Aldo Moro, umana tragedia
La telecamera indugia lenta verso il bagagliaio della Renault 4 diventata auto-bara, quel 9 Maggio 1978.
“Era così bello vivere quando eravamo tutti e c’era ancora papà.Ogni cosa era buffa allora ed anche amichevole, tutto era invitante perché formavamo una squadra imbattibile, perché eravamo insieme”. Maria Fida Moro
La telecamera indugia lenta verso il bagagliaio della Renault 4 diventata auto-bara, quel 9 Maggio 1978. Si avvicina sempre più, per inquadrare quell’uomo solo, rannicchiato, rimpiccolito dalla morte. Vinto. Tradito dai suoi uomini ancor prima che dalle BR.
L’impatto di quella immagine è tanto più devastante quanto più è forte la fragilità della figura di quel povero uomo, riservato e pudico, che ora mostra a tutto il mondo lo scempio del suo corpo privo di vita: Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana.
Quell’immagine, eternizzata da allora in poi su libri, giornali, siti web e dvd, ci urla e ci scuote per ricordarci che quei 55 giorni del sequestro, trascorsi drammaticamente in un’altalena di finte strategie e strampalate congetture, ricatti e meschine indolenze, furono la più grande tragedia di un uomo consegnato barbaramente nelle mani dei suoi carnefici dallo Stato in cui credeva.
E non ci fu azione, né cristiana pietas neanche dalla Chiesa, che per prima ne ammazzò le speranze. Umana tragedia che schiantò in due la storia del nostro Paese.
Mette un brivido e scatena l’indignazione quel severo richiamo alla ‘ragion di Stato’,- quale supremo valore etico non negoziabile neppure di fronte alla imminente uccisione di un uomo, giustificazione fasulla di un immobilismo vigliacco truccato da fermezza- se si pensa che quattordici anni più tardi lo scoppio del bubbone di Tangentopoli smaschererà (nella stessa Prima Repubblica!), in barba proprio a quello Stato di cui, all’epoca del sequestro, s’invocava la sua ragione, arroganze familiste, tornaconti personali, ruberie piccine e rapine stratosferiche.
Umana tragedia che prese forma nella paura e nella disperazione, tra l’altro contenute e soffocate, dell’uomo che cercò di avere salva la vita tramite la collaborazione dei rappresentanti del suo partito e degli organi dello Stato: “Naturalmente mi rivolgo a te (Benigno Zaccagnini, ndr), ma intendo parlare individualmente a tutti i componenti della Direzione (più o meno allargata) cui spettano costituzionalmente le decisioni, e che decisioni! del partito. Intendo rivolgermi ancora alla immensa folla dei militanti che per anni ed anni mi hanno ascoltato, mi hanno capito, mi hanno considerato l’accorto divinatore delle funzioni avvenire della Democrazia Cristiana..”.
Pare incredibile e veramemte beffardo che ‘qualcuno’ non avesse perdonato a Moro quel suo timore e comprensibile fragilità, ben chiari in molte missive, recapitate e non: “Con quale senso di giustizia, con quale pauroso arretramento sulla stessa legge del taglione, lo Stato, con la sua inerzia, con il suo cinismo, con la sua mancanza di senso storico consente che per una libertà che s’intenda negare si accetti e si dia come scontata la più grave ed irreparabile pena di morte?”, definendo tale atteggiamento ‘non degno’ di un uomo politico, come se il timore della morte fosse una questione di status.
Moro era un uomo mite e un padre dolce e premuroso, così come ce lo ha raccontato una delle figlie, Maria Fida, in due bei libri pubblicati molti anni fa (‘In viaggio con mio papà’ e ‘La casa dei cento natali’), ma che vale la pena di rileggere per cogliere tutta la tenerezza paterna e la serenità di quella famiglia unita e felice fino al giorno del sequestro: ”Ero così piccola da stare nel box e mi piaceva osservare le ombre chiare e scure formate dalle foglie che si muovevano leggere sopra la mia testa. Papà passeggiava avanti e indietro o forse in larghi cerchi intorno al mio recinto, non so.
Una cosa è certa: che le sue gambe mi sembravano straordinariamente lunghe, anche perché appartenevano ad un uomo che aveva il potere soprannaturale di realizzare ogni mio desiderio. A quell’epoca non conoscevo ancora la paura e l’angoscia perché niente era impossibile.”
16 Marzo-9 Maggio 1978. Hanno lasciato morire un uomo così.
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Tradito da chi? Moro non è stato traditop dalla DC, la sua morte è solo il frutto dell’infame ideologia comunista che ha rovinato l’Italia