L’ultimo drink

Un film di di Markus Goller, con Frederick Lau, Nora Tschirner, Burak Yigit, Friederike Becht, Godehard Giese (Titolo originale: One for the Road. Genere Commedia, Drammatico, - Germania, 2024, durata 115 minuti)
La metafora di questo film è un uccellino, forse un passero, ma non ha neanche molta importanza conoscerne il tipo. Un uccellino che, consapevole fino al limite di un’arroganza che si crede di poter sempre controllare, decide di entrare da una porta a vetri, lasciata distrattamente aperta.
Là fuori c’è l’aria, quella che sa di libertà. Quella che gli concede il lusso di veleggiare sopra le debolezze umane e, se solo volesse, cagare sopra le presunzioni degli esseri umani, custodite in una testa il cui cervello risulta utilizzato per un’infinitesimale percentuale.
Eppure quell’uccellino, senza un motivo apparente che non sia la necessità di soddisfare un improvviso bisogno d’azzardo, si lascia alle spalle quella libertà ereditata dall’alto, senza aver mai fatto realmente nulla per meritarsela, ed entra in quel luogo sconosciuto, oltre la porta a vetri.
Una volta dentro, non è così scontato poterne uscire. Quanto meno, non così semplice come la decisione di esserne entrato. I rischi sono molteplici. La porta che si richiude per non riaprirsi più. Il tentativo di fuga a ritrovare il sapore della vita, perso in una frazione di secondo. Una non così remota possibilità di sbattere contro quel vetro che, solo per la sua ingannevole trasparenza, diventa simbolo di una trappola che, talvolta, può condurre alla tragedia.
Se questa metafora si rispecchia nella vita quotidiana del personaggio Mark, interpretato da un ottimo Frederick Lau, allora l’azzardo diventa quel "sano" divertimento notturno, dopo una giornata di lavoro, trascorso tra un eccesso di consumo di alcol e l’illusione che tutto questo sia, in ogni caso, un gioco da poter abbandonare in qualsiasi momento lo si voglia.
La realtà è un’altra. Il film affronta l’atavico problema dell’alcolismo, ma questa dipendenza che si crede di poter tenere sotto controllo, potrebbe essere qualsiasi altra, oggetto di cronaca dei nostri tempi. Il passaggio all’incontrollabile è così immediato ed imprevedibile che, neanche così facilmente, se ne prende coscienza quando i gesti non hanno più una logica. Quando le azioni seguono una follia e una perdita totale di controllo che, non potrebbe essere altrimenti, ci allontana da tutto e da tutti.
Il gioco diventa realtà. Cruda realtà, quella che costringe il personaggio Mark a rivolgersi a un centro riabilitativo, dopo il ritiro della patente per guida in stato di ebbrezza. Un’occasione per entrare in contatto con altri che condividono gli stessi problemi. La stessa stoltezza. Perché alla domanda più banale che una guida del corso di recupero pone a tutti, quella del perché si è arrivati a quel punto, nessuno riesce a formulare una risposta che abbia davvero un senso.
L’alcol ha la capacità di trasformare l’essere umano nel più grande attore mai visto sulle scene. Se la peculiarità di un attore è quella di sapere recitare, quindi imbrogliare l’ascoltatore interpretando un personaggio diverso dalla propria realtà, l’alcolista riesce a calarsi in questa parte con una spontaneità che un vero attore si sognerebbe di raggiungere in tutta la sua carriera.
Il pregio del regista Marku Goller, coadiuvato dal suo sceneggiatore fedelissimo Oliver Ziegenbalg, è quello di consegnarci un personaggio che, sin dalle prime scene, restituisce un’immagine di disturbo, antipatica, da odiare. Neanche il viso angelico della sua compagna di corso, Helena, interpretata da Nora Tschirner, riesce a colmare il disprezzo che lo spettatore "deve" provare davanti a quel senso di abbandono e quasi rassegnazione nei confronti di un destino che, in definitiva, si è scelto di percorrere.
Allora, fiumi di alcol che scorrono in un abbandono senza ritorno. Perdite di coscienza, ricoveri in ospedale per provare a salvare il salvabile. E poi, tanta, troppa, solitudine. Un vuoto esistenziale che, se da un lato ci fa comprendere che, come l’uccellino ha deciso per un suo personale libero arbitrio di oltrepassare quella porta a vetri, dall’altro ci mostra l’unico modo per riacquistare la libertà: l’umiltà di chiedere aiuto a chi, delicatamente, ci possa sollevare e farci librare, ancora una volta, in volo.
Le canzoni che accompagnano le scene del film sono davvero degne di riflessione. Una su tutte, Places to be del compianto Nick Drake, è davvero il tocco metafisico che fa di questo film, un piccolo capolavoro da vedere.
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