Alexis de Tocqueville, Uno Sguardo Realista e Dubbioso sulla Sicilia

Antenati Storia della letteratura europea - Torna in homepage


Alexis de Tocqueville, Uno Sguardo Realista e Dubbioso sulla Sicilia / di Emanuele Gentile

 

Gli inconvenienti del viaggio

In buona salute

La prima condizione necessaria per affrontare il viaggio era trovarsi in ottime condizioni di salute. Senza un corpo in perfetta forma era avventuroso mettersi in viaggio. Le ampie distanze e i tempi lunghi del Grand Tour implicavano una buona capacità di sopportare i repentini mutamenti climatici, un buon sistema immunitario capace di evitare il contagio delle malattie più diffuse e le condizioni igieniche alquanto approssimative, una buona attitudine alla scomodità (dato che né la carrozza, seppure la migliore, né le locande, non sempre alla altezza, potevano garantire un comodo riposo) uno stomaco forte, in grado di mangiare cibi diversi, una certa agilità, perché poteva ben capitare che i cavali si imbizzarrissero, o, per le condizioni della strada, che si dovesse scendere e proseguire a piedi (Astengo, 1992).[1]

Patologie più frequenti e rimedi

Ma anche perfette condizioni fisiche non potevano scongiurare la chinetosi provocata dall'ondeggiamento della carrozza, né i colpi di sole, molto frequenti per chi marciava a piedi o a cavallo, né le punture di insetti, né i ripetuti avvelenamenti che derivavano da pasti a base di carne invecchiata, burro conservato in vasellame di stagno, vini adulterati da ossido di piombo, pietanze abbastanza comuni sulle tavole degli osti. Erano queste, perciò, le patologie più frequenti. Diversi i rimedi. Nel caso dei colpi di sole, per esempio, il malato, dopo l'immancabile salasso, doveva bere succo di limone in gran quantità e bagnarsi la testa con panni intrisi di succo di verbena o lattuga, per poi passare ai lassativi, a base di infuso di tamarindo. Era consigliata infine grande sobrietà nel bere e nel mangiare, ed una dieta a base di pane, uova, frutta, che evitasse sughi, salse, carne salata, pasticceria. Per le cadute da cavallo una guida settecentesca consiglia all'infortunato: «Beva subito dell'acqua fresca, ed in appresso dentro un uovo da subire, si mescoli una dramma di Bettonica, e si inghiottisca, che preserverà le parti interne da qualunque pregiudizio, purché non vi sia rottura fatta, nel qual caso il decotto coll'erba denominata mille foglie, ovvero colli fiori d'Ipericon, preso la mattina, e la sera, farà effetti mirabili» (Astengo, 1992).[2]

Incidenti

Attentavano alla sicurezza del viaggiatore non solo il sole, gli insetti, e i disturbi intestinali, ma i frequenti incidenti che accadevano sia per le condizioni delle strade (spesso insicure, aperte su precipizi, trasformate in torrenti dalle piogge, disseminate di buche), sia per le condizioni dei veicoli o dei cavalli (a volte non verificate), sia per la sbadataggine umana, proprio come adesso, anche se i parametri della nostra sicurezza sono stati fortemente aggiornati. Non solo la letteratura è prodiga di consigli e aneddoti sul tema ma anche le testimonianze figurative, incisioni, litografie, disegni, spesso voltate al satirico, raccontano di frangenti a volte spaventosi, quasi sempre a lieto fine.[3]

Le strade, sconnesse, incise da profonde carrarecce, che nascondono pietre vaganti letali per le ruote delle carrozze, oppure infangate e inondate durante il periodo delle piogge, sono spesso concausa dei guasti meccanici, tra cui i più frequenti sono la rottura delle cinghie di sospensione o delle balestre o, peggio, dell'assale. L'esperienza peggiore, tuttavia è quella, per niente rara, del ribaltarsi della carrozza. Così André Morellet, nel 1758 poteva, non senza un sospiro di sollievo, raccontare di un pericolo scampato, quando affrontando una salita, i cavalli, i cui zoccoli già sprizzavano scintille sulle rocce, si impuntarono facendo rinculare la carrozza verso l'abisso. Il postiglione, dopo aver frustato le bestie senza pietà e invocato Sant'Antonio, si gettava fuori dalla vettura che, con bauli e passeggeri, faceva il gran salto. Sobbalzi, urti, la provvida fermata: un albero grosso e fronzuto, in bilico sul burrone, rappresentava l'estrema insperata ancora di salvezza.[4]

Briganti di via e altri incontri poco raccomandabili

Massima vigilanza doveva essere posta nel trattare con il mondo esterno che, dal tono allarmista o lamentoso preponderante nei racconti, sembra un mondo fatto di canaglie pronte ad approfittarsi del viaggiatore non appena abbia abbandonato il protettivo guscio di difesa rappresentato dalla carrozza. In realtà l'Italia era più sicura di quanto i visitatori raccontassero, ma tant'è: nella memoria è più grato il ricordo avventuroso della quotidianità un po' opaca.[5]

Banditi

Di storie di banditi i viaggiatori ne raccontano a bizzeffe, quasi sempre per sentito dire. Un po' la paura di incontrarli, un po' l'aura romantica che li circonda, ne fanno un capitolo dei racconti di viaggio piuttosto cospicuo che soddisfa il lato avventuroso e romanzesco del piacere del viaggiare. Il pericolo si limitava in effetti allo Stato della Chiesa, alle province napoletane e, più tardi, alla Sicilia. Inoltre, pare assodato che «anche in località notoriamente infestate […] le carrozze degli stranieri non fossero il bersaglio preferito da un brigantaggio interessato ai sequestri di mercanti e possidenti locali» (Brilli, 2004).[6]

Contro di esso, oltre alla ovvia precauzione di rifiutare passaggi agli sconosciuti, poteva servire, se si aveva animo combattivo, una bella pistola a due colpi, che, infatti, non mancava di essere consigliata come parte del corredo del viaggiatore prudente. Se si soccombeva ai banditi il destino era quello di essere rapiti e condotti nelle campagne circostanti a scopo di riscatto. Dopo le campagne napoleoniche, durante le quali i banditi furono impiegati come armate irregolari in funzione antifrancese, la percezione del fenomeno fu posta sotto una luce ancor più romantica. Coloro che approfittarono della amnistia concessa dallo Stato della Chiesa e scontarono il loro breve periodo di pena a Castel Sant'Angelo, furono spesso oggetto di visita, diventando una delle attrazioni turistiche più in voga. Le signore, soprattutto se inglesi, ne ammiravano l'aspetto feroce ma affascinante.[7]

Ladri e altri lestofanti

Era fondamentale, inoltre, per la propria sicurezza, stare in guardia nei luoghi pubblici. Strade e osterie erano il ritrovo naturale di ladri e imbroglioni: guai mostrare gioielli, tabacchiere, orologi, piuttosto dissimularli, magari dentro una cintura da tenere sotto gli abiti. Bisognava anche guardarsi dai ciarlatani e perciò non lasciarsi ingannare da parrucche, mani ingioiellate, abiti ricercati: tutti espedienti per mettere nel sacco gli ingenui. Bisognava anche evitare con cura i giocatori di professione che spesso, per attirare lo straniero, si servivano della complicità di camerieri compiacenti o servette d'albergo, queste ultime di comprovata voluttà. Guardarsi infine massimamente dalle cortigiane. Qui il danno era doppio, economico e di salute. Nella disgraziata ipotesi di una malattia venerea, si consigliava la continenza (anche se un po' in ritardo), la somministrazione di mercurio e una dieta ricca di decotti e latticini.[8]



[1] cfr. ibidem

[2] cfr. ibidem

[3] cfr. ibidem

[4] cfr. ibidem

[5] cfr. ibidem

[6] cfr. ibidem

[7] cfr. ibidem

[8] cfr. ibidem

Contesto

Alexis de Tocqueville: scheda autore

Alexis de Tocqueville, Uno Sguardo Realista e Dubbioso sulla Sicilia, di Emanuele Gentile




Homepage | Dizionario autori | Autori aree linguistiche | Indice storico | Contesto | Novità
 [Up] Inizio pagina | [Send] Invia a un amico | [Print] Stampa | [Email] Mandaci una email | [Indietro]
Europa - Antenati - la storia della letteratura europea online - Vai a inizio pagina  © Antenati 1984- , an open content project