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Del coraggio di essere donna

Nel nome di Giulia Cecchettin

di Massimo Stefano Russo - mercoledì 29 novembre 2023 - 587 letture

Le società patriarcali per millenni hanno dominato, con le donne sottomesse al seguito degli uomini e senza diritti. La rivoluzione le donne, a lungo senza identità sociale, l’hanno compiuta nel Novecento, con molte speranze e conquiste realizzate, costate tanti sacrifici, ma ancora, nel persistere di stereotipi e ostilità, tanto il da fare. I rapporti di genere presentano un territorio accidentato, con ancora tante forme di discriminazione. Basti pensare all’identificare le virtù femminili come espressione del “sesso debole”. La cosmologia arcaica si basava sul potere femminile, riconosceva alla donna il dono del dare la vita e ne considerava il suo corpo sacro. Il coltivare la terra e l’addomesticare gli animali ha portato al concetto di proprietà, materializzato nel desiderio di possedere la terra e le capacità riproduttive della donna; tutto ciò essenziale per l’identità del clan e assicurare la discendenza. Stabilite le prime gerarchie fra i generi, con la maternità che trasforma le donne e le assoggetta risulta determinante una visione androcentrica.

La divisione culturale, senza avere nulla di biologico, porta molte storture e arriva a teorizzare l’inferiorità della donna per giustificarne la condizione. Le donne vanno ammirate per lo straordinario coraggio dimostrato nel voler affermare se stesse, per emancipare e liberare il genere femminile. Impossibile parlare della fine del dominio maschile come principio regolativo quando l’autorità maschile persiste al vertice della piramide socio-economica.

Il maschile continua a prevalere nella maggior parte dei luoghi, mentre le richieste di autonomia e rispetto delle donne e della loro professionalità suscitano timore e violenza. Se i diritti civili appartengono a tutti, il fare violenza al corpo femminile, nel mettere le mani addosso e contare sulla forza delle sberle, è inaccettabile. L’affermare: “L’ho uccisa perché l’amavo troppo” è solo una comoda e squallida bugia. Si può pretendere di mantenere un controllo assoluto e totale sul corpo, la mente e il cuore di chi si ama? La violenza nell’amore è ingiustificabile. Nell’affermare “la amo e perciò è mia, mi appartiene” si esprime tutta la debolezza del maschio debole e impaurito capace solo di scatenare una rabbia tanto devastante da portare all’assassinio criminale. La negazione di un possesso considerato legittimo, può far perdere la ragione al punto da manifestare una crudeltà efferata, tipica delle vendette più viscerali?

Possedere e dominare il corpo femminile appartiene alla cultura basata sul diritto maschile, dove possesso e dominio sorreggono la violenza e la brutalità. Se i maschi in natura si fanno belli per attirare le femmine, la cultura interviene nell’emancipare e distinguere gli esseri umani dagli animali. La parità uomo-donna va richiesta, l’autorevolezza femminile rivendicata, a partire dalla lingua che nel declinare tutto al maschile diventa di parte. Non a caso la violenza contro le donne ha portato a coniare una nuova orribile parola: “femminicidio”.

Cambiare il mondo cambia le relazioni tra i sessi. Nella banalità del male gli individui covano cattiveria, crudeltà, malvagità e nel fare del male si vivono le pene dell’inferno, spesso dalle conseguenze drammatiche. L’odio che si accumula e attecchisce in modo latente bisogna saperlo riconoscere mentre cresce, per potersi salvare da esso. Molti i segnali potenziali indicativi di quello che può succedere e alla fine succede. La carica distruttiva tende a emergere in forma esplosiva dopo una fase di accumulazione anche molto lunga. In determinate condizioni e circostanze il male vissuto dentro l’essere umano si manifesta esplicitamente: nel sopraffare e prevaricare si diventa violenti.

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Unos cuanto piquetitos, di Frida Kahlo, 1935

Come evitare che atti di violenza che rientrano indubbiamente nel quadro del dominio maschile, possano ancora succedere? Per attivare una campagna di educazione e prevenzione bisogna puntare sull’esperienza e la pratica della armonia che sa dimostrare la bellezza nel rappresentare il meglio della natura e della cultura umana e grazie a ciò si rivela capace di salvare. Si tratta di individuare e disinnescare in tempo la base bio-psico-sociale che porta alla violenza spietata e alla cinica brutalità. La prossimità, al cospetto del dolore fa risaltare l’importanza di instaurare una risonanza empatica per fa sì che l’esperienza stessa del dolore diventi condivisione di altruismo.

L’esempio lo si ritrova nella figura di un padre e di una sorella che tra sentimenti e passioni dalle molteplici forme, con modulazioni e vibrazioni, alcune ben visibili altre che rimangono nascoste, portano con grande dignità il fardello del dolore inenarrabile.

Un padre e una sorella capaci di amare che, nel valorizzarne l’intelligenza e i talenti, testimoniano e richiedono il rimanere viva della memoria di Giulia, al di là della sua tragica storia, per dare senso amorevole a una esperienza di vita vissuta.

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