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Michael Longley, l’ultimo bardo irlandese

Il maestro del lume di candela / di Michael Longley ; a cura di Piero Boitani e Paolo Febbraro ; traduzioni di Paolo Febbraro, Piero Boitani e Marco Sonzogni. – Milano: Mondadori Libri, 2023 – 312 pp. – (Collezione Lo Specchio). - ISBN 978-88-04-77269-9.

di Angelo Guida - lunedì 17 marzo 2025 - 903 letture

Morto appena un paio di mesi fa, Michael Longley (Belfast, 27 luglio 1939 – Belfast, 22 gennaio 2025) è stato l’ultimo grande bardo irlandese. Della stessa generazione del premio Nobel Seamus Heaney (n. 1939 – 2013) e di Derek Mahon (1941 – 2020), con cui ebbe rapporti di fraterna amicizia, ha celebrato i suoi sodàli e compagni di viaggio nel mondo delle lettere in una poesia intitolata “Menu”:

Una volta che divisi un’aragosta con Heaney
(Boston? New York?) lui prese la chela più grossa.
Su questi fornelli ho preparato per lui toast ai fagioli
e più in là uova strapazzate per il giovane Muldoon
(gran conoscitore della cucina dim sum).
I poeti della gioventù mi raggiungono attorno
al piano di cottura. Mahon fu un po’ deluso dal consommé:
«In una vera zuppa ci sono porri e orzo.»

Cosa c’è di meglio se non evocare gli amici di una vita fissando sulla carta le immagini di alcuni momenti di convivialità vissuti con loro? Nella poesia citata fa capolino anche il più giovane Paul Muldoon (1951), un proselite del terzetto di poeti più anziani, nonché uno dei membri – con Longley e Heaney – del glorioso Belfast Group che si sciolse nel 1972.

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Copertina di Il maestro del lume di candela, di Michael Longley

Di Heaney, le pubblicazioni italiane non mancano: la più importante è senz’altro quella delle Poesie nei Meridiani Mondadori. Di Paul Muldoon nel 2008 fu pubblicato, nel nostro paese, un volume (Poesie) nella collana Lo Specchio di Mondadori che, al momento, non risulta più essere in catalogo. Dello stesso autore Guanda aveva pubblicato Sabbia, anche questo titolo attualmente non è più in catalogo ma è disponibile sui siti web di alcune librerie online. Di Derek Mahon è edito in Italia solo un libro per l’infanzia (Il ponte della pioggia della casa editrice Valigie Rosse), però di recente la rivista “Poesia” (n. 29/gennaio-febbraio 2025) di Crocetti ha pubblicato un servizio, a cura di Giovanni Pillonca e Riccardo Duranti, con il testo originale e la traduzione in italiano di sette componimenti tra i più significativi della sua produzione.

Di Longley, Lucciole alla cascata dell’editore Trauben non è più in circolazione. I libri dell’autore attualmente disponibili in Italia sono Angel Hill di Elliot e, sempre per Lo Specchio di Mondadori, l’antologia Il maestro del lume di candela – di cui si parla in queste righe – con una corposa introduzione di Piero Boitani (Stregato da Omero), curatore del volume insieme a Paolo Febbraro. Il titolo del libro riprende l’appellativo del pittore barocco Trophime Bigot (1579 – 1650), famoso per i suoi quadri in cui le figure, avvolte dall’oscurità, sono parzialmente illuminate dalla sola luce di una candela. Luce di per sé flebile, precaria, che però nelle tenebre esprime una potenza inusitata: una chiara metafora della poesia, per Longley:

Sono il maestro del lume di candela
che fra le ombre accende un fiammifero.
Dallo stoppino fumo, poi fulgore.
(“Poesia”)

La produzione dell’autore irlandese si incrocia inevitabilmente con quella degli altri due bardi coetanei o quasi coetanei. Con Heaney (a cui ha dedicato “Barca”; il premio Nobel, a sua volta, lo ha ricambiato dedicandogli “Personal Helicon”) per l’interesse comune verso la poesia classica, greca e latina, che entrambi citano spesso nei loro componimenti. Ed è, fra l’altro, sicuramente anche il citazionismo, una delle cifre della sua produzione, che spinge Longley a collocarsi in un preciso ambito letterario, quello della letteratura postmoderna: «Noi postmoderni», asserisce infatti in After Orazio (Da Orazio). Con Mahon uno dei punti di intersezione è l’utilizzo del medium dell’arte figurativa per veicolare la poesia: se Longley evoca il maestro del lume di candela come metafora della propria arte, Mahon fa appello al paesaggista fiammingo Pieter de Hooch (1629 – 1684), famoso per aver dipinto i cortili di Delft, per rievocare liricamente la propria adolescenza in un componimento intitolato, per l’appunto, “Cortili di Delft”.

Va da sé poi che tutti i poeti dell’“isola di smeraldo” risentono in misura maggiore o minore dell’influenza di William Butler Yeats, il bardo irlandese per antonomasia dell’età moderna. A titolo d’esempio si trascrive di seguito la strofa finale dei “Cigni selvatici a Coole” di Yeats da confrontare con la chiusa di “Solstizio d’inverno” e con i versi di “Bird-Watching”, riportati più avanti, di Longley:

Ma ora ecco, misteriosi e belli,
Scivolano sopra l’acqua immobile;
Fra quali giunchi costruiranno il nido,
Presso che riva di lago o di stagno
Delizieranno mai gli occhi degli uomini il giorno
Che io mi sveglierò, e troverò che sono volati via?
(William Butler Yeats, “I cigni selvatici a Coole”, trad. di Roberto Sanesi)

Roberto Galaverni rammenta, a proposito delle influenze reciproche, che in qualsiasi poeta rivive qualcosa della poesia di chi l’ha preceduto (la poesia «come genealogia») e che la poesia è figlia di Mnemosine, personificazione della memoria: «lo si voglia o no, la poesia, perfino quella più lirica e apparentemente soggettiva, non è mai un canto a una voce sola. […]. La tradizione, o se si preferisce la memoria poetica, si dà solo nella sua reviviscenza al presente» (Siamo figli della poesia, “La lettura”, 2 marzo 2025, pp. 2-3).

Le tematiche principali della poesia di Longley sono l’amore; la natura (presa in considerazione sia in termini di semplice osservazione del paesaggio, sia di interesse verso tutte le creature viventi, sia di tutela dell’ecosistema); la fascinazione per la cultura classica greco-latina (di cui si innamora seguendo le lezioni di due maestri d’eccezione, William Bedell Stanford e Donald Ernest Wilson Wormell, suoi insegnanti al Trinity College di Dublino) e quella orientale, in particolare quella nipponica; la meditazione sulla guerra e sulla morte; e, infine, la poesia stessa.

L’amore prima di tutto. L’amore per la moglie Edna Broderick Longley (critico letterario, uno dei più importanti e influenti della scena letteraria irlandese), per la progenie, per il fratello gemello Peter e per il padre. E ovviamente anche l’amore per gli amici, a cui si è fatto cenno in apertura. In breve, l’amore in tutte le sue declinazioni.

L’amore coniugale: un amore solido e duraturo, quello per la moglie, vissuto dai due coniugi in comunione d’intenti nonché in simbiosi con la propria terra, il paesaggio, il ciclo delle stagioni, con i quali entrambi sembrano essere una cosa sola, assorbiti nello spazio-tempo, parti inscindibili di tutto ciò che li circonda.

Hai passeggiato con me un milione di volte
sul sentiero roccioso per Carrigskeewaun
fermandoti nell’insidia dei cerchi delle fate
a raccogliere funghi per merende e poesia.
[…]
per cinquant’anni, marito e moglie, contando
beccacce e piovanelli a voce bassa.
(“Cinquant’anni”)

Mia sposa anziana che dormi
accanto a me al solstizio d’inverno
[…]
Ora, da Carrigskeewaum, David ci parla
[…]
e libera nella mia immaginazione
quei cigni che contasti in abito da notte
all’alba tanto tempo fa, tempo d’amore:
venti cigni selvatici che spariscono all’orizzonte.
(“Solstizio d’inverno”)

Un amore che, com’è naturale, è anche erotismo. Un esempio da “The Linen Industry”, poesia purtroppo non inclusa nell’antologia mondadoriana:

Facciamo l’amore su un prato di candeggio, coperto
per intero di panni che il sole sbianca come se
i nostri abiti fossero di neve riluttante a sciogliersi.
(“L’industria del lino” da Lucciole alla cascata, trad. di R. Bertoni e G. Pillonca)

L’amore e la cura per la sua progenie (figli e nipoti):

Sulle mie spalle ho trasportato figli,
a cavalluccio, e poi figli dei figli.
(“Sentiero”)

Daniel figlio mio, mio Telemaco,
più spiritoso di me, parecchio più acuto,
virtuoso dei cruciverba, un asso a scarabeo,
professore di biologia molecolare
nel tuo laboratorio dài guerra al granchio
spaventoso, e con agenti chimici
raggiri i tumori perché divorino sé stessi
(“Telemaco”)

L’amore per il fratello gemello Peter a cui dedica versi strazianti, intrisi di dolore e rimpianto:

Spingendoti fino al mare sulla sedia a rotelle
guardo giù alla tua testa pelata giallognola
e ripenso i tuoi ciuffi a doppia spirale.

Eri tu il gemello più dispettoso, non è vero?
Ed ero io a piangere quando ti castigavano.
Dov’è che sto spingendoti, fratello, dove?
(“La sedia a rotelle”)

Gemello strappato alla mia vita,
accetta questa elegia molle di pianto.
(“Fratello”)

Gemello, t’hanno tenuto nel congelatore per giorni.
Ti ho baciato la fronte dove il gelo di ritirava.
(“Il gelo”)

L’amore per il padre, reduce della Grande Guerra, di cui ricorda l’eroismo:

È come una poesia. Anzi, è meglio ancora,
l’encomio per la Croce al Merito di mio padre
che si scandisce in versi […]
(“Encomio”)

Accanto all’amore per gli esseri umani c’è poi quello per la natura, altro tema portante della produzione dell’autore. L’interesse per il mondo naturale prende l’abbrivio dalla mera osservazione del paesaggio e si sublima in un sentimento di profonda devozione nei confronti di tutte le creature viventi. La sua è una prospettiva decisamente evoluta che trascende quella antropocentrica e approda a una visione “ecocentrica”, una sorta di moderno “panteismo agnostico” (e, per l’appunto, agnostico Longley si professava, dal punto di vista religioso).

Mi sveglio all’alba mentre le anatre morette
planano fra i cigni, padroni stanziali,
ma ricado nel sonno prima di contarle,
poi apro gli occhi sulle pavoncelle –
due dozzine o più – che aggirano il lago
e atterrano di fianco al Forte delle Fate
dove al vento voglio sparse le mie ceneri.
Non mi dispiacerebbe morire adesso, penso,
serrando infine gli occhi ripieni di volo,
il sibilo dello stormo nell’ultimo udito.
(“Bird-Watching”)

Una natura comunque inscindibile dalla poesia, perché

I poeti amano la natura, e amore sono.
(“I poeti”)

Il paesaggio irlandese è dunque un’eterotopia in cui confluiscono gli interessi, le passioni e i sentimenti del poeta. Questo a riprova dell’«elementare interconnessione di tutte le cose» (“Secondo Pitagora”).

Longley, pur facendo spesso cenno alla tradizione letteraria in gaelico, si concentra soprattutto su quella classica greca e latina e, in particolare, sull’opera di Omero. Una costante nell’intera sua produzione sono infatti i lasciti della filiazione omerica. In tutte le sue raccolte richiama episodi dell’Iliade e dell’Odissea fino a dar vita a una sorta di poema “omerico” personale, “in pillole”, disseminato qui e là in tutte le sue opere. A titolo di esempio, al già citato “Telemaco”, si possono aggiungere versi come questi i cui i personaggi mitologici e omerici, simili a presenze fantasmatiche, affollano la memoria del poeta e, di conseguenza, anche la nostra:

Se alla roccia dove confluiscono i fragorosi fiumi, l’Acheronte,
il Piriflegetonte e il Cocito, affluente dello Stige, scavi
una fossa larga, lunga e fonda un cubito, dalle nocche al gomito,
e vi sacrifichi un montone e una pecora nera
[…]
tante di quelle anime anemiche dei morti ti si affolleranno intorno
(“Anticleia”)

Zeus signore dei nembi disse a Febo Apollo:

«Detergi il sangue rappreso dal corpo di Sarpedonte,
[…]
e avvolgilo in tessuti perenni, poi affidalo
a quei messaggeri veloci, Hypnos
e il suo gemello Thanathos, che lo portino
in un solo attimo nella fertile terra di Licia
dove i suoi gli daranno sepoltura in un tumulo
e sotto una stele, privilegio dei morti.»
(“Hypnos e Thanathos”)

«Patroclo, fratello mio, farò quanto chiedi:
mi occuperò delle tue esequie. Ma intanto
avvicinati, fa’ ch’io ti abbracci e insieme
spargiamo il lamento straziante.»
(“L’apparizione”)

Ed è quasi sempre dalla tradizione classica (senza comunque trascurare il lascito dei War Poets) che il maestro irlandese attinge quando si tratta di affrontare il tema della guerra. Per mezzo della poesia il passato rivive nel presente. Fra le varie funzioni che essa svolge c’è anche quella di fungere da campanello d’allarme per i nostri tempi e per il futuro. Ed ecco, di seguito, una visione che riaffiora dall’antichità, valida sia per le due Guerre Mondiali, sia per i troubles (gli scontri tra cattolici e protestanti che insanguinarono l’Irlanda del Nord), sia per le odierne guerre d’Ucraina e di Palestina, sia come monito per tutte le guerre e per i tempi a venire (Teoclimeno è il veggente che nell’Odissea profetizza la strage dei Proci):

In che razza di incubo state vivendo, disgraziati,
le facce e i ginocchi avvolti nelle tenebre,
l’aria zigzagata dai lamenti – tutto infatti
finisce in pianto – i muri sanguinanti e gli architravi
come rami gocciolanti una pioggia scarlatta,
pieno il portico di zombi, come anche le bassure
dov’essi premono per calare agli inferi, e spento il sole
mentre i gas di morte paludi inglobano la terra?

Qui dentro è notte fonda […]
(“La visione di Teoclimeno”)

E arrivando ai citati troubles, è indispensabile far presente che, fin quando durarono, Longley non si schierò mai né con l’una né con l’altra fazione ritenendo che il problema dei rapporti tra cattolici e protestanti fosse troppo complesso per essere affrontato in termini semplicistici e che fosse davvero difficile, se non impossibile, capire da quale parte pendessero esattamente i torti e le ragioni. Irlandese cresciuto nella comunità protestante, esitò a lungo, forse per pudore, prima di far affiorare l’argomento nella sua poesia, ma quando questo avvenne, il suo giudizio sulle uncivil wars fu tranchant:

Pensa ai bambini
nascosti dietro le bare.
Guarda in faccia il dolore.
Quei trent’anni chiamali
gli Anni del Disonore.
(“Troubles”)

E quando finalmente gli scontri cessarono, con l’Accordo del Venerdì Santo (10 aprile 1998), per commentare l’avvenimento il poeta fece nuovamente appello ai personaggi omerici e alla loro pietas:

In mente il suo stesso padre, mosso al pianto,
Achille prese il vecchio re per mano e piano
lo scostò da sé, ma Priamo si raccolse ai suoi piedi
e pianse con lui, colmando la tenda di mestizia.
(“Cessate il fuoco”)

Longley ha scritto anche diverse poesie sul tema dell’olocausto. Una delle più famose è “Terezin”, non presente però nel Maestro del lume di candela: «No room has ever been as silent as the room / Where hundreds of violins are hung in unison» («Nessuna stanza è mai stata così silenziosa come quella / in cui sono appesi all’unisono centinaia di violini»). Sull’argomento, i curatori del volume propongono invece “Quartine”:

Fu alzato un albero di Natale ad Auschwitz,
e sotto come regali vennero accatastati
i corpi dei prigionieri morti quel giorno.
Poi a ranghi uniti si cantò Stille Nacht.
(“Quartine”)

Quanto alle visioni di morte, come si è visto, per un motivo o per l’altro, nella poesia di Longley non mancano mai. E non le risparmia neanche nei propri confronti:

È la mia fase finale, questa? Certe poesie confidano
concordi come foglie ingiallite in un ramo protetto.
(“Foglie”)

Il mio letto di morte sarà d’amore per gli amici
(“Letto di morte”)

Per quanto concerne poi l’interesse di Longley per la cultura orientale (al Giappone allude il titolo della sua raccolta The Weather in Japan), il volume a cura di Boitani e Febbraro propone due poesie in cui l’autore ricorda l’antologista giapponese Otomo Yakamochi, a dimostrazione di come due artisti possono avere una sensibilità affine nonostante siano vissuti in epoche e luoghi notevolmente distanti fra di loro (una sorta di entanglement attraverso lo spazio e il tempo):

ci incontriamo attraverso tredici secoli
per parlare di uccelli e di fiori.
[…]
Più intensamente ad ogni nuovo anno
noi guardiamo i paesaggi dell’anima –
(“A Otomo Yakamochi”)

Otomo Yakamochi,
primo degli antologisti,
ascoltò migliaia di poesie
e ascoltò nel loro andirivieni
le gru gridare l’invito amoroso,
e il canto degli uccelli tra le fioriture
(“L’antologista”)

E, last but not least, a un autore che si riconosceva come “postmoderno” non poteva di certo mancare, il vezzo della metapoesia:

le poesie sono un polline, quindi in ogni dove.
(“Emily Dickinson”)

Nel palmo della mano poesie, linee della vita,
(“Runa”)

allora che dire della poesia, abracadabra
che a tutto dà una seconda opportunità?
(“Telemaco”)

Come si è visto, l’antologia mondadoriana è abbastanza completa, ripercorre quasi tutte le fasi della produzione di Longley e delinea diligentemente le principali tematiche da lui affrontate. Peccato manchino due delle sue poesie più belle, “Terezin”, un distico prima trascritto integralmente, e “The Linen Industry” (“L’industria del lino”), di cui sono stati citati sopra alcuni versi. Lo splendido distico di Pillow (Cuscini), invece, pur risultando assente nell’indice del libro, è menzionato da Piero Boitani nella sua introduzione e qui di seguito riportato per chiudere in bellezza:

La tua intelligenza sonnecchia accanto alla mia.
Si accumulano poesie tra i cuscini.


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