Un inviato nel cuore del mondo

Nella sua casa tra i boschi dell’Appennino pistoiese, è morto Tiziano Terzani. Dal 1971 ha raccontato, nelle sue corrispondenze e nei suoi libri, quell’immenso universo che si chiama Asia
Di Massimo Loche (Fonte:ilmanifesto.it)
Nota bibliografica:Nato a Firenze nel 1938, dal 1971, per trent’anni, era stato il corrispondente dall’Asia per «Der Spiegel». Aveva collaborato con «la Repubblica» e «il Corriere della sera». Tutti i suoi libri, pubblicati da Longanesi, sono stati tradotti in varie lingue. Il primo, «Pelle di Leopardo» (del 1973 e riedito nel 2000) è il suo diario come inviato di guerra in Vietnam. Nel 1975 è tra i pochi giornalisti presenti a Saigon, un’esperienza raccontata in «Giai Phong! La liberazione di Saigon» (1976). Il lungo soggiorno in Cina, conclusosi con l’arresto per «attività controrivoluzionaria» e l’espulsione, è alla base di «La porta probita» (prima edizione 1985) pubblicato in contemporanea in Italia, Usa e Gran Bretagna. «Buonanotte, signor Lenin» (1992) è invece la testimonianza del crollo sovietico. Del 1995 è invece la prima edizione di «Un indovino mi disse», cronaca di un anno vissuto come corrispondente in Asia senza mai prendere un aereo per evitare il compimento di una nefasta profezia. Nel 1998 esce «In Asia», affresco di un continente cominciando dalle lettere scritte alla moglie Angela dal Giappone, nel 1965. L’11 settembre è invece all’origine di «Lettere contro la guerra» (2002). Nel suo ultimo libro, «Un altro giro di giostra» (2004), aveva raccontato la sua malattia, la ricerca della guarigione sulle rotte dell’amata Asia - dove aveva scelto di vivere - e una riflessione sul bene e il male nel nostro tempo e nella nostra società occidentale.
Lo incontrai la prima volta a Saigon che ancora non si chiamava città Ho Chi Minh. Era il maggio del 1975. L’8 maggio. «Finalmente siete arrivati, era ora» mi disse, e mi abbracciò. E credo che in quel momento diventammo amici. Tiziano a Saigon c’era sempre stato, aveva seguito tutta la guerra e la aveva raccontata a tutti. L’aveva raccontata come pochi avevano saputo fare, con passione e con rigore, andando ovunque, rischiando, per poter dare notizie vere, verificate. «Turandomi il naso per la puzza dei cadaveri, per controllare se una cifra era esatta», come una volta mi disse in polemica con l’approssimazione e l’irresponsabile fantasia di tanti grandi inviati. Negli ultimi giorni della guerra, mentre le divisioni del Nord Vietnam stringevano sempre di più la morsa su Saigon e sul regime filoamericano di Nguyen Van Thieu, Tiziano era stato espulso dal Sud Vietnam verso Bangkok. Mi raccontò la sua rabbia, «mi volevano togliere la gioia di vedere la fine della guerra e di raccontare un Vietnam diverso». Ma a toglierli quella gioia non ci riuscirono. Mentre il caos invadeva Saigon, mentre tutti fuggivano, a poche ore dall’ingresso in città delle truppe di Hanoi, Tiziano era salito su un aereo, unico passeggero in arrivo, ed era tornato a Saigon passando tranquillamente per un aeroporto ormai senza controlli. Un ritorno avventuroso di un uomo «ricco d’avventura». Ma di un’avventura sorretta sempre da uno scopo, da una passione, dall’impulso a cercare la difficile verità. L’avventura che lo ha accompagnato fino all’ultimo, l’avventura della ricerca e dell’uso senza risparmio dell’intelligenza e della passione civile e umana.
Io ero arrivato molto più comodamente da Hanoi, da dove avevo seguito le ultime fasi della guerra come corrispondente dell’Unità. E, dopo quel primo incontro incominciammo subito a litigare, appassionatamente, diventando sempre più amici a ogni litigio. E ce lo siamo ricordati, nei nostri ultimi incontri, un anno e mezzo fa, a casa mia e in un’aula dell’università di Bologna, di fronte a figli e studenti, giovani assetati di conoscere con gli occhi spalancati e orecchie ben aperte.Ma perché litigavamo? È semplice. Io che conoscevo, per la mia esperienza al Nord, anche gli aspetti meno gloriosi della politica dei vincitori, esprimevo dubbi per gli entusiasmi di Tiziano sul futuro democratico del Vietnam. «Sei il solito comunista moderato e cacadubbi», mi diceva «non capisci che questa è una rivoluzione vera?». Io ribattevo che la rivoluzione non era nella testa dell’Ufficio politico di Hanoi, che in fondo l’obiettivo dei vietnamiti era un obiettivo nazionale: unificare il paese e cacciare gli americani. Questo era un loro diritto, per questo erano morti a centinaia di migliaia, ma non ci si poteva aspettare molto di più.
Più tardi, passata l’euforia e l’entusiasmo di quelle giornate di maggio le parti si invertirono. Le vicende amare del dopoguerra difficilissimo del Vietnam furono una delusione per tutti, ma particolarmente per Tiziano. E continuammo a litigare perché io ero preparato a quei cambiamenti, forse impensabili nel maggio del 1975, e lui no. Io trovavo eccessive le sue critiche al Vietnam del dopoguerra e gli ricordavo che i vietnamiti avevano diritto a un paese unito e a cacciare gli stranieri. Ma a forza di discutere, nel corso degli anni, ci trovammo alla fine d’accordo.
Se racconto questo episodio, piccolo nella vita ricca di Tiziano, importante per me, è perché da lui ho imparato quanto sia forte l’entusiasmo accompagnato dall’intelligenza, come la ricerca continua della verità, del senso profondo delle vicende umane, la voglia di scoprire quello che gli altri non ti vogliono dire, siano non solo la linea di condotta fondamentale per esercitare con dignità questa professione di giornalista, ma soprattutto una ricetta di buona vita e di buona morte.
E Tiziano, che ha sempre rifiutato di voler insegnare qualcosa a chicchessia, mi ha insegnato queste cose con la sua vita, essendo quello che è sempre stato: un entusiasta capace di mettersi sempre in discussione, di rivedere le sue posizioni, di aprire un ragionamento nuovo.
La vita di Tiziano, non si può raccontare perché è già stata raccontata, perché lui l’ha raccontata nelle sue corrispondenze e nei suoi libri, sempre in prima persona, ma sempre senza l’insopportabile protagonismo del grande inviato. La prima persona di Tiziano era quella degli occhi che guardano per contro degli altri, dei lettori. E poi di persona pagava, quando c’era da pagare, per raccontare un pezzetto in più di verità. Dalla Cina fu espulso perché il governo di Pechino non sopportava questo corrispondente che non si accontentava delle stantie verità ufficiali e andava a cercare le sue verità pedalando nel paese, «andando a giro», come lui scrive, senza rispettare i confini rigidi delle zone proibite agli stranieri.
A lui dobbiamo una conoscenza più profonda e più vera del Vietnam, della Cina, del Giappone, dell’India, dell’Asia centrale, della Thailandia. Tutta l’Asia ci è diventata familiare e vicina nei suoi libri.
Le conoscenze che ci trasmette sono prima di tutto le sue conoscenze, le sue curiosità inesauribili. Con gli occhi ben aperti, la mente lucida - cogliendo l’occasione di una «profezia» che gli «impone» di non salire su un aereo per un intero anno - esplora il mondo magico e mistico dell’Asia degli indovini e dei santoni. E continua questa esplorazione quando un medico gli annuncia: «signor Terzani lei ha un cancro». Questi viaggi raccontati negli ultimi suoi libri, fanno aggrottare molte sopracciglia. Ma Tiziano mi ha detto: «quando mi chiedono: `o che sei diventato buddhista?’, mi faccio una grande risata». Buddhista no, ma curioso di tutto e sempre pronto ad andare più a fondo nel mistero della vita e della morte sì. E a leggere le sue ultime pagine si ritrova sempre ironia, lucidità, entusiasmi e amarezze, insomma lo spirito fiorentino di Tiziano Terzani.
E proprio queste ultime avventure ai confini della vita e della morte gli hanno permesso di scrivere quelle bellissime Lettere contro la guerra che nascono dalla tragedia dell11 settembre 2001. «Una buona occasione per ripensare tutto», come lui stesso ha scritto. Un libro che gli permette di mettere la sua personale ricerca umana a disposizione di tutti, a comunicare idee e passioni a tutti, a una ricerca più ricca e profonda di cosa significa pace, di cosa significa vivere in questo nostro mondo così terribile e bello, così ricco di angosce e pieno di speranze. E va più in là nell’Ultimo giro di giostra, un libro sulla sua malattia, e sulla sua morte, pieno di gioia, di salute e di vita.
Tiziano ci ha lasciati, se ne andato dalla sua casa dell’Orsigna in mezzo ai boschi dell’Appennino pistoiese, dal posto che più amava. Ho avuto la fortuna di aver passato in quella casa giorni felici, con lui, Angela, i suoi figli, allora splendidi adolescenti, con amici di tutto il mondo coltissimi, tra risa e conversazioni tanto pacate quanto intelligenti, condotte da un Tiziano che anche allora metteva e rimetteva in discussione ogni cosa. Mi piace ricordarlo lì, sul prato della sua casa, che ci dice di cogliere ogni occasione «per ripensare tutto».
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Sono di credo politico opposto a quello di Tiziano Terzani e fermo sostenitore delle tesi di Oriana Fallaci, detto questo sono sinceramente dispiaciuto della morte di uno scittore / giornalista così acuto e intelligente, scoperto leggendo il suo libro " Lettere contro la guerra ". MI ha colpito la pacatezza di quest’uomo,il suo modo così "felice" di parlare di qualsiasi cosa, mi ha dato l’impressione che fosse una persona molto sincera. Il suo volere vivere in mezzo alle montagne, isolato, da solo, a contatto con la natura mi ha fatto sentire molto vicino a lui e lo ringrazio per le emozioni che i suoi libri mi hanno dato.