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Intervista a Francesco Arena dipendente dell’Agip rapito in Nigeria

Sta bene nonostante i 98 giorni di prigionia, nella giungla. Francesco Arena da due anni lavorava in Nigeria, dipendente dell’Agip era nelle mani dei guerriglieri appartenenti al Mend, il Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger, dal 7 dicembre scorso.

di Bianca Scicolone - lunedì 2 aprile 2007 - 5634 letture

Sta bene nonostante i 98 giorni di prigionia, nella giungla. Francesco Arena da due anni lavorava in Nigeria, dipendente dell’Agip era nelle mani dei guerriglieri appartenenti al Mend, il Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger, dal 7 dicembre scorso. Il tecnico gelese era stato rapito insieme ai colleghi Cosma Russo, Roberto Dieghi e a un cittadino libanese, Imad Saliba, entrambi già tornati separatamente liberi. Ha vissuto, per tutti i giorni della prigionia, in una tenda, in posti sperduti. Ammette: “Siamo stati trattati bene, non ci hanno mai fatto del male. L’unica mia lamentela è che ci hanno tenuto in ostaggio troppo a lungo”.

Ci racconti le dinamiche del sequestro?

È avvenuto alle 6:30 di mattina circa. Il gruppo è arrivato all’improvviso con 5 barche per un totale di 35 persone. Un piccolo esercito rispetto a tutto il movimento più numeroso e con molte più barche e armi. Erano tutti armati con mitragliatori pesanti e mitragliette. Al loro arrivo la nostra security non ha potuto fare nulla. I militanti sono arrivati già sicuri di trovarci. Ci hanno preso e ci hanno condotto con le barche nella loro base, dopo 2 ore e mezza di navigazione.

Vi hanno detto subito chi erano, di cosa si trattava?

Diciamo che avevamo capito.

Potevano essere delinquenti, banditi, rapinatori... Quando avete capito che si trattava di un gruppo politico vi siete sentiti più tranquilli, più sicuri?

Il fatto che si trattava di un gruppo politico che non aveva intenzione di farci del male, ci ha tranquillizzato. L’abbiamo capito all’atto del sequestro. Hanno mostrato attenzione nei nostri confronti, quando siamo saliti sulle barche e durante il tragitto. Ci hanno difeso dai pericoli lungo il percorso, poiché abbiamo incontrato diversi gruppi armati e postazioni militari che ci hanno sparato contro.

Dove avete vissuto in questi 98 giorni? Vi hanno mai maltrattato?

Eravamo nella giungla, non ci hanno mai legato nemmeno al momento del sequestro. Eravamo liberi all’interno del campo, passeggiavamo tranquillamente. Noi sequestrati vivevamo in una tenda, i militanti del Mend invece, dormivano all’aria aperta senza nessuna protezione. Tentare di scappare era impossibile, inoltrarsi nella foresta era pericolosissimo. I ragazzi del movimento, composto da giovani dai 18 ai 25 anni, ci consideravano gli anziani, ci chiedevano consigli se ne avevano bisogno. Ci davano acqua minerale e medicine. Cose che loro non possedevano. Spesso però cedevamo i nostri farmaci anche per un semplice mal di testa o perché erano infetti da malaria. Eravamo preziosi per loro. Vivendo in una tenda, la nostra preoccupazione era infatti la stagione delle piogge. In mezzo alla giungla saremmo stati costretti a rimanere tutta la notte in piedi.

Come passavate il tempo? Come vi alimentavate?

Era veramente pesante, non avevamo nulla da fare per tutto il giorno. Passeggiavamo, stavamo seduti o dormivano. Per mangiare ci davano riso, concentrato di pomodoro, cipolle, fagioli. Cucinavamo il riso con diverse verdure o in bianco.

Avete avuto la possibilità di telefonare a casa.

Ci hanno permesso di telefonare in un paio di occasioni, a Natale, e poi dopo poche settimane. Ci permettevano di telefonare, ma poi dovevamo cercare qualcuno che ci desse un telefonino...

Per le forze di polizia o comunque per coloro i quali vi stavano cercando, non era facile attraverso un telefonino rintracciare e individuare il luogo dove eravate nascosti?

Il rifugio sapevano tutti dove era localizzato. Semplicemente non tentavano una prova di forza. Il governo italiano aveva pregato di non fare nessun tentativo con la forza per liberarci.

Quali sono stati momenti più brutti, in cui ha temuto per la sua vita?

I momenti più brutti sono stati i tragitti, quando ci spostavano da un posto all’altro, perché avevamo paura di incontrare i militari. Temevamo lo scontro, tant’è vero che prima di rilasciarci i militanti del gruppo hanno controllato se c’erano dei gruppi armati in giro, per evitare scontri.

Più volte vi hanno detto che vi avrebbero rilasciato, poi invece si rivelava una promessa a vuoto. Quando siete stati certi di ritornare liberi?

Quando i militanti hanno detto a me e a Russo che stavano interagendo con i loro capi perché era passato troppo tempo. Già da quindici giorni ci dicevano che ci avrebbero rilasciato. Si erano resi conto che la situazione si era prolungata troppo.

Cosa ha indotto i guerriglieri a liberare i vostri due colleghi?

Il primo Roberto Dieghi è stato liberato per problemi di salute, si sono accorti che soffriva di pressione alta. Nella giungla se si fosse sentito male, non ci sarebbe stato modo di intervenire e hanno deciso di rilasciarlo. Per il libanese non so quali siano state le motivazioni.

Come comunicavate con i il gruppo?

Parlavamo in inglese. Tutti lo parlavano anche se non sempre eran un inglese forbito. Alcuni dei militanti erano universitari, studenti, altri invece illetterati.

Vi hanno spiegato perchè vi tenevano prigionieri?

Abbondantemente. Tutti quanti, sin dall’inizio ci hanno spiegato lo scopo del nostro rapimento. Hanno imparato la “filastrocca”. L’abbiamo sentita da tutti, per almeno 500 volte, visto che erano 500 i militanti del campo.

Cosa vi spiegavano? Quali sono state le motivazioni?

Che loro lo facevano perchè volevano il controllo delle risorse. I soldi che avrebbero ottenuto dal controllo delle risorse, o parte di questi, gli servivano per poter creare le infrastrutture nella loro terra. Infrastrutture che mancano. Quali strade, scuole, ospedali e poi naturalmente i posti di lavoro.

Cosa rappresentavate per loro?

Noi rappresentavamo il governo che non aveva creato nessuna infrastruttura in tutti questi anni di sfruttamento e ritenevano che la compagnia, l’Agip, rappresentasse il governo.

Vi hanno spiegato cosa volevano in cambio del vostro rilascio? Volevano la libertà dei loro leader.

E’ stato pagato un riscatto per la vostra liberazione?

Non penso, i guerriglieri volevano con il nostro rapimento attirare semplicemente l’attenzione. Il nostro è stato un sequestro lungo perché i militanti attendevano le elezioni del governo. La nostra preoccupazione infatti, era che, se così fosse stato, il nostro rapimento sarebbe durato sino a giugno almeno. Le elezioni sono previste per aprile, a maggio ci sarebbe stato l’insediamento. Fortunatamente i giovani militanti si erano stancati, e non volevano ulteriormente stancare noi, eravamo spossati a causa dell’ambiente in cui eravamo.

Lei ha detto più volte che ritornerebbe in quei posti.

Si ci ritornerei. Io penso che le compagnie e il governo con un programma e una politica di risanamento ambientale, portando lavoro, infrastrutture, scuole, abbasserebbero ogni rischio, non ci sarebbe alcun problema a vivere in Nigeria. Queste persone non sono cattive, occorre una politica che pensi più al popolo, alla gente. Non c’è colonialismo da parte delle compagnie, le industrie fanno il possibile per poter alleviare i problemi, ma le compagnie non sono il governo. In Nigeria di fame non muore nessuno, anche i più poveri riescono a cibarsi, quello che manca è tutto ciò che appartiene alla società moderna, la televisione, i telefonini, le infrastrutture, si mangia ciò che da la natura...

Sapevate cosa stava accadendo nel mondo durante la prigionia?

Sì, avevamo una radio, eravamo informati, anche se non avevamo notizie dall’Italia. Non sapevamo cosa stava succedendo nel nostro paese, qualcosa ci è stata detta dai nostri familiari nel corso delle telefonate.

Adesso è a casa quando ricomincerà a lavorare

La compagnia mi ha concesso 4 mesi di riposo, ma non penso di rimanere per tutto questo tempo a casa, magari un mese, un mese e mezzo. Appena l’azienda mi darà la nuova destinazione partirò.

Se le dicessero di lavorare qui al petrolchimico di Gela?

No assolutamente. Non mi interessa. Mi sentirei più recluso della giungla. Nella giungla i muri non c’erano, lì si.

La Farnesina poteva fare di più, quanto meno per ridurre i giorni della vostra prigionia?

Non penso, il nostro era un sequestro politico difficile da gestire, un sequestro a scopo di estorsione sarebbe stato meno complicato. È stato Asari leader del Movimento di Emancipazione del Delta del Niger a dare l’ok per la nostra liberazione.


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Intervista a Francesco Arena dipendente dell’Agip rapito in Nigeria
2 aprile 2007, di : Paskal007r |||||| Sito Web: Divide et impera

Una doverosa notazione: Il rapito, sicuramente in buona fede, ha dichiarato che "in nigeria non muore di fame nessuno". Purtroppo non stanno così le cose: "niger, una tragedia del neoliberismo" http://www.articolo21.info/notizia.php?id=2382

"Il World Food Programme , l’agenzia delle Nazioni Unite che distribuisce cibo in 80 aree di crisi nel mondo, stima che circa 2,5 milioni di nigerini siano stati colpiti da una crisi alimentare senza precedenti nella storia del Paese." era appena il 24 agosto 2005....

    Intervista a Francesco Arena dipendente dell’Agip rapito in Nigeria
    3 aprile 2007, di : bianca

    Concordo...occorre ricordare che i tecnici che lavorano all’estero solitamente vivono in strutture che consegna la ditta per cui non credo abbiano molto a che fare con il resto della popolazione.