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Poor Things – Povere creature

Povere creature! (Poor Things, 2023) / regia di Yorgos Lanthimos ; interpreti: Emma Stone, Mark Ruffalo, Willem Dafoe, Ramy Youssef e Jerrod Carmichael ; sceneggiatura Tony McNamara, soggetto dal romanzo di Alasdair Gray ; produttore Yorgos Lanthimos, Ed Guiney, Andrew Lowe, Emma Stone ; montaggio Yorgos Mavropsaridis. - Stati Uniti d’America, Regno Unito, Irlanda, 2023. - 141 min.

di Evaristo Lodi - venerdì 2 febbraio 2024 - 2060 letture

Un sogno, una vivida immaginazione che possa cogliere, come sotto il microscopio, tutti gli aspetti della nostra vita, inondati da una grande confusione generata dai mille rivoli delle nostre civiltà debordanti. L’opulenza generata dal capitalismo ci vomita addosso tutte le cicatrici, i tumori, le degenerazioni che in questi due secoli e mezzo l’umanità è riuscita a generare.

«Ma poiché sei tiepido – cioè non sei né freddo né caldo – sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla!” ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo» [1].

Sembrerebbe il promettente inizio di un saggio apocalittico e invece sono le suggestioni provocate dalla visione di un film che è nelle sale: Poor Things che, la traduzione italiana ribalta in Povere creature: la versione italiana sembra voler puntare l’attenzione su noi stessi, sulle creature viventi con uno sguardo, a tratti, misericordioso verso gli abitanti del pianeta.

Il pluripremiato regista greco Yorgos Lanthimos ha creato un cast che dire eccezionale, sembra essere riduttivo. Tutti gli attori esprimono il meglio di loro stessi in un’atmosfera surreale venata di nostalgia. Oltre agli strepitosi protagonisti, su cui non mi dilungo, ci sono delle vere e proprie perle: dall’eclettica Kathryne Hunter [2], la tenutaria del bordello parigino, a una rediviva Hanna Schygulla a cui il regista sembra regalare un cameo struggente ed autobiografico ma di gran classe, quasi fosse un omaggio al tempo che fu.

A che genere appartiene questa pellicola? Stando a Wikipedia si tratta di un genere composito: sentimentale, fantascienza, commedia, erotico. In pratica sfugge a ogni catalogazione anzi aggiungerei azione, horror e crime, a patto di non aumentare a dismisura la confusione in chi ha intenzione di assistere a questo affascinante spettacolo. L’età vittoriana regna incontrastata e questo ambiente suggerisce molte suggestioni che oggi sembrano minacciare la natura umana tout court.

I rimandi e le citazioni strizzano l’occhio allo spettatore, quasi volesse mostrarsi come una pellicola esaustiva di un malessere generale che ci pervade. Le analogie con il Frankenstein di Mary Shelley (1818) sono troppo scontate (compreso il cognome del padre, “Godwin”, lo stesso del protagonista maschile di questo film) e quindi sarebbe meglio ricordare Frankenstein Junior (Mel Brooks, 1974). La lobotomia finale vuole ricordarci il sessantottino Il pianeta delle scimmie (Franklin J. Schaffner, 1968) ma oggi, la mancanza di speranza lascia il posto all’illusione che la scienza possa essere in grado di frenare la pazzia militarista che accampa pretese su Bella (Emma Stone), anzi su Veronica. Il generale sfodera il suo revolver a ogni piè sospinto, convito di poter cadere vittima delle proteste della sua servitù fino a ferirsi maldestramente a un piede, motivo scatenante della sua fine. Il rimando a chi è ossessionato dalla mancanza di sicurezza sociale sembra scontato, ma è impossibile che la scena surreale sia stata ispirata, al regista greco, dalle vicende italiche accadute alla festa dell’ultimo capodanno. Queste hanno coinvolto molte figure pubbliche, di cui stranamente non conosciamo ancora bene le dinamiche. Speriamo solo che la persona ferita non debba subire la stessa fine del generale pluridecorato.

Le altre povere creature che attraversano il film di Lanthimos sembrano tutte fuoriuscire dall’Isola del dottor Moreau (H.G. Wells, 1896) ma non con quella cupezza latente descritta dal primo vero scrittore di fantascienza anzi con una ironia e spensieratezza che sortisce dai versi degli animali transgenici ma anche dalle parole ossessive e ripetute, per quanto infantili, di Felicity: “Bella, … Troia”.

I viaggi della protagonista sembrano racchiudersi in un anello d’oro (oggi non più di moda perché tradirebbe una nostalgia zarista) che da Londra conduce a Lisbona per passare ad Alessandria d’Egitto, quindi a Parigi e per fare ritorno alla casa dello scienziato, Dr. Godwin ( Willem Dafoe). A me hanno ricordato, da un lato, la fantasia esilarante de Le avventure di Tintin (Steven Spielberg, 2011), dall’altro la magica atmosfera di alcuni momenti felliniani ispirati al senso di impossibile evasione dalle regole sociali di (1963), o alle ormai mitologiche scene di sfrenato onanismo di Amarcord (1973).

Le città fantastiche, mi verrebbe da dire invisibili, che fanno da sfondo a una spietata denuncia sociale dei nostri tempi sembrano quasi galleggiare in un’ovattata spensieratezza forzata che fa da cornice all’iniziazione sessuale di Bella. Una formazione precoce che costringe la protagonista a tuffarsi nella vita senza preoccuparsi delle sovrastrutture che ci costringono a seguire delle regole basate sul passato e che ci ingabbiano nel subire le scelte di pochi, non certo tese a offrire un mondo migliore alle nuove generazioni. Non a caso il sesso procura un piacere intenso solo quando si svolge in un alcova del bordello ma non per merito di un cliente, quanto piuttosto di una collega di colore. Il piacere della masturbazione trova la sua maturità in un inaspettato rapporto lesbico, connotato da una sintonia politica che resta accessoria, sullo sfondo di una società decadente e colpevolmente indifferente alla realtà. In fondo, non si discosta per niente dalla concreta immagine dei nostri giorni.

Poi Bella scopre i poveri e ne rimane profondamente commossa fino a compiere l’insano gesto di affidare tutto il denaro del suo possessivo padrone a due sconosciuti che le promettono di elargirlo a favore dei bambini diseredati che muoiono ogni giorno sulle strade della vita, assassinati dall’ingordigia e dall’indifferenza di tutti noi che ci siamo lasciati soggiogare dello sterco di satana. Sembra essere un atteggiamento infantile ma, in realtà, è una scelta razionale dettata dalla condivisione del dolore e dalla compassione, nell’accezione più profondamente cristiana che si possa immaginare.

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Locandina italiana di Povere creature

A vedere queste immagini e ad ascoltare le battute che gli attori pronunciano mi è venuto spontaneo pensare a tutte le pubblicità che ci chiedono di donare del denaro: per i bambini denutriti, per quelli vittime delle guerre, per quelli malati, per quelli vittime delle catastrofi ambientali. E poi inorridisco al solo pensiero di lasciare del denaro, dopo la mia morte, ai bambini che non hanno mai avuto la possibilità di vivere una vita agiata come la nostra. L’imperativo è categorico: non quello che il mondo, lo stato, fa per te ma quanto tu puoi fare per migliorare il mondo, lo stato.

A pensarci bene, anche noi siamo profondamente infantili a elargire il nostro denaro in favore dei miseri quando tutti gli stati, poveri e ricchi indistintamente, si preoccupano di spendere il loro denaro in armi ed eserciti, sbandierando sotto il nostro naso la favola della difesa del territorio e della sicurezza. Quella difesa che permette al potere di sterminare bambini e persone inermi ogni giorno, ogni minuto che trascorre, lontano dalla nostra vista e che ci costringe a immergere le nostre coscienze nell’oceano dell’indifferenza.

Quindi, a chi affidarci? Con uno stratagemma ormai consolidato a Hollywood ma anche sbarcato sugli scenari delle produzioni cinematografiche e televisive del bel paese, lo sport di salvare il mondo è stato pudicamente affidato alle nuove generazioni. Non mi dilungo sugli innumerevoli esempi d’oltreoceano, uno su tutti, la serie TV “Stranger Things”. Faccio quindi riferimento a pochi esempi nostrani che mi sembrano significativi: La terra dei figli, Claudio Cupellini, 2021; Io capitano, Matteo Garrone, 2023 e una serie televisiva, non particolarmente interessante, Noi siamo leggenda, Carmine Elia, 2023.

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Emma Stone in Poor things, 2023

In ogni caso, Poor Things, questo capolavoro assoluto del cinema contemporaneo, ha il pregio di cogliere molti aspetti della nostra quotidianità anche se noi ci ostiniamo a nascondere le nostre responsabilità, oltre ogni limite di decenza. Siamo preoccupati di salvaguardare le nostre scatole-rifugio, siano esse la casa, il mezzo di trasporto o il luogo di lavoro. Bella invece accetta di osservare queste prigioni con occhio infantile e questo le permette il disvelamento di ogni sovrastruttura. Emma Stone, superata la fase adolescenziale, si tuffa nella lettura e nello studio, dimostrando a se stessa di essere in grado di raggiungere qualsiasi obiettivo. Il suo traguardo di diventare medico, le consentirà di proseguire la strada di Willem Dafoe, il suo creatore, e di cercare di trovare nuove tecniche di miglioramento della nostra vita, almeno per quelli che se lo meritano, per quelli che non hanno ridotto il Tamigi a un cimitero galleggiante di pesci.

L’intelligenza artificiale potrebbe essere una di queste tecniche, un appiglio a cui aggrapparci prima di affogare per sempre. La speranza però fa capolino nell’ultimo brindisi di Bella. Il suo sorriso sembra sereno e di buon auspicio. Speriamo davvero che lo sia e che non sia venato di cinismo altrimenti dovremmo preoccuparci molto di più di quello che stiamo facendo. In futuro, speriamo di non doverci definire sconsolatamente delle Povere Creature.

[1] Apocalisse 3 (16-18). Bibbia, progetto e direzione Enzo Bianchi, volume III°, Torino, Einaudi, 2021

[2] Di origini greche, fra l’altro interprete di Harry Potter e l’Ordine della Fenice, David Yates, 2007 e The Tragedy Of McBeth, Joel Coen, 2021


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