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“La Terra Trema”: genesi, evoluzione e considerazioni finali sul film di Luchino Visconti ispirato al capolavoro del verismo “I Malavoglia” di Giovanni Verga

di Orazio Leotta - mercoledì 8 novembre 2017 - 9747 letture

Galeotta fu una cartolina di Aci Trezza ricevuta da Luchino Visconti e speditagli dal padre del regista Gianni Puccini, che aveva personalmente conosciuto Giovanni Verga. Il regista milanese rimase incantato da quel paesaggio tanto che nel 1941 volle visitare quei luoghi. Sicilia di cui tanto aveva sentito parlare dai genitori, Don Giuseppe Visconti e Carla Erba (una delle coppie più in vista dell’aristocrazia milanese), che si erano distinti tra i primi soccorritori all’indomani del terremoto di Messina: lei in uniforme da crocerossina, lui con un’autoambulanza privata che trasformò in un efficientissimo ospedale.

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Abituato agli scenari paesaggistici lombardi e al rigore delle letture del Manzoni, quel mondo primitivo e ciclopico dei pescatori di Aci Trezza lo proiettò in un mondo fantastico, quasi epico; la Sicilia dovette apparire agli occhi di Visconti come un’isola intrisa di avventure, di passioni, di miti, come fosse una location possibile e probabile dell’Odissea. Fu allora che Luchino pensò di fare un film sulla gente di Sicilia, sui pescatori in primis ma anche sui contadini e sugli zolfatari. Il film che ne verrà fuori, distribuito nel 1948 e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, si chiamerà infatti “La Terra Trema”, sottotitolo “Episodio del Mare”. Chiara l’intenzione del regista di voler procedere a dei seguiti, a una trilogia nella fattispecie, facendone seguire uno sulle condizioni di lavoro dei contadini e un altro sui minatori delle zolfatare. Ma gli ultimi due progetti rimasero sulla carta e non furono mai realizzati. Già nel novembre del ’47 Visconti giunse in Sicilia per i sopralluoghi e vi si fermò circa sei mesi fino a primavera inoltrata. Non ottenne finanziamenti da alcuno, solo il Partito Comunista credette all’iniziativa e lo aiutò con tre milioni di lire (secondo Antonello Trombadori i milioni furono sei).

Per portare avanti la sua idea di film arrivò a vendere beni di famiglia (quadri in particolare) e talvolta organizzava una colletta all’interno della troupe stessa. Di essa facevano parte anche Francesco Rosi e Franco Zeffirelli (aiuto registi) e G.R. Aldo, uno degli operatori più affidabili del tempo. Visconti era sempre più ammaliato dalla realtà che stava vivendo: case bianche, barche in secca sulla spiaggia, umiltà domestica, cielo che sembrava toccare il mare, volti segnati dal sole e dalla salsedine. Per il film ben presto pensò di ricorrere al dialetto siciliano così come usciva dalle bocche dei protagonisti: chiuso e stretto tanto da sembrare vecchio di cento anni, immodificato nonostante l’incedere dei tempi. Il film doveva essere quanto più realista possibile: verità pura e senza inganno. Pertanto niente veri attori e niente montaggio prestabilito. I pescatori, non essendo attori professionisti e non patendo pertanto la vicinanza della macchina che li riprendeva (molti di loro non si rendevano conto di cosa stava accadendo, il concetto stesso di film non era ben chiaro a tutti) venivano sollecitati dallo stesso Visconti a essere spontanei, a improvvisare, a esprimersi liberamente nel lorodialetto nel contesto di una sceneggiatura non del tutto definita.

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Ad esempio, Visconti prendeva i due fratelli protagonisti e diceva a uno dei due: “Ecco, la situazione è questa. Avete perso la barca, siete nella miseria, non avete più da mangiare, non sapete più che fare. Tu vuoi andartene ma sei troppo giovane e lui vuole trattenerti. Digli ciò che ti spinge lontano da qui”. Ed egli rispondeva sinceramente e Luchino annotava tutto (…perché ci trattano come bestie, non ci danno niente, io voglio vedere il mondo etc…). E rivolgendosi all’altro fratello: “e tu cosa diresti a tuo fratello per trattenerlo, a un tuo fratello vero?” Ed egli, già con le lacrime agli occhi come se si trattasse di un fratello vero: “…se vai oltre i faraglioni ti travolgerà la tempesta”. Il tutto detto naturalmente in siciliano con una cadenza e con un ritmo che alle orecchie di Luchino sembravano risuonare come un idioma greco. Ecco i dialoghi nascevano così; il maestro forniva la traccia e gli attori apportavano le idee, le immagini, le colorature. Ne venne fuori un film della durata di circa tre ore, interpretato da pescatori autentici, che parlavano un dialetto incomprensibile ai più. Visconti e i suoi stretti collaboratori difesero a denti stretti il film così com’era venuto fuori impuntandosi contro i distributori che insistevano circa il taglio di diversi spezzoni. La Terra Trema fu il frutto di anni di riflessione e di preparazione.

Un film corale, un’opera che molte generazioni hanno veduto nelle cineteche e che uscì nel periodo più creativo del cinema italiano (anche Ladri di Biciclette fu distribuito nel 1948). Il suo realismo è regolato da una rigida disciplina. Per esempio, lo sconfitto pescatore ‘Ntoni non chiede aiuto né ai sindacati né ai partiti politici. Nel film non si accenna nemmeno all’esistenza di qualsivoglia istituzione perché in effetti nell’isola di fatto non ve ne erano. Convinto che la rivoluzione fosse vicina, nella Terra Trema Visconti volle mostrare le condizioni di perpetua umiliazione in cui viveva il proletariato siciliano. La trama è fondamentalmente quella dei Malavoglia: la lotta di una famiglia di pescatori che trae il suo sostentamento da un mare ostile. Ma il tono pessimistico e fatalista di Verga, per il quale la vita della famiglia è governata dalla necessità, non ha riscontro nel film. Sia nel libro che nel film i pescatori sono sconfitti, ma mentre nel romanzo di Verga il nemico è il mare, nella Terra Trema è lo sfruttamento da parte di altri uomini. Non avendo il piccolo capitale necessario per comprare una barca, i pescatori sono costretti ad affittarla dai grossisti.

I Valastro cercano di sfuggire a questo sfruttamento, ipotecando la casa; ma una notte sono colti dalla tempesta e perdono la barca. Nel film, Marx prende il posto di Verga quando ‘NtoniValastro prende coscienza della propria condizione e, disgustato dal prezzo miserabile offerto dai grossisti per la pescata della notte, si mette alla testa di una rivolta tra i pescatori. I grossisti chiamano la polizia e ‘Ntoni viene arrestato. Al termine, il protagonista parla a una bambina, ed è in queste parole che si articola il messaggio del film: la necessità dell’azione collettiva. Le immagini delle donne vestite di nero contro il cielo impietosito, dei volti rugosi, arsi dal sole e dalla salsedine, chiusi in una pena che non ha espressione, hanno fatto paragonare il film di Visconti a Que Viva Mexico! Di Ejzenstejn e a The Man of Aran di Flaherty. Presentato al Festival di Venezia, La Terra Trema ebbe scarso successo (solo il contentino del Premio Internazionale per i valori stilistici). Quasi tutta la stampa l’attaccò e i politici accusarono Visconti d’infangare il nome dell’Italia all’estero, mostrandone le miserie e le ingiustizie. Ma nel resto del mondo il film fu salutato come un capolavoro.


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