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Razzismo, l’arte di sfruttare i pregiudizi

La razza è una costruzione concettuale di carattere culturale e politico.

di Antonio Carollo - domenica 2 dicembre 2007 - 5649 letture

Anthony Clifford Grayling nel suo libro “Il significato delle cose”,edizioni “Il Sole 24 Ore”, rileva il paradosso che emerge nelle società attuali: il razzismo è una realtà, ma il concetto di razza non ha alcun fondamento biologico reale. La razza, di per sé, è un’invenzione.

Linneo (Carl von Linné) già nel secolo XVIII, negò ogni base scientifica alla sua classificazione degli esseri umani in razze. Nel XIX secolo lo storico E.A.Freeman e successivamente l’antropologo culturale Ashley Montague affermarono il carattere fittizio del concetto di razza. Lo stesso Hitler era consapevole della sua inconsistenza: “So benissimo che in senso scientifico non esiste nulla che corrisponda alla razza....”

Oggi l’analisi del DNA demolisce in modo radicale il concetto di razza. Le differenze fisiche sono dovute alle caratteristiche geografiche del clima e all’isolamento determinato dai grandi flussi migratori. Non vi è alcuna prova che gli uomini, distinti in gruppi per comodità classificatorie, siano differenti nella loro capacità innata di sviluppo intellettuale ed emozionale. La razza è una costruzione concettuale di carattere culturale e politico utilizzato dalle potenze europee per le loro conquiste coloniali. I frutti furono: schiavitù e oppressione. Il mondo antico fu sostanzialmente estraneo alla concezione del razzismo.

Per i Greci la sprezzante denominazione di barbari non aveva connotazioni razziali. I Romani lasciarono sempre ampia autonomia alle popolazioni delle terre conquistate. La repressione contro gli Ebrei all’inizio dell’era cristiana fu causata dalla loro resistenza non da ragioni di carattere razziale. Anche le persecuzioni contro i Cristiani, mano mano che si affermava la loro egemonia religiosa, non ebbe mai coloriture razziste. Le forme di discriminazione adottate un secolo dopo l’età di Costantino dall’impero romano diedero origine ad un antisemitismo che nulla aveva a che fare con la razza.

Durante l’alto medioevo le comunità ebraiche godevano di grande tolleranza e prestigio. Con le Crociate si arrivò, in Inghilterra, Francia e Spagna, alla loro espulsione, peraltro senza implicazioni razziali di sorta. A partire dal scolo XVI, con l’inizio del colonialismo europeo in Africa e in Estremo Oriente, vi furono le prime discriminazioni razziste da parte di colonizzatori nei confronti delle popolazioni indigene di colore. Non tutte le potenze coloniali praticarono un atteggiamento di superiorità sugli indigeni. Portogallo e Francia mirarono ad assimilare i nativi ai cittadini della madrepatria.

La Gran Bretagna invece sui territori conquistati in America sancì la superiorità sociale dei coloni sui neri deportati dall’Africa e sugli indiani. Anche dopo la nascita degli Stati Uniti tale situazione negli Stati del Sud per i neri rimase invariata fino al 1865, anno di abolizione della schiavitù. Le discriminazioni razziali negli USA, a livello giuridico durarono fino agli anni Sessanta del secolo successivo.

Come sappiamo, l’acme del razzismo di tutti i tempi si raggiunse in Germania sotto il regime nazista, che affermò e impose la superiorità della razza ariana germanica in funzione antisemita, ricorrendo alle persecuzioni e al genocidio. Nella Repubblica Sudafricana il razzismo assunse forme violente di “apartheid” con discriminazioni sancite a livello legislativo. Infine in una risoluzione dell’ONU del 1975 furono imputate ad Israele delle discriminazioni nei confronti degli arabi. Il fondatore della dottrina della superiorità della razza ariana è il francese Joseph Arthur Gobineau col suo “”Essai sur l’inegalité des races humaines” (1853). Il mito dell’arianesimo fu diffuso in Germania agli inizi del ’900 dall’inglese Houston Stewart Chamberlain (“Die Grundlagen des XIX Jahrhunderts”, 1899). La dottrina fu poi rielaborata da Alfred Rosenberg nel “Mito del XX secolo” (1930).

Grayling dice che il superamento del concetto di razza non è certo agevolato dal cosiddetto “razzismo antirazzista”, come quello del Black Power e di altri movimenti, i quali hanno provocato irrigidimenti d’identità e intransigenze, contribuendo a consolidare “l’idea stessa alla radice del problema”. Il razzismo si estinguerà, aggiunge, quando il prossimo sarà valutato esclusivamente come individuo, secondo le sue irripetibili caratteristiche.

Concludiamo richiamando lo spirito della dichiarazione sulla razza di Parigi del 1951, emessa presso l’Unesco, secondo cui il razzismo appartiene all’arte di sfruttare per scopi particolari un certo pregiudizio esistente che ostacola la tendenza morale dell’umanità verso l’integrazione.


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