Nero a metà
Regia di Marco Spagnoli. Un film con Enzo Avitabile, Tony Cercola, Tullio De Piscopo, Teresa De Sio, Tony Esposito. (Italia, 2024, durata 94 minuti)
Alla fine ci si ritrova dentro la sala con il solo pensiero che in fretta gli ultimi ritardatari si siedano ai loro posti, si spengano le luci di cortesia e un raggio blu dall’alto ci riporti a qualche decennio fa, quando un suono molto simile a una cornamusa ci squartò l’anima di un’emozione che non avevamo mai provato prima. Le prime note di quel "Napul’è..." che ci fece sentire tutti napoletani, entrò nelle nostre vite per sempre.
Sulle chitarre strimpellate ci facemmo venire i crampi, provando spesso non riuscendoci, ad arrampicarci su quelle scale musicali che Pino Daniele eseguiva come non avesse fatto nient’altro in tutta la sua vita.
Ci si ritrova dentro quella sala buia a silenziare il pensiero di fronte a quelle immagini che ci riportano ai decenni precedenti. Ci si ritrova a vedere un film che ripercorre la nascita, l’evoluzione e, purtroppo, la chiusura anticipata di una carriera irripetibile. Ci si ritrova non solo perché il calendario segna il 4 gennaio e dieci anni sembrano tanti, se li conti come un mero trascorrere del tempo. Diventano pochi, se la mente focalizza un concerto, una canzone che vuol dire un ricordo, una battuta in napoletano tra un assolo e un altro. Una nullità, se tornando a casa, ubriaco di un sentimento di vuoto che non sarà mai colmato, accendi la radio e, come se il sogno si sciogliesse in osmosi con una realtà ambita, la voce di Pino Daniele avvolge l’abitacolo, oltre che un necessario momento di riflessione.
Ci si ritrova dentro, sfatando i dubbi e le remore se valga veramente la pena immergersi in un documentario di poco più di un’ora e mezza, affidandoci alle mani descrittive del regista Marco Spagnoli, che ci regalano immagini di momenti di vita che sanno di sogni, di passione e anche di rabbia. Forse questo film potrebbe apparire come un’altra speculazione, una delle tante che si appoggia all’arte degli altri, come un figlio che raccoglie i frutti della semina del padre per viverne di rendita. Non sappiamo se sia così, o completamente così. Ci consoliamo con il pensiero che altri artisti, molti anche napoletani, hanno trovato la gloria quando la loro vita era già finita.
La carriera artistica di Pino Daniele è stata caratterizzata da variopinti e suadenti momenti di musicalità. I nostalgici e, forse anche eccessivamente puristi, lo hanno seguito negli anni fino a quando non si è spogliato di quel suo personale travestimento, a metà, ancora una volta "a metà", tra un pinocchietto da pescatore di Margellina e una giubba bianca ad esternare il suo essere "pulicinella" in ogni momento delle sue giornate.
Altri, meno schizzinosi, lo hanno scoperto nella sua capacità di adeguarsi ai tempi e alle mode musicali che mutavano negli anni, fino a farlo accusare di un certo lassismo nei confronti di uno stile sempre più, a detta degli esperti, commerciale.
C’è chi lo ricorderà con il gruppo storico, Tullio De Piscopo, Gigi De Rienzo, James Senese, Tony Esposito, Ernesto Vitolo, Agostino Marangolo. C’è chi lo ricorderà in jam session con i grandi interpreti internazionali, Eric Clapton, Pat Metheny, Chick Korea, Joe Bonamassa e tanti altri. Qualcun altro si ricorderà con nostalgia del tour che lo portò in giro per l’Italia accanto a Fiorella Mannoia, Ron e Francesco De Gregori. Altri, addirittura, lo ricorderanno anche su un palco con Jovanotti ed Eros Ramazzotti che, forse ancora oggi, entrambi si stanno chiedendo a quale divinità dedicare il loro ringraziamento per un’esperienza che centinaia di artisti avrebbero voluto vivere al loro posto.
Ognuno avrà la libertà di farlo come meglio crede. Rimane una certezza: Pino Daniele è stato un interprete che ha innalzato la concezione del livello musicale che gli artisti italiani avevano esternato fuori confine, in tempi in cui solo qualche gruppo di ricerca e sperimentazione, aveva proposto un’alternativa ai più semplici giri armonici, monopoli di un particolare genere musicale.
Anche quando, riprendendo le teorie dei puristi, Pino Daniele si fece catturare da uno stile e da versi meno impegnativi, riuscì a consegnare ai suoi fan un’eccellenza artistica al di sopra di ogni immaginazione. Perché, a dirla tutta, qualsiasi più recente canzone composta negli ultimi anni della sua vita, se non aveva a cazzimma degli anni ’80, ha lasciato un’impronta di nostalgica evasione, difficilmente riscontrabile nella musica "commerciale" di oggi.
Prendendo a prestito quello che negli anni è diventato un vero inno alla ribellione, vogliamo urlare anche noi, come una sorta di provocazione che non ha nessuna importanza se verrà raccolta: "Je so’ pazzo/Nun nce scassate ’o cazzo".
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