Giro92
Il Ponte di Messina:
dibattito
3. Il territorio e larea dello Stretto
Il concetto di "area dello
Stretto" ricevette "decisiva sanzione"
normativa e programmatica nel 1965 con la redazione
e lapprovazione, da parte del Cipe, del
"Progetto 80", il programma economico
nazionale 1971-75, con annesse linee di coordinamento
territoriale. Redatto da unequipe coordinata
da Giorgio Ruffolo e Luciano Barca, esso, proponendo
una funzione riformatrice/redistributiva del piano,
inseriva "Larea metropolitana dello
Stretto di Messina", tra le aree C3, aree
terziarie di riequilibrio e riassetto territoriale.
Lidea poteva farsi risalire
da una parte alla struttura informatrice del programma,
tesa alle relazioni tra ambiti e nuclei "forti"
del paese, dallaltra alla filosofia, che
in quella fase tendeva ad affermarsi, che legava
alla configurazione "a poli" lo sviluppo
delle aree meridionali.
Lipotesi era costituita dalla
creazione di unarea metropolitana che, proprio
per essere formata dalla conurbazione tra le aree
urbane di Messina, Villa San Giovanni e Reggio
Calabria, poteva assumere determinati livelli
di consistenza e solidità nella struttura
economica, soprattutto terziaria, e nellarmatura
urbana.
Un polo di questo tipo sarebbe
stato infatti "altamente suscettibile allinduzione
di sviluppo sociale ed ambientale, creando le
economie di agglomerazione necessarie alla crescita
economica di tutta larea".
Losservazione che venne subito
avanzata rispetto allo scenario prospettato dal
"Progetto 80" era quella di reggersi
su presupposti che, più che da verificare,
erano negati dalle fenomenologie rilevabili negli
ambiti territoriali interessati.
Le relazioni, dirette e indotte,
tra le due sponde erano infatti in evidente declino
a fronte di quelle di esse con i propri ambiti
regionali.
"La giustapposizione critica
di due aree deboli che perdippiù tendevano
ad ignorarsi" si presentava dunque assai
problematica.
Allinizio degli anni settanta,
i documenti di programmazione, di cui le due regioni
si dotavano, sancivano invece la necessità
di ricucire i rapporti di Messina e Reggio con
gli ambiti più dinamici interni alle due
regioni.
Se per la Sicilia nord-orientale
ciò non era altro che la prosecuzione di
linee programmatiche definite in precedenza e
che affidavano al "corridoio" già
citato, Milazzo-Messina-Taormina, il ruolo di
"asse di ridisegno e di sviluppo economico-territoriale",
per la Calabria si era di fronte alla decisiva
novità del primo quadro programmatorio
espresso dalla neonata istituzione regionale.
Il "programma di sviluppo
economico regionale e le linee di assetto territoriale"
redatto nel 1976 dalla Regione Calabria, dintesa
con la Casmez ed il Ministero per il Mezzogiorno
prevedeva la riorganizzazione del territorio regionale
attorno a tre macropoli legati al terziario culturale
(Cosenza con la nuova università), al terziario
amministrativo (Catanzaro con lattribuzione
degli uffici della Regione) ed al secondario (il
Reggino con larea industriale di Gioia Tauro).
Dell"Area dello Stretto"
non cera sostanzialmente traccia in quel
programma. Va sottolineato che il quadro prospettato
di una serie di terminali attrezzati per il trasferimento
di capitale fisso dallesterno e per una
loro presunta utilizzazione a scala locale, anche
in una logica di forte interazione interregionale,
fu sostanzialmente rispettato anche nei successivi
piani di adeguamento. Anche a fronte di evidenti
riduzioni di prospettiva e di ambito delle azioni,
che dovevano tener sempre più conto dei
fallimenti delle politiche di industrializzazione
e di infrastrutturazione proposte per la Calabria,
come peraltro per il resto del Mezzogiorno.
La programmazione regionale calabrese,
analogamente a quanto previsto da quella siciliana,
ha continuato quindi a proporre visioni del territorio
regionale caratterizzate da relazioni soprattutto
interne, seguitando ad attribuire peso molto relativo
alla "città dello Stretto". La
fase più recente della pianificazione regionale,
sia in Calabria che in Sicilia, segna in qualche
modo una svolta rispetto a questo. Sia la proposta
di piano territoriale di coordinamento regionale
della Calabria che lipotesi di piano di
sviluppo della Sicilia presentano nuove aperture
verso il concetto, che sembrava definitivamente
abbandonato, di area dello Stretto. Ciò
peraltro non appare giustificato quale elemento
decisivo nè dalle politiche regionali attuali,
nè dalle scelte della pianificazione locale,
tantomeno dalle tendenze in atto nei territori
interessati.
Anche alla scala locale, infatti,
la pianificazione esistente (invero assai poco
cogente rispetto alle pratiche territoriali) sembra
essere informata poco o punto dall'idea della
realizzazione dell'"area dello Stretto".
E' vero infatti il Prg, tuttora teoricamente vigente
di Reggio Calabria a trovato quasi un ventennio
addietro (1975), era incentrato sugli indirizzi
del "progetto 80" ed assumeva quindi
la necessità di conformare il nuovo sviluppo
urbano alla conurbazione con Villa San Giovanni
e Messina; va tuttavia ricordato che tale strumento
è stato assolutamente non attuato se non
per parti circoscritte e non rilevanti, ed è
stato quindi stravolto dalle dinamiche effettivamente
realizzatesi.
Recenti studi effettuati da differenti
gruppi di lavoro, anche dell'Università
di Reggio Calabria, anche in vista di una possibile
revisione e rifacimento del Prg, sottolineano
invece l'esigenza di ricuciture e di riqualificazione
ambientale dell'ambito urbano di Reggio, da realizzarsi
attraverso operazioni di riprogettazione ambientale
interne al campo, nonchè di rilancio delle
relazioni con le aree montane interne. Per quanto
riguarda Villa San Giovanni gli strumenti urbanistici
hanno sostanzialmente sempre confermato gli indirizzi
prospettate fin dagli anni settanta da Giuseppe
Samonà, tesi alla definizione delle caratteristiche
morfologiche ed ambientali della struttura lineare
della città, in un quadro che sottolineava
più le distinzioni che gli elementi di
continuum sia sulla terraferma, con Reggio Calabria,
che verso il mare e quindi con l'altra sponda
dello stretto.
Anche per la città di Messina,
l'ultima edizione del piano urbanistico rivede
decisamente i criteri definiti precedentemente,
che assumevano la possibile realizzazione dell'area
integrata dello stretto quale elemento caratterizzante
il disegno urbano. Il piano attuale, viceversa,
muove dall'esigenza di riqualificare, dall'interno,
la struttura urbana e di riproporre relazioni
equilibrate tra i diversi ambiti e con le attrezzature
e le strutture portuali di rilievo (tra cui non
è necessariamente previsto l'attraversamento).
Gli ultimi indirizzi relativi agli
strumenti di pianificazione delle città
dello stretto sembrano peraltro cogliere, in misura
accettabile, le problematiche presentate oggi
dai territori interessati.
L'obsolescenza dell'idea di area
dello stretto, almeno nella sua originale formulazione
di "forte conurbazione metropolitana",
costituisce quindi anche una conseguenza delle
dinamiche evolutive e dei nuovi temi oggi individuabili
nel contesto.
Come si accennava, è diffusa
nelle varie parti dell'area, la domanda di riqualificazione
e di recupero ambientale. Questo sembra oggi di
poter muovere da una individuazione di alcune
"formazioni territoriali", produttive
ed insediative, tuttora consistenti che possano
favorire la riprogettazione dei diversi ambiti
ritrovando però il significato di un disegno
urbanistico che si incentri nuovamente sui valori
e le ecologie del territorio. Questa domanda di
progetto "a grana più fine" non
sembra potere interessare tanto "l'area dello
stretto", come ambito "assolutamente
integro", quanto con modi necessariamente
distinti, le relazioni tra le sue diverse parti.
Anche in aree contigue le cui inferenze resteranno
notevoli, per qualità e dimensioni, il
senso del disegno territoriale deve dunque ricercarsi
in un sistema capace di relazionare, non di negare
le differenti caratteristiche dei diversi contesti.
Di recente le conclusioni della
già citata ricerca nazionale Itaten, ha
aggiunto ulteriori spunti critici al concetto.
Le conclusioni dello studio sottolineano
che grossa parte dell'attuale degrado ambientale
è rapportabile agli effetti di congestione,
economica ed insediativa, registratasi nelle ultime
fasi sia nell'area direttamente interessata, che
nei centri più grossi delle regioni Calabria
e Sicilia. Ne potrebbe conseguire che la realizzazione
di una macrostruttura come il ponte tenderebbe
ad esasperare tali tendenze, specie nell'intorno,
con effetti affatto diversi dalla "funzione
ordinatrice delle grandi opere", dichiarata
dai programmi originari.
L'endemica debolezza della gestione
urbanistica acuirebbe ulteriormente gli effetti
"di richiamo" della macroinfrastruttura
con ulteriore degrado e dissesto irreversibile
del territorio.
L'accordo di programma siglato
nel 1990 dai tre comuni interessati, d'intesa
con le due provincie e le due regioni, parla di
necessità di riequilibrio dei rapporti
fra le diverse parti del territorio interessato
e con l'esterno. Esso individua nell'integrazione
del sistema dei trasporti uno strumento di questo,
da realizzarsi però con attrezzature tali
da favorire e non negare la valorizzazione del
territorio e del paesaggio.
LArea dello Stretto, in definitiva,
per sfruttare le enormi potenzialità dettate
dalla sua posizione nel Mediterraneo rispetto
alle dinamiche previste nelle prossime fasi, deve
evitare il rischio di trasformazioni in una "
megalopoli del sottosviluppo", insensata,
degradata e congestionata, ed invece proporre
una "rete di città" fortemente
interrelate ma capaci di ripresentare identità
proprie ed alti valori socio-morfologici ed ecologici.
0. Presentazione.
1. Trasformazioni del territorio
nazionale, nuovi scenari di mobilità e
domanda di infrastrutture al Sud.
2. La lunga vicenda del Ponte
sullo Stretto di Messina.
3. Il territorio e larea
dello Stretto
4. Il progetto del Ponte
5. L'impatto ambientale
6. Le critiche degli urbanisti
7. Riferimenti bibliografici
e documentali
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