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Stato… confusionale

Molte domande. Poche risposte. Spesso incomplete. Quasi sempre evasive. Ci dicono “ci vuole tempo”. Già, ci vuole tempo. E’ l’alibi più inflazionato, utilizzato dai politici quando si sentono con le spalle al muro, costretti ad elargire riscontri. Quantomeno, nell’ottica di una apparente coerenza.

di Piero Buscemi - domenica 12 novembre 2006 - 2640 letture

Ci vuole tempo. Per capire, o almeno provarci. Ci vuole tempo. Perché le riforme hanno bisogno del consenso anche dell’opposizione. Ci vuole tempo. Perché la politica delle grandi intese non trova riscontro neanche in quella delle “piccole”. O forse, no.

Forse, siamo noi che non siamo troppo smaliziati per comprendere. Perché complicarci l’esistenza ponendoci dei quesiti, ai quali nessuno ha molta voglia di rispondere? Perché ci ostiniamo a credere che poi, ci sia veramente una netta differenza tra chi fa politica da destra e chi la fa da sinistra? Dovremmo accettare la tesi, secondo la quale, bisogna trattare le questioni singolarmente. Dovremmo accettare che, la crociata “femminista” all’Afganistan e al burqa, è una faccenda diversa dalla missione “democratica” all’Iraq. E ancor più, lo è dalla ricerca “geografica” in Libano. Dovremmo accettarla, solo perché ci viene da sinistra e a sinistra, si sa, i rappresentanti politici sono tutti pacifisti.

Siamo pure certi che, specialisti del settore sarebbero in grado di spiegarci la sottile diacronia di questi tre esempi di altruismo umanitario. Ma preferiamo farne a meno, se ci è concessa ancora questa scelta. Sempre più difficile invece, approvare le scelte di questi politici di sinistra. Gli stessi che si sono indignati per la sentenza di morte ai danni del sanguinario Saddam. L’hanno definita “contro i diritti dell’uomo”. Hanno tenuto poi a ribadire che la decisione sofferta di inviare le truppe in Libano, è stata presa in piena sintonia con l’articolo 11 della Costituzione che, nella parte a loro più congeniale, sentenzia: “…consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

Una precisazione che non ammette repliche. Tutti con la coscienza a posto. Diventa un’opinione personale identificare i mezzi da usare per limitare le sovranità. Il popolo iracheno, con i suoi 655.000 civili morti stimati dal Washington Post, forse non ha interpretato correttamente le intenzioni. Sarebbe come pretendere di decifrare le risposte dell’onorevole Diliberto alla giornalista Lucia Annunziata che, in una intervista pre-elettorale, comunicò che il ritiro delle truppe in Iraq era una prerogativa del futuro governo di centro-sinistra. Evidentemente, in seguito, qualche compromesso ben occultato è sfuggito alla nostra ingenuità.

Forse, non dovremmo pretendere maggiore chiarezza. Non rientra tra i nostri diritti di cittadini. Dovremmo considerarla una prova di fede e limitare le contestazioni. Dovremmo rinunciare al confronto con il passato politico degli ultimi cinque anni. Ma siamo malati di demagogia e d’istinto, indirizziamo le nostre attenzioni verso le questioni interne. Pensiamo alle intercettazioni telefoniche, che credevamo solo di appannaggio del mondo del calcio. Lo abbiamo visto in tv, il nuovo premier a spiegarci le ragioni della sua estraneità sulla vicenda della svendita della più grande azienda di comunicazione del paese. Si è un po’ incespicato, tra le interruzioni del gruppo parlamentare di centro-destra e la sua voglia di convincerci.

L’aggravante di questo tentativo di chiarificazione, ce lo ha dato la scadente dizione di Prodi e quel pensiero fisso che ci appariva dal labiale del suo discorso. Il premier parlava di coerenza politica ed etica economica. Noi, però, sentivamo soltanto la locuzione “Telecom-Serbia”. Ci riaffioravano, come in una sequenza disordinata di fotogrammi, le vicende intricate sulla questione che coinvolse il Presidente del Consiglio e gli onorevoli Fassino e Dini. Ci siamo ricordati dei viaggi “diplomatici” dei politici italiani, di destra e di sinistra, nei Balcani a intessere relazioni con Milosevic, che chiamammo in seguito, criminale di guerra. Perché l’attributo “sanguinario” ha un uso molto democratico, in politica. Ci siamo chiesti se quella fosse stata davvero una storia di complotto politico e di calunnia, definitivamente chiusa.

Abbiamo preferito rivolgere le nostre attenzioni verso argomenti di più immediato riscontro. Ci è sembrato umile e socialmente utile, provare a disquisire sulle proposte di riforma del mondo del lavoro e delle nuove tasse da abbinare alle varie fasce di reddito. Una premessa accomuna tutti i nuovi governi che si assumono la responsabilità di risanare il bilancio dello Stato: attribuire la colpa, per il buco economico ereditato, a una cattiva gestione delle risorse da parte di chi ci ha governato in precedenza. Ha utilizzato questo alibi Silvio Berlusconi e non si è sottratto da questa consuetudine, neanche Romano Prodi.

A risanarlo, il bilancio, ci dovrebbero pensare sempre gli italiani. O quanto meno, solo certi ceti sociali. Magari con gli importi aggiornati ed aggiornabili del bollo auto. O forse, con il gettito fiscale finalmente equo e proporzionato alla singola capacità reddituale. Almeno, secondo le premesse della nuova legge finanziaria.

E mentre noi, cittadini comuni, proviamo calcolatrice alla mano a capire se, con le possibili aliquote e i benefici della “no tax area”, i figli che riusciremmo a concepire prima dell’approvazione della legge, le mogli e le conviventi da sommare o decurtare dal carico fiscale, i redditi da lavoro precario o occasionale che rientrano o non rientrano dall’obbligo della dichiarazione; intanto, un ramo della sinistra più a sinistra del Parlamento, scende in piazza a ribadire che il lavoro è diritto sancito anch’esso dalla Costituzione. Ma è anche un problema, e rimane tale se non lo si risolve.

Prodi, da parte sua, si ridurrà lo stipendio del 30% per un importo di 36.901 € annui. Che forse, avrebbe fatto più effetto se ci avessero informato che partiva da un onorario di circa 123.000 €. Possiamo aggiungere che un appartenente del ceto medio, croce e delizia della società italiana, guadagna mediamente 20/25 mila € annue. Quasi 2 anni per raggiungere lo sconto che colpirà il premier. Però, l’aliquota Irpef del 23% sui redditi fino ai 26.000 €, forse rimarrà. Era stata contestata al precedente governo, ma ormai gli italiani ci si sono abituati. Tanto da proporre un ulteriore scaglione al 27%, dai 15.000,00 ai 28.000, una soglia che accomuna molti lavoratori dipendenti, che pagano le tasse prima ancora di prendere lo stipendio.

Perché i discorsi, che si possono ascoltare per strada, sono molto più realistici e pratici delle tesi economiche partorite in Parlamento. La gente continua a vivere problemi quotidiani, dei quali la politica non prenderà mai coscienza. Un esempio lo ha dato l’indulto. Altra scelta di sacrificio. Le conseguenze, poco considerate nel formulare la legge, sono ricadute sui cittadini. Non vogliamo addentrarci nella questione “violenza”, che ha caratterizzato la cronaca di queste ultime settimane, perché verrebbe spontaneo affermare di “aver scoperto l’acqua calda”. Che era stata sempre lì, ma nessuno si era mai sognato di ammettere che esistesse.

Ci riesce difficile capire perché provvedimenti presi dalla precedente legislatura e che sono stati contestati dalla sinistra all’opposizione, siano così difficili da scardinare a ruoli invertiti. E per non smentirsi, commentando i risultati delle regionali del Molise vinte dalla Cdl, adesso e solo adesso, sono da considerare di carattere “locale”.

Ma, come abbiamo detto, ci vuole tempo per giudicare l’operato del nuovo governo. Ne occorre pure a noi, per uscire da questo torpore di attesa fiduciosa, che a volte, sfocia in confusione. Forse è eccessivo pretendere la stessa velocità usata per formulare le soluzioni ai disagi di coerenza, quali la cancellazione degli archivi contenenti le intercettazioni telefoniche. O magari, l’ennesimo sacrificio di rifinanziare le missioni di guerra. Scusate, di pace.

Ci saremmo accontentati di una maggiore tempestività nel gestire la questione mafia del nostro paese. Un po’ più di attenzione nel nominare i componenti della Commissione Antimafia, ma sarebbe stato come pretenderla per la compilazione delle liste elettorali. Un po’ di più, tanto da non dovere subire le accuse di Putin, un altro “sanguinario democratico” dalle dubbie coerenze. Ed essere costretti, quasi, a dargli ragione, nonostante l’indignazione generale.


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