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"Nebraska" di Alexander Payne

Usa, 2013. 110 minuti. Fra dramma e commedia un road movie intimista lungo le strade di Montana e Nebraska

di Orazio Leotta - martedì 11 febbraio 2014 - 6207 letture

E’ ancora possibile fare film senza turpiloquio, violenze, prevaricazioni, risse e tutte le nefandezze che paiono ormai elementi imprescindibili nelle sceneggiature che vanno per la maggiore? Alexander Payne (Paradiso Amaro, Sideways), regista di Nebraska, ci dimostra con questo suo film passato a Cannes (premio per il miglior attore protagonista a Buce Dern) che 110 minuti di una storia in b/n possono essere gradevoli, intensi, intimisti e a tratti divertenti senza ricorrere a slang, effetti speciali o botte da orbi. Il protagonista è il vecchio Woody Grant; convintosi di aver vinto un milione di dollari, si avvia a piedi dal Montana al Nebraska, ove in un ufficio di Lincoln dovrebbe incassare la vincita.

Nebraska-0[1] Naturalmente non c’è nessun premio, si tratta di una mezza truffa in cui col pretesto di un’improbabile vincita intrisa di tanti se.., in realtà ti si vuole propinare dell’altro. Stremato e con la memoria a soqquadro il vecchio viene soccorso da una volante e ricondotto a casa. Uno dei suoi due figli, David, dopo aver cercato di convincere il padre circa l’inutilità del viaggio, lo asseconda, e come per venir incontro a un suo ultimo desiderio, lo accompagna a Lincoln contro il parere della madre e dell’altro fratello.

Ne nascerà un road movie fatto di tante soste, ove i due si conosceranno meglio o forse inizieranno a conoscersi e torneranno più ricchi di prima se non in termini di danaro quanto meno in termini di ricchezza interiore e di affetto. Il figlio scoprirà le scappatelle del padre, le ex avute prima dell’incontro con sua madre, i nemici mai battuti e verso i quali cova una sete di rivincita, i luoghi dell’infanzia, i sogni infranti, perfino il cimitero ove giacciono i suoi avi. Non mancano le gag, come quella in cui David e suo fratello Ross, che nel frattempo li ha raggiunti, volendo vendicare il padre che in gioventù aveva subito il furto di un compressore, si recano nel fienile del presunto ladro e ne rubano uno, salvo poi accorgersi di avere compiuto la sottrazione nel posto sbagliato e da lì la complicata restituzione dell’oggetto. Storie vere, persone comuni, oseremmo dire di strada e con i loro tempi, lontani da modelli hollywoodiani standardizzati.

Un film non urlato, in cui si entra presto in empatia con i personaggi, in fondo desiderosi di riscatto. Il padre, che con quei soldi vorrebbe un futuro migliore per i figli (lui per se stesso si accontenterebbe di un furgone nuovo e di un compressore), come in un percorso a ritroso nella sua vita vorrebbe cancellare le note negative del suo passato e presentarsi così al cospetto della famiglia come purificato; il figlio è l’erede buono, l’ideale portabandiera dei valori positivi di un padre, spesso etichettato non proprio come irreprensibile e modello da seguire, ma capace sul finire della sua vita di insegnare qualcosa.

Egli, da quest’esperienza, potrà cominciare a dare un senso alla sua vita, migliorarla, proiettandosi a testa alta verso il futuro, come a dire, se mio padre si è comportato da vero padre solo ad a ottant’anni io posso e devo farlo molto ma molto prima. Colonna sonora vagamente folk con sonorità irlandesi. Agli Oscar l’ardua sentenza……


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