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Francesco Schettino, incauta condanna

Quando la disinformazione dei media guida un processo, l’unica a naufragare è la Giustizia.

di Stefania Tiezzi - mercoledì 6 gennaio 2021 - 7265 letture

Solo guardando i telegiornali si può capire che piega prenderà il processo” Alessandro Meluzzi.

Codardo, vigliacco, ignobile, buffone. Battute, derisioni, caricature, fotomontaggi, sberleffi fino all’"incauto idiota" pronunciato dal PM Stefano Pizza (finito recentemente nelle indagini della procura generale della Corte di Cassazione per il suo coinvolgimento nel caso Palamara per presunta corruzione) per riassumere la personalità del Comandante Francesco Schettino della nave da crociera ’Costa Concordia’, naufragata al largo dell’Isola del Giglio la notte del 13 Gennaio 2012.

La distruzione del Comandante Francesco Schettino è stata decisa e portata a termine non solo dalla sentenza impietosa della ’giuria popolare’, quella sgangherata a cui i social danno aria alla bocca e ossigeno ai polmoni, ma dagli stessi tg e talk show trasformati in aule di tribunale che hanno cavalcato l’onda dello sdegno popolare per la tragedia in cui persero la vita 32 persone, imbastendo un processo mediatico fatto di pressappochismo etico e dabbenaggine professionale che emette sentenze su base emotiva, dividendo l’opinione pubblica in tifoseria da stadio tra ’innocentisti’ e ’colpevolisti’ dove la sensazione di simpatia e antipatia diviene unica discriminante e inappellabile la sentenza che ne deriva.

Della rappresentazione mediatica del crimine è stata fatta una pregevole analisi da Fabio Federici, colonnello dei Carabinieri e docente universitario, nel saggio " Il se e il ma delle investigazioni" (Oligo Editore) : "È evidente che un eccesso mediatico danneggi le indagini (...). Nel corso dell’inchiesta, l’informazione "crea pensiero", orientando l’opinione pubblica e, in linea generale, condizionando potenzialmente finanche il libero convincimento del giudice in un senso o nell’altro e, in situazioni più estreme, indirizzando le indagini."

Francesco Schettino sta scontando a Rebibbia la sua condanna a 16 anni di carcere dal 2017.

Francesco Schettino è l’unico a pagare per colpe non interamente imputabili a lui. La responsabilità di quel maledetto ‘inchino’ è certamente sua ma la ricostruzione dei fatti che ha portato alla sua condanna viene smentita da documenti e testimonianze.

Di seguito i punti cruciali che smontano le gravi colpe attribuite al Comandante della Costa Concordia e che ne hanno deciso la condanna.

- Francesco Schettino non abbandonò la nave.

L’abbandono della nave da parte di Schettino è un falso storico. Schettino coordinò l’evacuazione dei passeggeri mediante le scialuppe dal lato destro della nave che stava inclinandosi e solo quando la nave stava rovesciandosi addosso alle lance di salvataggio, saltò sul tetto dell’ultima scialuppa riuscendo a disincagliare i paranchi di ammaino della nave che, inclinandosi, avevano agganciato il tetto di una lancia e addirittura sostituendo al timone un marinaio ’andato in panico’.

Di questo vi sono molteplici testimonianze, audio e video, come quella di un membro dell’equipaggio, Katia Kevanian, che ha ricostruito il momento in cui Schettino sale sull’ultima scialuppa prima che la nave cada addosso a queste rischiando di far precipitare in mare il comandante. L’evacuazione di tutti i passeggeri sul lato destro era stata completata poco prima del rovesciamento della nave sullo scoglio.

Questa circostanza è stata ulteriormente confermata dal Secondo Ufficiale Salvatore Ursino, dal Direttore Macchine Tonio Borghero e dall’Allievo Speciale Stefano Iannelli. Le indagini del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Grosseto confermano la presenza di Schettino fuori dalla nave solo nel preciso istante del ribaltamento.

- Francesco Schettino non scappò abbandonando i passeggeri.

La fuga di Schettino preoccupato solo di salvare se stesso è un’altra menzogna. Francesco Schettino continuò senza sosta a coordinare i soccorsi appena raggiunta la scogliera. Alle 00:27, poiché le motovedette dei soccorsi erano posizionate solo sul lato sinistro della nave e non sul lato destro ormai appoggiato sullo scoglio, il Comandante Schettino contattò la Capitaneria di Porto Santo Stefano per far dirigere i soccorsi anche sul lato terra-mare essendo quello il lato dove erano deceduti alcuni passeggeri e non il lato sinistro.

- L’ordine insensato del Comandante De Falco.

Alle 00:28 Schettino aveva informato il Comandante Gregorio De Falco, della Capitaneria di Porto di Livorno, delle condizioni in cui versava la nave, già coricata sul lato destro, parzialmente inabissata. Anche di questa conversazione vi è registrazione completa. Nonostante questo, alle 1:47 De Falco contatta Schettino in quella che passerà ingiustamente alla ‘storia’ per quel “Salga a bordo, c...o!” come grande prova di responsabilità e fermezza del primo, consegnando il secondo ad un pubblico ludibrio mai visto prima per un uomo accusato di omicidio colposo.

Eppure De Falco commette un errore: ignora le condizioni della nave poco prima descritte da Schettino ordinandogli di risalire a bordo nave dalla biscaggina collocata a destra ( lato inabissato), operazione impossibile poiché questa era in acqua. Video e foto degli elicotteristi la notte del disastro documentano senza ombra di dubbio questa circostanza. La biscaggina emersa era quella sul lato sinistro, quello opposto a dove si trovava Schettino e sarebbe stato impossibile risalire sulla nave al buio senza attrezzatura adeguata e senza una motovedetta che potesse accompagnarcelo.

Non solo. Circa mezz’ora prima della imperiosa telefonata di De Falco, Francesco Schettino aveva ricevuto ordine tassativo da parte del comandante Leopoldo Manna (superiore di grado a De Falco) del Comando Generale delle Capitanerie di Porto di Roma, di restare sulla scogliera perché sarebbe stato il loro riferimento visivo. Anche di questo vi sono prove audio.

- Francesco Schettino non dette in ritardo l’ordine di abbandono nave.

Annunciare l’abbandono nave in mare aperto, mettendosi a censire 4232 passeggeri, sottraendo tempo prezioso alla procedura di salvataggio in una nave che stava imbarcando acqua velocemente e calando scialuppe a così tanta distanza dalla terra, avrebbe comportato un elevato livello di rischio. Schettino, infatti, mediante manovra di ‘scarroccio’, decise di portare la nave verso il basso fondale incagliandola, potendo iniziare la spola delle scialuppe nave-terra, terra-mare effettuando il trasbordo dei passeggeri a soli 200 mt dalla costa, con maggior sicurezza e in un tempo molto ridotto, come confermato anche dalla Guardia Costiera Cosimo Nicastro.

Questa manovra permise di salvare 4200 delle 4232 persone a bordo, tra equipaggio e passeggeri.

32 vittime sono il triste tributo di vite umane pagato per questa tragedia, ma se il Comandante Schettino non avesse guidato la nave verso il fondale più basso, probabilmente il numero dei morti sarebbe stato assai maggiore.

- Errori strutturali della Costa Concordia.

Alcune intercettazioni audio acquisite dai Carabinieri di Grosseto, fra le quali quella tra il comandante delle navi Costa Massimo Garbarino e il dirigente della sicurezza Paolo Mattesi, in cui si deridono le porte stagne “Ma come c...o le autorizzano? La tenuta ce l’hanno come una baderna!”, evidenziano lacune ed errori nel protocollo di sicurezza certificato da Costa Crociere. La nave Concordia imbarcò velocemente acqua a causa della mancata tenuta di due porte stagne, la n.7 e la n.10, che fecero allagare il locale dei motori elettrici mettendo fuori uso importanti dispositivi meccanici e di sicurezza.

Altre intercettazioni di telefonate intercorse tra il legale della Costa Crociere Cristina Porcelli e l’Ispettore tecnico e Fleet Superintendent di Costa Crociere Paolo Parodi, rivelano ‘finte prove mare’ della navi da consegnare con evidenti difetti : “non ha assolutamente manco interesse Costa a fare prove severissime”.

Questi elementi hanno portato il Codacons a rimodulare le accuse contro il Comandante Francesco Schettino.

L’ “impazzita aspettativa mediatica”, sempre citando Fabio Federici, ha orientato il processo ignorando la documentata realtà dei fatti.

Il tempo del processo nelle aule di giustizia è inesorabilmente finito” continua Alessandro Meluzzi nel saggio scritto con Federici, “e nel momento in cui un evento diventa mediatico allora cambia anche il corso giudiziario” e finisce che non si cerca più il colpevole ma UN colpevole “e non si parla del colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio”.

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