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E’ morto il poeta Guido Ceronetti

All’età di 91 anni, ci lascia una delle figure più significative della cultura italiana.

di Piero Buscemi - giovedì 13 settembre 2018 - 3590 letture

Abbiamo avuto l’onore di ospitarlo nelle pagine della nostra rubrica "La poesia della settimana", pubblicata nel 2016 per Zerobook con il titolo Accanto a un bicchiere di vino. Una delle figure più poliedriche della cultura italiana. Ha spaziato tra la poesia, la letteratura, il giornalismo e la traduzione. E’ stato anche attore. Tra le sue ultime opere, ricordiamo Messia (Adelphi, 2017).

Vogliamo ricordarlo con la poesia scelta, e poi inserita, nell’antologia Accanto a un bicchiere di vino, La ballata dell’angelo ferito, uno degli esempi della poetica dissacrante e ironica di Guido Ceronetti, nella quale con sensibile umanità, ha voluto dire la sua sulla vicenda di Eluana Englaro.

La ballata dell’angelo ferito

Urlate urlate urlate urlate.
 Non voglio lacrime. Urlate.
 Idolo e vittima di opachi riti
 Nutrita a forza in corpo che giace
 Io Eluana grido per non darvi pace

Diciassette di coma che m’impietra
 Gli anni di stupro mio che non ha fine.
 Una marea di sangue repentina
 Angelica mi venne e fu menzogna
 Resto attaccata alla loro vergogna

Ero troppo felice? Mi ha ghermita
 Triste fato una notte e non finita.
 Gloria a te Medicina che mi hai rinata
 Da naso a stomaco una sonda ficcata
 Priva di morte e orfana di vita

Ho bussato alla porta del Gran Prete
 Benedetto: Santità fammi morire!
 Il papa è immerso in teologica fumata
 Mi ha detto da una finestra un Cardinale
 Bevi il tuo calice finché sia secco
 Ti saluta Sua Santità con tanto affetto

Ho bussato alla porta del Dalai Lama.
 Tu il Riverito dai gioghi tibetani
 Tu che il male conosci e l’oppressura
 Accendimi Nirvana e i tubi oscura
 Ma gli occhi abbassa muto il Dalai Lama

Ho bussato alla porta del Tribunale
 E il Giudice mi ha detto sei prosciolta
 La legge oggi ti libera ma tu domani
 Andrai tra di altri giudici le mani.
 Iniquità che predichi io gemo senza gola
 Bandiera persa qui nel gelo sola

Ho bussato alla porta del Signore
 Se tu ci sei e vedi non mi abbandonare
 Chiamami in cielo o dove mai ti pare
 Soffia questa candela d’innocente
 Ma il Signore non dice e non fa niente

Ho bussato alla porta del padre mio
 Lui sì risponde! Figlia ti so capire
 Dolcissimo io vorrei darti morire
 Ma c’è una bieca Italia di congiura
 Che mi sentenzia che non è natura

E il mio papà piangeva da fontana
 Me tra ganasce di sorte puttana.
 Cittadini, di tanta inferta offesa
 Venga alla vostra bocca il sale amaro.
 Pensate a me Eluana Englaro

Guido Ceronetti nasce a Torino nel 1927, lo stesso anno in cui Heidegger pubblica Essere e tempo. Silenzio, corpo, essere, tempo, viaggio: sono coordinate in cui si muove la sua poetica, perché è essenzialmente poeta. In quel suo corpo magro, negli occhi azzurri dove abita l’infinito. Impossibile stendere una biografia senza averlo visto, senza conoscere la timidezza che lo accompagna come un bastone da passeggio, la ritrosia ad ogni forma di scavo che non sia d’anima, la purezza delle sue rare, pubbliche apparizioni. Si nasconde dietro una marionetta o una fotografia, come un bimbo dietro il grembiule della madre.

Le opere più significative: Viaggio in Italia (1983), Il silenzio dei corpi (1994), Tutte le poesie. Il Viaggio in Italia è la cifra degli scrittori romantici di ogni epoca, un bagaglio di natura e cultura cui affidare gli odori acri del mezzogiorno, le "nebbie di anice" del nord, l’essenzialità della Toscana, la convivialità generosa della Romagna, la Roma barocca. Quasi un rito iniziatico per i cultori del bello. Guido Ceronetti ne compone un paesaggio differente, intimo, interiore, dove la «pioggia s’invena», tanto fa parte della psiche. È un viaggio sentimentale e lucido dove le brutture del moderno si sposano con lampi improvvisi di poesia inconsapevole, spesso scritta da chi poeta non è.

Il silenzio dei corpi è l’opera filosofica, in cui il pensiero si fa altro da sé e spazia all’interno e all’esterno alla ricerca del senso delle cose. Senso che è scavo, ruga, scoperta, luce, malattia, dolore, dialogo, assolo, carne che si decompone o esulta, corpo.

Tutte le poesie. È quasi impossibile parlare di poesia senza essere poeti. Quella di Ceronetti permea tutta la sua scrittura, poeti in qualche modo si nasce. Il poeta è colui che invece di masticare la realtà la tranghiottisce senza denti, fa del cibo un simbolo, una nuvola, un dolore, un ricordo.

All’inizio o alla fine dei suoi lavori poetici ci sono pagine in cui egli spiega il tempo, lo spazio, il modo in cui opera, ed è bello immaginarlo scrivere in piedi davanti a una finestra, mentre sorseggia il tè verde, all’alba come un soldato in guerra. Perché la sua è una vera e propria battaglia contro il brutto, contro il volgare, contro gli “operati d’anima” e il verso poetico è medicamento alla bruttura e all’insignificanza.


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