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Via Poma e il rasoio di Occam

Il trentennale della morte di Simonetta Cesaroni sia l’occasione per riaprire le indagini e dare un volto e un nome al suo assassino.

di Stefania Tiezzi - mercoledì 30 settembre 2020 - 4940 letture

" La soluzione più semplice, spesso, è quella giusta " Guglielmo di Ockham

Se non fosse per il brutale omicidio di una ragazzina di venti anni, quello di via Poma sarebbe un affascinante giallo senza uguali al mondo.

Simonetta Cesaroni, ventuno anni ancora da compiere, il pomeriggio del 7 agosto 1990 si reca a lavoro nell’ufficio di via Carlo Poma 2, un lussuoso stabile nel quartiere Prati a Roma abitato da esponenti importanti e potenti della Roma che conta, insieme a molti volti noti della televisione. Simonetta ha il compito di inserire dati per conto dell’Aiag, l’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù.

Come quasi tutti i pomeriggi in cui svolge quel lavoro, Simonetta è sola nella sua stanza, essendo gli uffici chiusi al pubblico in orario pomeridiano. Attesa dai familiari intorno alle 20, non farà mai più rientro a casa. La ragazza verrà ritrovata la sera stessa alle 23,30 circa riversa a terra, seminuda e massacrata da 29 stilettate inferte con ferocia bestiale dal suo assassino.

La soluzione del delitto sembra questione di pochi giorni. E invece passeranno 30 anni senza poter dare giustizia a Simonetta. Errori, cantonate, sviste, superficialità, dimenticanze vere e (tante) finte, protezioni, sparizioni, favori e altre imperdonabili leggerezze che hanno condannato questo caso alla sua maledetta irrisolvibilità.

Forse nessun altro delitto come quello di via Poma è stato capace di generare misteri su misteri prodotti dalla sua stessa infinita e continua indecifrabilità.

Se fosse un quadro somiglierebbe ad un disegno di Escher dove la dimensione illusoria dello spazio si fa beffe anche della sua stessa diplopia aprendo scenari tridimensionali da cui si aprono altre finestre, altre interminabili combinazioni geometriche. E quando credi che l’occhio abbia colto l’inganno spaziale, ecco che è già prigioniero di un’altra illusione.

Dal giallo di via Poma non si esce, come non ne è mai uscita Simonetta. Eppure dobbiamo imporci di farlo. Imporci di ricominciare tutto daccapo. Per fare questo bisogna accantonare pregiudizi e cortesie e tornare a fare gli investigatori come si deve.

La volontà di riaprire le indagini è stata manifestata anche recentemente dal legale della famiglia Cesaroni, Federica Mondani che, sulla scorta delle ambiguità emerse durante il processo contro Raniero Busco, all’epoca il fidanzato di Simonetta condannato e poi assolto in Cassazione, ritiene che vi siano ampi margini per procedere con nuove analisi, nuove ricerche. Possiamo avvalerci di modernissime e sofisticate tecniche di analisi del DNA. La soluzione dopo vent’anni del delitto dell’Olgiata è stata possibile proprio grazie ai progressi della scienza. In quel caso è stato il...maggiordomo. Per quello di via Poma forse si deve salire qualche gradino della scala sociale.

Molti dei personaggi che all’epoca uscirono inspiegabilmente subito dalle indagini sono ancora vivi e vegeti e sanno ma non parlano. Trattati coi guanti di velluto per trent’anni, occorre abbandonare clemenze e gentilezze e torchiarli per bene.

Ve lo ricordate il magistrato Antonio Di Pietro? Prendeva sotto braccio i più refrattari e reticenti e li faceva ’cantare’ tra una paterna sciacquata di capo a far da bastone e un Ferrero Rocher offerto come carota. Certo, di Tonino ce n’è uno solo, ma se la volontà e la determinazione prenderanno il posto della dabbenaggine e della leggerezza che hanno caratterizzato le indagini precedenti, potremo davvero dare un volto e un nome all’assassino di Simonetta.

Ripartano le indagini, dunque, seguendo la strada tracciata dal principio del rasoio di Occam secondo il quale la soluzione è nella dimostrazione più semplice.

Si sono persi anni discettando su un morso, che sarebbe stato dato dal fidanzato, che poi forse non era un morso e nemmeno del fidanzato, altra vittima di questo giallo infame. Anni a disquisire sull’angolazione presa dal killer per poter mordere magicamente con un’arcata sola, senza il suo opponente, insomma.

E mentre si riempivano pagine e pagine di sofismi pirotecnici, si facevano uscire dalle indagini, più o meno artatamente, proprio gli individui col sangue di gruppo A, unica certezza delle tracce lasciate su una porta dall’assassino.

Se, come dicono, il cadavere ’parla’ e continua a dirci di non aver subìto alcuna violenza carnale, ma questa è stata simulata attraverso, forse, un tagliacarte, ci si domandi chi può aver scelto questa penetrazione sostitutiva pur avendo a disposizione il corpo inerte della ragazza e perché: un uomo impotente? una donna? E se la letteratura criminologica ci ricorda che colpi inferti dall’assassino sul corpo della sua vittima sono sufficienti a provocare una eccitazione sessuale, perché di questa non esistono tracce organiche sul corpo di Simonetta?

Insomma, il movente fu davvero di natura sessuale, come sostenuto fino ad oggi da più parti? Forse quella rabbia incontenibile sfogata sul suo corpo ci sta raccontando un’altra storia.

Ripartire dal movente, allora.

"Bisogna riaprire il fascicolo e rianalizzarlo e valutare le eventuali responsabilità di personaggi fino ad ora coinvolti in maniera meno diretta. La famiglia non perde la speranza, ha fiducia nelle istituzioni e spera che questo trentennale possa essere utile a risollecitare la procura a riaprire il caso" ha recentemente detto l’avvocato Mondani intervistata da Valentina Stella per il quotidiano "Il Dubbio".

Speriamo.

Lo dobbiamo a Simonetta, a suo padre Claudio che l’ha raggiunta nel 2005 dopo una vita logorata nella inutile ricerca della verità, a sua sorella Paola che ne rinvenne drammaticamente il corpo senza vita, a sua madre e al suo eterno dolore.


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