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Cinque morti di serie B

Si continua a morire, ogni giorno, sui posti di lavoro. Dall’inizio dell’anno sono 778, ma la retorica lacrimevole e bolsa s’interessa solo dei morti volontari in guerra. Anche all’Ipercoop di Milano

di Adriano Todaro - mercoledì 30 settembre 2009 - 2708 letture

Alberto, 43 anni; Said, 37 anni; Mario, 50 anni; Valerio, 21 anni; Walter, 34 anni. Sono gli ultimi, in ordine di tempo, morti sui posti di lavoro. A questi bisogna aggiungere Gabriele, 47 anni e Luigi, 48 anni, gravemente feriti che lottano con la morte. Per loro nessun minuto di silenzio, nessun politico con gli occhi umidi davanti le telecamere, nessuna freccia tricolore, nessuna retorica, nessun funerale di Stato. Questi non sono i nostri “ragazzi”, sono solo lavoratori, semplici lavoratori con i loro problemi, forse il mutuo da pagare, i figli da far studiare, i sentimenti per qualche ragazza. Cose, in fondo, banali, cose di tutti i giorni. Nulla a che vedere con le persone morte, da volontari, in Afghanistan. Dei cinque lavoratori morti, in due giorni, in varie parti d’Italia, non sapremo più nulla. D’altronde anche la notizia della loro morte è stata frettolosamente riportate nelle “brevi” di qualche giornale, lo stesso giornale che ha dedicato pagine e pagine ai “ragazzi” morti in Afghanistan. Di loro abbiamo saputo tutto; di questi morti in fabbriche e cantieri nulla.

Valerio Messuti, 21 anni, è morto mentre lavorava in un cantiere della famigerata Salerno-Reggio Calabria. Said Karroui, 37 anni, sposato, abitante ad Albenga, proveniva dal Marocco, naturalmente al suo primo giorno di lavoro. Mentre stava lavorando con una ruspa in un parco di Arco di Trento, il mezzo si è ribaltato e lui è stato decapitato dalle lame montate sull’escavatore. Alberto Simoncelli, 43 anni, era titolare di un’azienda specializzata nella sistemazione dei tetti e stava lavorando in uno stabilimento siderurgico di Brescia. E’ precipitato dal cestello dove era assieme ad un altro operaio, appunto Gabriele, di 47 anni, operato d’urgenza nel tentativo di salvargli la vita. Mario Cuccu, invece, aveva 50 anni e stava lavorando sopra un ponteggio ad Oblia Sia lui che un altro lavoratore, Luigi Desortes, 48 anni, sono precipitati da un’altezza di 9 metri. Cuccu è morto poco dopo il ricovero; il compagno Desortes, anche lui operato d’urgenza. Walter Cabiddu, 34 anni, è morto in una cartiera di Macchiareddu, in provincia di Cagliari. Stava spostando delle bobine di carta, quando è stato travolto da un macchinario morendo sul colpo.

In fondo questa è solo la cronaca di normalissime giornate di lavoro nel nostro bel Paese dove si esce la mattina per andare a lavorare e non si è sicuri di rientrare nella propria abitazione alla fine della giornata. E dall’inizio dell’anno, ad oggi, non sono più tornati nelle loro abitazioni 778 persone; ci sono stati 778.878 infortuni e si sono creati 19.471 invalidi. Solo nell’edilizia ne muoiono 300 ogni anno e nel 2008 i morti sul lavoro sono stati 1.120.

E’ un costo sociale terribile che dovrebbe far pensare moltissimo i nostri governanti i quali pensano, invece, a come mantenere la loro poltrona oppure si battono, con tutte le loro forze, per diventare segretari di partiti sempre più staccati dalla realtà del Paese, dai problemi delle persone semplici, di quelli che non sono eroi, non sono veline, non sono conduttori Tv, né onorevoli e sottosegretari, né inutili portaborse. Sono quelle persone che, con il loro lavoro, contribuiscono a far camminare questa Italia, che aiutano a far alzare la ricchezza del nostro Paese e sono sempre quelli che spesso sono additati come i veri nemici della nostra economia, fannulloni che hanno troppo potere e troppe garanzie sindacali. E così è necessario togliere queste garanzie cominciando a non far funzionare il Testo unico sulla sicurezza (che l’ex socialista Sacconi tenta di svuotare) o non dando le risorse per far fare il loro lavoro agli ispettori del lavoro che, spesso, non hanno neppure la benzina per poter andare a fare i sopralluoghi.

Ma quello che più indigna è che spesso, troppo spesso anche tanti cittadini onesti sono fuorviati dal pensiero unico del padrone. E così ripetono quello che hanno sentito dire dalla televisione. Certo la Tv non può negare gli omicidi sui posti di lavoro, ma può sempre seminare il dubbio. Così si butta là qualche schizzo di fango: l’operaio morto non era legato, non c’erano le protezioni ed altro quando non arriva a dire chiaramente che la colpa è di quelli che muoiono perché rifiutano i mezzi di protezione. Così il padrone ne esce indenne e la colpa è la disattenzione dei lavoratori che con leggerezza cadono dalle impalcature.

Anche “a sinistra” il pensiero unico fa proseliti. Lunedì 26 settembre è giornata di lutto nazionale per i sei parà uccisi in Afghanistan e di mattina vado all’Ipercoop di viale Sarca, a Milano, a fare la spesa. Ad un certo momento, un comunicato ufficiale via radio, informa i consumatori che verrà effettuato un minuto di silenzio in onore dei militari morti. Sono in fila alla cassa. Davanti a me tre persone. Le casse sono bloccate, nessuno può uscire, le cassiere, compunte, si alzano in piedi. Una signora, la prima della fila, protesta a voce alta, dice che ogni giorno, in fabbrica, muoiono lavoratori e non si fa nessun minuto di silenzio, che ci sono morti di serie A e di serie B. Risponde la cassiera della coop (badate bene, non una cassiera di un qualsiasi supermercato, ma della coop!): “Se muoiono è perché sono disattenti sul posto di lavoro. E poi si muore ogni giorno. Cosa facciamo? Ci fermiamo ogni giorno?”. La signora che protesta rimane basita. Non parla più. In realtà non parla nessuno. Tutti fermi. Gli altri, quelli che ancora sono fra gli scaffali a scegliere i prodotti, continuano normalmente la loro spesa incuranti del minuto di silenzio.

Ma poi perché meravigliarsi. Viviamo nel Paese “dell’incontrario” e, quindi, chi muore sul lavoro può essere dileggiato. Ricordate quello che è avvenuto il 25 novembre 2006 all’oleificio Umbria Olii di Campello sul Clitunno? Quattro operai, compreso il titolare, erano letteralmente esplosi. Sciopero immediato, comizio di Epifani, Bonanni e Angeletti, perizie, magistratura impegnata nelle indagini, severo monito del presidente della Repubblica. Poi più niente sino al momento in cui i titolari dell’azienda pensano che i responsabili civili dell’accaduto siano i morti. E siccome i morti non possono pagare pagheranno i loro eredi che sono due bambine di meno di 10 anni, un ragazzo neppure maggiorenne ed una ragazza di meno di venti anni che hanno perso per sempre il padre, quattro donne che hanno perso proprio marito. E quanto hanno chiesto? Trentacinque milioni di euro!

Viviamo in un Paese dove anche le manifestazioni indette per la libertà di stampa sono ipocritamente rinviate per i parà, volontari, morti in Afghanistan. In fondo in un Paese così ci possono stare benissimo anche i 35 milioni di euro chiesti agli eredi dei morti sul lavoro in Umbria.


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