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Taormina Film Festival 2013

Incontro con Giuseppe Tornatore e Francesco Rosi.

di Piero Buscemi - domenica 16 giugno 2013 - 4911 letture

Che ruolo ha ancora oggi la settima arte in Italia? A livello sociale, come mezzo di comunicazione, come documento storico da tramandare ai posteri? Difficile rispondere, senza il rischio di contraddirsi. Arrivo di Tornatore Eppure siamo il paese che ha attraversato il Neorealismo post-bellico, quando il duo De Sica-Zavattini seppe documentare la tragedia che la guerra si trascinò fuori dalle stanze dei bottoni, dalle folli ambizioni da superuomo, dalle sala da ballo invase dal bepop di Charlie Parker. E ce la raccontarono da due occhi in lacrime di un bambino raccolto per strada. Tornatore parla con Rosi

Maestri e capostipiti di successivi messia della celluloide, di chi come Francesco Rosi ci raccontò il potere occultato da un’altra ricostruzione post-tragedia. Una delle tanti che centellineranno il percorso di un’Italia che ha alternato macerie e falsi restauratori, ad alternanze quasi temporali. Era la seconda guerra mondiale, quella che ispirò le favole di De Sica, intrise di verità e di una realtà che sentiva il bisogno di essere raccontata. Tornatore parla dei film d\'inchiesta Poi si passò, appunto, alla ricostruzione di Francesco Rosi, quella che ci ha raccontato misteri italiani, rimasti misteri nonostante tutto, dal mito di Salvatore Giuliano e la strage di Portella della Ginestra. Alle storie di mafia, quando la parola era ancora latitante dai dizionari italiani, quando la mafia si tingeva da attrazione turistica da bancarella, anche nelle strade della rinomata Taormina, a sfoggiare statuette di terracotta con le didascalie "u mafiusu" sul personaggio maschile, con coppola e lupara sulle spalle come da copione, e "a mafiusa" sul personaggio "fimmina", con le tette evidenziate a simbolo di prosperità e folclore.

Ma Rosi ci ha raccontato quella meno folcloristica. Quella che faceva crollare i palazzi nei quartieri spagnoli di Napoli, provocando morte e disperazione, tra povertà che si sposava ad altra povertà, e rassegnazione che si univa all’affidamento.

Già, chissà se questo ruolo ambiguo, che ha reso grande e famoso nel mondo, del cinema italiano ha ancora qualcosa da raccontarci. Se la denuncia è ancora fonte d’ispirazione per la nuova generazione di registi. La denuncia, "che andava oltre", come ha tenuto a sottolineare lo stesso Rosi, intervenuto oggi pomeriggio, purtroppo solo via Skype, all’incontro che si è potuto assistere con Giuseppe Tornatore, nella sala congressi gremita oltre la propria capacità contenitiva, presso l’Hotel Diodoro a Taormina.

Lo stesso Tornatore passò a metà degli anni Ottanta per le mani della cronaca nera italiana, per mettere su carta e poi sul grande schermo, la ricostruzione dell’avventurosa vita do’ Professore, alla storia Raffaele Cutolo, che ha segnato e, forse, segna ancora il destino del nostro paese.

Perché ricostruire il massacro di Portella delle Ginestra, solo quindici anni dopo che fu compiuta, era possibile solo rimettendo su quelle campagne il popolo che aveva, direttamente o indirettamente, vissuto quello scempio. E lo capì Rosi, che coinvolse un intero paese di Montelepre per la realizzazione del film (Salvatore Giuliano, 1962). Tornatore risponde alla stampa

Perché tutto è questo è stato, solo e semplicemente, ricostruire la storia chiamandola con il proprio nome. Erano i tempi, come ha ricordato lo stesso Tornatore, quando un film poteva far nascere la prima Commissione Antimafia in Italia. Erano i tempi quando un film poteva dare voce ad un fetta di popolazione di disperati, che non l’avrebbe avuta mai. Erano i tempi quando un film poteva essere oggetto di discussione post-visione, nelle piazze, nei bar di paese e come abbiamo visto, anche nelle aule parlamentari.

Molti di noi ricorderanno le proiezioni nei super8 delle scuole, quando le immagini crude di "Le mani sulla città", si trasformava in dibattito in aula, in riflessione, in traccia per un imminente compito in classe di italiano.

I tempi sono cambiati, il set ideale da sempre per ogni buona storia da raccontare, la Sicilia, come ha saputo ricordarci Tornatore, ha gettato nella spazzatura il potenziale narrativo che questa terra ha saputo donarci, e che ancora ci dona. Oggi, "Le produzioni arrivano, girano e se ne vanno. E spesso, pagano pure il pizzo" - queste le parole di amarezza di Tornatore nel cercare di spiegare cosa attira e nel contempo, terrorizza, l’appassionato di cinema a rischiare questa folle corsa all’interno di questa contraddittoria terra.

Noi lo abbiamo visto andare via, Tornatore. Nei suoi film, spesso autobiografici. Nei suoi messaggi di rinascita, lo abbiamo visto ritornare. E noi lo aspetteremo sempre, tra un amarcord con il suo maestro putativo Rosi, e il suo modo gentile, semplice, entusiasta di raccontarci e di parlarci di cinema. Quel suo modo personale ed inconfondibile, che ci fa sedere ogni volta sulla poltrona di un qualsiasi cinema di periferia, e renderci consapevoli, sin dai titoli di testa, che dopo quelle due ore di immagini ed emozioni, non saremmo più le stesse persone.


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