Venus Noire

Regia di Abdellatif Kechiche. (Francia, 2010, 160 min.) Drammatico Con Yahima Torres, Andrè Jacobs, Olivier Gourmet.
Irrompe il ruggito di Abdel Kechiche sulla 67° Mostra del Cinema di Venezia, ed è un ruggito imperioso, come a voler scaricare una rabbia sopita per la mancata vittoria nel 2007 col suo Cous Cous che avrebbe meritato più di altri il Leone d’Oro.
Il regista francese di origini tunisine ci ha presentato la storia vera di Saartjie Baartman,
domestica sudafricana di etnia Khoikhoi, appartenente al popolo dei Khosan, non molto alta, ma dalle grosse forme (il sedere alto e grosso, le piccole labbra sviluppatissime, chiamate altrimenti “grembiule ottentotto”).
La donna, siamo agli inizi del XIX secolo, viene scarrozzata per gli improvvisati teatrini di Londra e Parigi, ed esibita come fenomeno da baraccone. E’ legata ad una catena, deve simulare di essere aggressiva, deve farsi palpare dagli spettatori paganti ed eseguire gli ordini del “domatore” di turno.
Lo spettacolo ha successo, la compagnia s’ingrossa e le richieste sono tante persino dai bordelli parigini come forma di eccitazione per clienti e signorine. La ragazza è stanca di questa vita, ma viene sempre convinta a restare con la prospettiva di facili guadagni e di un ritorno nella sua città.
Ma anche i medici si interessano a questa donna, per motivi “scientifici” e vorrebbero “ispezionarla” per bene nelle parti intime al fine di studiare aspetti anatomici inconsueti e dimostrare come certe razze di “neri” sono più vicine alla scimmia che alla popolazione europea.
Il rifiuto della donna le costerà caro e la Venera Nera finirà col lavorare nei bordelli e morire di malattia (forse tisi oppure sifilide) a soli 26 anni. Ma neanche da morta avrà pace. Gli studiosi parigini finalmente potranno sezionarla e conservare il cervello e i suoi organi genitali in formalina ed esporli al Museo dell’Uomo di Parigi, fin quando nel 1992, fu Nelson Mandela a pretendere la restituzione dei suoi resti per una degna sepoltura.
Atto d’accusa di Kechiche verso secoli e secoli di colonizzazione europea in Africa, ma vuol essere una riflessione sulla responsabilità collettiva, anche in riferimento all’attuale contesto storico in cui assistiamo alle derive di tanti politici (vedi Sarkozy quando giustifica certe espressioni verbali contro i ROM) con conseguenti manifestazioni razziste e xenofobe.
La Torres, cubana di origine africana, alla sua prima esperienza al cinema, ha interpretato un ruolo molto fisico, ha dovuto imparare l’afrikaans, ha dovuto imparare a ballare ed è riuscita a dare qualcosa di suo a un personaggio storico, in cui doveva emergere la sofferenza interiore di chi al contempo doveva suonare, cantare e ballare, una sofferenza ancora più spiccata nel sapere di essere vista come un essere diverso, subumano, inferiore che suscita disprezzo, paura ed orrore.
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