La veduta

Riluce il giorno aperto
 agli uomini d’immagini,
 quando traspare il verde
 dai più lontani piani,
 ed al tramonto inclini
 la luce della sera,
 bagliori delicati
 fan mite il nuovo giorno.
 Appare spesso un mondo
 chiuso ed annuvolato
 dubbioso interno all’uomo,
 il senso più crucciato,
 la splendida natura
 i giorni rasserena,
 sta la domanda oscura
 del dubbio più lontana

Friedrich Hölderlin (Lauffen sul Neckar, Württemberg, 1770 - Tubinga 1843) è ritenuto uno dei maggiori esponenti del romanticismo tedesco, nella sua prima fase e forse il più grande poeta lirico tedesco per la sua visionaria originalità espressiva e tematica. Perse prestissimo il padre, che era un influente funzionario del ducato di Svevia, e poco più tardi anche il patrigno. La madre decise di avviare il figlio alla carriera di pastore protestante e gli fece frequentare i seminari di Denkendorf e di Maulbronn. Nel 1788 passò al rinomato collegio teologico di Tubinga, dove strinse amicizia con i futuri maestri dell’idealismo tedesco, Hegel e Schelling, con i quali condivise l’entusiasmo per la rivoluzione francese e per la filosofia kantiana. Conclusi gli studi, rifiutò d’intraprendere, come desiderava la madre.

Si recò poi (1795) a Jena, dove frequentò Schiller. Nel 1794 pubblicò sulla rivista “Neue Thalia” un frammento del suo romanzo Hyperion. A Jena seguì anche con autentico entusiasmo le lezioni di Fichte; insoddisfacente fu invece l’esito di una visita a Goethe nella vicina Weimar. Lasciò Jena per Francoforte e assunse l’incarico di precettore presso il banchiere Gontard: qui s’innamorò della madre dei suoi quattro allievi, Suzette, che cantò con il nome di Diotima in molte liriche e nel romanzo Iperione. Nel 1798 la situazione si fece insostenibile, e Hölderlin fu costretto a lasciare casa Gontard. Partì quindi per Bordeaux, dove di nuovo fu precettore presso il console di Amburgo (1801-02). Dopo pochi mesi si mise in cammino a piedi per rientrare in Germania: la notizia, appresa forse durante il viaggio, della morte di Suzette Gontard finì con lo stravolgergli la mente. Quando raggiunse la casa materna, era ormai preda della pazzia.

Del malato si occupò il fedele amico E. Sinclair, che dapprima ottenne per lui un impiego di bibliotecario a Homburg (1804): ma la salute psichica del poeta peggiorò a tal punto che nel 1806 fu ricoverato al “Clinicum” di Tubinga, donde l’anno dopo fu congedato come inguaribile. Da allora fino alla morte Hölderlin visse, completamente obnubilato, nella casa del falegname di Tubinga E. Zimmer, ricevendo visitatori attratti dalla sua nascente fama letteraria e scrivendo per essi brevi versi in rima baciata, cui apponeva date fantasiose firmandosi “Scardanelli”.

Le poesie costituiscono senza dubbio il punto più alto della produzione letteraria di Hölderlin. Prese le mosse dall’imitazione di Klopstock, il poeta fu influenzato dal classicismo illuministico di Schiller. La rima scompare, il verso greco viene ricreato nella lingua moderna facendo corrispondere alle sillabe lunghe e brevi quelle con e senza accento; soprattutto si manifesta in essa quel respiro ampio e pieno che nasce da un uso arditissimo dell’enjambement, da un’aggettivazione imprevedibile ma non bizzarra, da una variegata creazione di parole composte. Le composizioni scritte tra il 1800 e il 1801 accentuano queste caratteristiche: si tratta di odi vaste e complesse, talvolta oscure ma animate da un ritmo possente e da metafore e accostamenti sorprendenti. Nell’ultima fase della produzione poetica di Hölderlin, che va dal ritorno dalla Francia alla fine del 1804, nascono i grandi inni che l’autore definì “patriottici” perché dedicati alla patria tedesca


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