segnali dalle città invisibili
  Giro92 Il Ponte di Messina: dibattito
6. Le critiche degli urbanisti

Il recente parere favorevole del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici non ha risolto -ed in alcuni casi nemmeno sfiorato- le questioni ricordate nelle pagine precedenti; fornendo peraltro le medesime non risposte già contenute nel progetto e nel Sia del proponente, seppure pedantemente arricchite da motivazioni riguardanti ambiente, urbanistica e sviluppo economico che vanno oltre la "vuota retorica" e travalicano spesso nel puro ridicolo: per esempio la pretesa del prof. Brown, esimio costruttore di infrastrutture, che si improvvisa pianificatore e ribalta la logica che lega domande territoriali e attrezzature, sostenendo che "tutti i piani urbanistici dell'area vanno riformulati in rapporto al progetto del Ponte "così cancellando la complessità di problemi per cui un piano è pensato e trovando pure eco, quanto meno incauta, in qualche amministratore locale.

Gli ingenti investimenti sostenuti, i progetti più o meno assemblati, i pareri costruiti nel tempo non rispondono ad una domanda elementare: perchè si dovrebbe realizzare un'opera con tali ingenti implicazioni? L'unica risposta in grado di cogliersi nella monumentale documentazione del ponte è giocata sul piano dell'organizzazione dei trasporti e ribadisce quanto si è sempre detto nell'ambito dei collegamenti stradali e ferroviari, non tenendo peraltro conto che, dal tempo delle prime proposte ad oggi, si sono realizzati o ampliati nelle regioni interessate sette aeroporti ed una decina di porti e soprattutto che, date le tecnologie attuali e quelle prossime future, l'acqua e l'aria, come la terra, diventano infrastrutture di trasporto: quelli che un tempo erano elementi razionalizzatori ed ottimizzatori di un sistema di trasporto possono allora diventare nel prossimo futuro pericolosi elementi di congestione, pesanti colli di bottiglia. In questo senso vanno analizzate le nuove forme di trasporto in relazione alle prossime tipologie infrastrutturali.

Gli unici elementi di qualche valenza - nel progetto, come nel parere - riguardano la costruibilità: ciò non sorprende guardando alla composizione dei team che hanno elaborato e "valutato" la documentazione, con dominanza quasi assoluta di tecnici delle costruzioni e delle infrastrutture. Ciò che sorprende è lo snaturamento della funzione istituzionale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che nel caso del parere al progetto del ponte doveva verificare gli aspetti tecnici, economici, ambientali e territoriali ed invece - come qualsiasi tecnico o studioso pure disattento può cogliere- ha prodotto un documento giustificativo, teso a legittimare l'operazione.

In un documento diffuso di recente un gruppo di Urbanisti e Territorialisti, in gran parte aderenti ai coordinamenti di ricerca CNR e MURST diretti da Alberto Magnaghi, ha chiesto che si cancelli definitivamente il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera di devastante impatto ambientale, inutile per l’assetto del sud e poco sensata rispetto alle dinamiche economiche e territoriali in atto.

"Il dibattito sviluppatosi nei mesi scorsi ha infatti messo in luce i grandi rischi e gli scarsissimi vantaggi dell’operazione, al di là degli stessi dubbi sulla sua realizzabilità, legati alla sismicità, al costo eccessivo ed alla fragilità delle ipotesi di autofinanziamento.

Perché si dovrebbe costruire un’opera con tali pesantissime implicazioni sull’ambiente? Le argomentazioni sono tutte contrarie al progetto.

Dal punto di vista urbanistico la conurbazione forte di Reggio e Messina attorno a un’attrezzatura così pesante renderebbe insostenibili i livelli di congestione già in atto nell’Area, che tenderebbe a configurarsi come una megalopoli da Quarto Mondo. Laddove l’area dello Stretto può diventare un grande esempio di "città di città", costruita attorno a relazioni attente e intelligenti, ciascuna delle quali deve però ritrovare una propria identità socio-morfologica ed ecologica, in funzione locale e rispetto ai grandi ambiti mediterraneo e continentale.

L’evoluzione della pianificazione territoriale ha evidenziato chiaramente i limiti degli approcci legati alle ‘funzioni ordinatrici e di indirizzo delle grandi opere’: le infrastrutture devono servire l’assetto e lo sviluppo, non determinarlo. Come si fa allora a proporre nel 2000 un modello di sviluppo basato su una grande attrezzatura infrastrutturale, fra l’altro in un Mezzogiorno piagato dagli storici fallimenti dei ‘poli di sviluppo’, industriali e infrastrutturali? E ancora, dal punto di vista occupazionale, cosa succederà quando i cantieri, che pure forniscono lavoro temporaneo per alcune migliaia di persone, chiuderanno? Il Sud è pieno di bacini di crisi da disoccupazione di ritorno. Con la pesante aggravante che, a regime, l’opera renderebbe superflui almeno i 2/3 degli attuali addetti ai traghettamenti.

Per quanto riguarda l’economia della realizzazione va ricordata l’analisi costi-benifici recentemente conclusa da esperti del Ministero dei Lavori Pubblici, che, pur assumendo parametri prudenziali, con basso peso delle variabili ambientali e territoriali e ipotesi alte di flussi di traffico, è risultata nettamente negativa per l’opera. (A. Magnaghi et al., 1998).

Il documento prosegue ricordando il "devastante" impatto ambientale e l’obsolescenza di un sistema di trasporti, legato esclusivamente al ponte a fronte del sistema integrato portuale realizzabile nell’area dello Stretto.

In conclusione sottolinea che "A fronte di tali critiche, i sostenitori del progetto si aggrappano ormai a posizioni fantasiose, talora esilaranti, abbandonando ogni senso del ridicolo. Si invocano infatti i grandi scenari di trasporto intercontinentale, proponendo però la singolare soluzione basata sulla contiguità terrestre e sulla continuità fisica tra Sicilia e Calabria prevista dal progetto (secondo il sottosegretario Pino Soriero, per esempio, per andare da Stoccolma a Tunisi o da Marsiglia ad Algeri... sarebbe utile il ponte sullo Stretto! Forse pensa ad una "campata unica" tra la Sicilia e la Tunisia). Nel prossimo futuro serviranno invece opzioni corrette per le relazioni di mobilità alla grande scala, necessariamente legate ad intermodalità, rottura di carico ed uso dei vettori marittimi ed aerei o semplicemente spostamenti virtuali di merci immateriali come informazioni, finanze, conoscenza.

Ancora si riconosce l’insignificanza di ipotesi di sviluppo territoriale-infrastrutturale legate all’opera, ma la si invoca ugualmente come richiamo turistico.

Il Ponte sullo Stretto è opera poco sensata, come le residue motivazioni che pretendono di avallarlo: il progetto è a sua volta residuo di una concezione quantitativa ed illimitata dello sviluppo e di onnipotenza tecnologica che ha già rivelato devastanti risvolti di esiziale aporia: laddove lo Stretto di Messina è invece un mirabile esempio di potenza del limite, che può trovare proprio nell’identità ecologica e paesaggistica i motivi di un nuovo sviluppo umano" (Idem).

 

0. Presentazione.
1. Trasformazioni del territorio nazionale, nuovi scenari di mobilità e domanda di infrastrutture al Sud.
2. La lunga vicenda del Ponte sullo Stretto di Messina.
3. Il territorio e l’area dello Stretto
4. Il progetto del Ponte
5. L'impatto ambientale
6. Le critiche degli urbanisti
7. Riferimenti bibliografici e documentali

Il Progetto
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