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Vita e opinioni di Todd Andrews, gentiluomo

L’Opera Galleggiante / di John Barth ; introduzione di Martina Testa ; traduzione di Henry Furst e Martina Testa. – Roma: Edizioni minimum fax, 2003-2022. – 368 p. – (Minimum classics). – ISBN 978-88-33-89382-2.

di Angelo Guida - domenica 8 dicembre 2024 - 788 letture

John Barth, esplicitamente riconosciuto da David Foster Wallace come suo maestro, è ritenuto uno dei padri del postmodernismo. La sua Opera Galleggiante è considerata un lavoro sperimentale che ha non poche affinità con La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo di Laurence Sterne, probabilmente il primo vero romanzo sperimentale, capostipite del metaromanzo, dell’antiromanzo e dell’arciromanzo.

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Copertina di L’Opera galleggiante, di John Barth

Innanzi tutto, le due opere sono entrambe dei metaromanzi – in quanto contengono considerazioni sul libro che si sta scrivendo e in quanto l’autore si rivolge direttamente al lettore – e degli antiromanzi perché sovvertono le convenzioni tipiche del genere e rendono più complicata e complessa la ricostruzione della fabula, ossia dell’ordine cronologico e logico-causale del susseguirsi degli eventi.

Un’altra affinità fra le due opere sta nei nomi dei personaggi principali. Questo è quello che il protagonista del libro di Barth dice, a proposito del proprio nome: «Todd Andrews, mi chiamo. Lo potete scrivere con una d o con due; […]. Volevo avvertirvi di non usare la grafia con una sola d, per paura che diceste: “Tod in tedesco vuol dire morte: forse il nome è simbolico”. […]. Tod è morte, e in questo libro la morte non c’entra molto. Todd è quasi Tod, cioè quasi morte, e in questo libro, […] c’entra moltissimo la quasi-morte». E questo è quello che il padre di Tristram Shandy pensa del nome attribuito al figlio, per uno sfortunato concorso di circostanze, nonostante la propria assoluta contrarietà: «TRISTRAM;---ne aveva l’opinione più vile e disprezzabile di ogni altra cosa al mondo,---convinto com’era che non potesse produrre nulla in rerum natura se non qualcosa di supremamente meschino e pietoso […]. […]. TRISTRAM—melanconico suono bisillabico» (trad. di  Flavia Marenco De Steinkühl) perché richiama il latino tristis e il gallese trwatan (“sfortunato”). Insomma, in tutt’e due i casi, i nomi hanno qualcosa di lugubre, di funereo, di funesto.

Nel Tristram il gentleman-narratore impiega un anno per descrivere il suo primo giorno di vita (T.S., IV.xiii). Nell’Opera la trama principale si dipana nell’arco di una singola giornata.

In entrambi i romanzi sono frequenti le digressioni – fra le quali i numerosi flashbacks e flashforwards – connotate come veri e propri elementi portanti sia nell’Opera Galleggiante che nel Tristram Shandy. È da rammentare, a tal proposito, l’eulogia di Sterne: «Le digressioni, non lo si può negare, sono il sole,—sono la vita, l’anima della lettura;---toglietele, per esempio, da questo libro,—è come se insieme toglieste di mezzo il libro stesso» (trad. cit.).

Un altro punto di contatto fra le due opere sono le numerose dilazioni digressive in cui il lettore incappa nel corso della narrazione degli eventi. Con una differenza sostanziale: Sterne è a volte infedele, rinnega le proprie premesse e tradisce le promesse fatte al lettore di affrontare in un secondo momento gli argomenti rimasti in sospeso; Barth è leale e, quando dice «racconterò quella storia più avanti», mantiene sempre la parola data.

In entrambi i libri si respira aria di artificio ma la storia di Barth è più verosimile e risulta, perciò, più accessibile e avvincente per il fruitore.

Come già accennato, la trama principale dell’Opera Galleggiante si dipana nell’arco di una singola giornata. Una mattina, al risveglio, Todd Andrews – affermato avvocato di Cambridge, cittadina del Maryland –, mentre si sta lavando la faccia sotto un getto di acqua fredda, ha un’improvvisa illuminazione: “sente” che in quello stesso giorno, coincidente con il solstizio d’estate (anche se non è sicuro sia il 21 o il 22 giugno del 1937), dovrà porre fine alla propria esistenza. Ma il suo delirio suicidario è piuttosto vago e “svagato”. Il lettore non ha affatto l’impressione che Todd abbia una pressante esigenza di concretizzare il suo proposito. Nel corso della giornata è immerso nella solita routine quotidiana: prende il caffè con gli amici nell’albergo in cui ha affittato una stanza e in cui vive da solo dopo la morte del padre; si vede con Jane, l’amante; continua a seguire le cause di cui è patrocinatore (in particolare quella del suo amico Harrison, marito dell’amante, consenziente all’adulterio della moglie, che, in caso di vittoria nel giudizio di cui è parte, intascherebbe l’eredità del defunto genitore milionario); si incontra con Jeannine, figlia di Jane e probabilmente anche figlia propria, la porta con sé a visitare «L’UNICA E INIMITABILE “Trans-oceanica” OPERA GALLEGGIANTE DI ADAM»; e, alla fine della serata, come se nulla fosse, assiste al suddetto spettacolo che si tiene su un battello ormeggiato al Molo Lungo del porto di Cambridge.

A un certo punto, si intuisce qual è il presumibile motivo che lo spingerebbe a togliersi la vita: il suicidio del padre, avvenuto nel 1930, a causa dei debiti contratti per delle speculazioni sbagliate fatte in coincidenza della crisi del ‘29. Non capisce perché il suo unico genitore vivente (è orfano di madre da quando aveva sette anni) lo abbia fatto ed è scarsamente convinto che il movente economico sia stata la ragione determinante del suo insano gesto, e perciò conduce per conto proprio l’Indagine (la parola è sempre scritta così: in corsivo e con l’iniziale maiuscola): «un tentativo di capire perché mio padre si è impiccato». E sotto sotto nutre un sordo rancore nei confronti del genitore per quello che ha fatto, per averlo lasciato solo al mondo: «non posso accettare la sfortuna come ragione sufficiente per il suicidio di nessuno, nemmeno di mio padre. Anzi, è stata proprio la sua mancanza, secondo me, di ragioni valide per impiccarsi che mi ha trasformato improvvisamente in un cinico». Vengono in mente, a tal proposito, le parole di Frieda Hughes, la figlia di Sylvia Plath: «“Mia madre era destinata a crescere me e mio fratello, ma si è uccisa, e così facendo si è liberata dalla responsabilità, ma ci ha anche abbandonato. È stato come se ci avesse portato alla fermata dell’autobus per un viaggio e poi ci avesse lasciato lì mentre lei partiva per un’altra direzione. Diserzione: la partenza di qualcuno che lascia un lavoro a metà. Come un soldato che diserta l’esercito”» (Cristina Taglietti, Frieda Hughes. Ero una ragazza, La Lettura, 17.11.2024, p. 17).

Al risentimento di Todd nei confronti del padre si aggiunge quello provato nei confronti dell’amante che ha in programma di trasferirsi, con il marito e la figlia, per qualche anno in Italia. Un’altra dipartita, un altro abbandono. Lo attende una nuova, angosciosa solitudine, come quella suscitata dalla perdita del genitore. Decide allora di farla finita con tutti.

Alla fine però – dopo il tentativo non riuscito, per motivi ignoti anche al protagonista, di far saltare in aria l’Opera Galleggiante con tutti gli intrattenitori e gli spettatori presenti (compresi Jean, Jeannine e Harrison) – Todd rinuncia al proposito di togliersi la vita semplicemente perché sente che «Non c’è alcuna ragione ultima per vivere (o per suicidarsi)». L’amara, cinica conclusione della sua vicenda non è nient’altro che una conferma di quello che aveva già intuito tempo addietro ovvero che «Nulla ha valore intrinseco».

Ma al di là del cinismo, del nichilismo e delle cupe seppur “svagate” opinioni e riflessioni del protagonista, la narrazione procede sempre con altrettanta “svagatezza” e levità. E non sono rari gli episodi divertenti (d’altronde John Hawkes ha definito Barth «a comic Melville»). Particolarmente esilarante è quello della festa di Capodanno a casa del colonnello Morton in cui, dopo una serie di folli accadimenti, Todd viene sorpreso dal padrone di casa in un estemporaneo “corpo a corpo” con la moglie Evelyn. Così, inevitabilmente, la mente non può fare a meno di andare una volta ancora all’autore del Tristram che nell’incipit del suo romanzo afferma di essere: «convinto […] che ogni volta che uno sorride,—ma ancor più quando ride, ciò aggiunga qualcosa a questo Frammento di Vita» (trad. cit.).

E, alla fin fine, la conclusione non può che essere quella messa in bocca a Joe Morgan, uno dei personaggi a cui Barth ha dato vita nel libro gemello dell’Opera Galleggiante, La fine della strada: «dove diavolo se non in America si potrebbe avere un nichilismo allegro, perdio?» (trad. di Aldo Buzzi).


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