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“Sisma”: l’approccio accademico alle mafie

Un nuovo protagonista si affaccia sul campo dell’antimafia, la Sisma, acronimo della “Società scientifica Italiana degli Studi di Mafie e Antimafia”.

di francoplat - mercoledì 24 gennaio 2024 - 743 letture

Si tratta di un’associazione che raccoglie studiosi universitari di diverse discipline, impegnati nella ricerca e nell’insegnamento di queste tematiche. Presieduta da Nando dalla Chiesa, sociologo milanese, vede al suo interno alcuni tra i nomi più illustri del panorama universitario nazionale ed esperti del tema in questione: da Enzo Ciconte a Isaia Sales, da Rocco Sciarrone a Salvatore Lupo, da Alberto Vannucci a Giovanni Fiandaca. Alcuni degli intellettuali qui indicati sono stati oggetto di analisi, nei mesi passati, su queste stesse pagine.

Dotato di un proprio sito web – sismastudi.it –, il gruppo di studiosi nostrani, stando alle dichiarazioni di intenti, «promuove l’insegnamento, la ricerca scientifica e la terza missione con riferimento ai fenomeni mafiosi e alle azioni antimafia», non solo in ambito accademico, poiché intende anche «sostenere la crescita di competenze scientifiche e di qualificate attività formative in scuole, amministrazioni pubbliche, ordini professionali e associazioni». Inoltre, «si offre come punto di riferimento per le aree del Paese maggiormente sottoposte all’intimidazione e al condizionamento mafioso».

Un ventaglio ampio di interventi, dunque, non soltanto di natura teorica, com’è nelle corde degli intellettuali che hanno promosso e sosterranno questa iniziativa, ma anche pratico, di supporto a quelle realtà che necessitano di strumenti analitici più adeguati per fronteggiare il fenomeno delle consorterie mafiose. Si pensi, ad esempio, alle pubbliche amministrazioni, alla porosità di un mondo allettante, sempre più allettante per i clan, al quale, forse, gioverebbe una formazione più raffinata, un sapere più adeguato alle vischiosità di un ruolo suadente per corrotti e corruttori. Oppure, si pensi ancora agli istituti scolastici, perno del potenziale esercito di maestre e professori che potrebbero giocare un ruolo importante nella crescita civica di questo sciagurato Paese, ma che difettano di una formazione adeguata, oltre che di una matura promozione, a livello ministeriale, delle tematiche mafiose, non solo occasionalmente, ritualmente – nella celebrazione delle giornate nazionali del lutto e della memoria – ma quali aspetti fissi e definiti del sapere scolastico, moduli e contenuti del programma istituzionale, storiografico innanzitutto.

Del resto, la nascita della Sisma risponde a un’esigenza che, prima di tutto, era ed è propria della stessa accademia. L’università italiana – così come scriveva in un articolo su “Lavialibera” del settembre 2021 Stefano D’Alfonso, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università Federico II di Napoli e vice-presidente della Sisma – difetta di un apporto quantitativamente rilevante di studiosi della materia. «Coloro che si occupano di criminalità organizzata sono appena il 2 per cento del totale dei docenti universitari [circa 1000 su 57000]. Si tratta di una quota marginale, coerente con il carattere di nicchia che ben descrive lo studio del fenomeno mafioso». In questo stesso articolo, D’Alfonso osservava che gli studiosi elaboravano le loro analisi «in solitudine, senza legami con i pochi, per quanto altamente produttivi, centri di ricerca e laboratori impegnati in Italia». Proprio tale solitudine, spingeva lo stesso D’Alfonso, insieme ai professori Alberto Vannucci, Rocco Sciarrone, Nando dalla Chiesa e Gaetano Manfredi, a sottolineare il bisogno di «avviare un percorso di promozione di forme di cooperazione istituzionale nell’accademia italiana».

Da questo terreno critico e propositivo, insomma, nasce la Sisma, oltre che dal riconoscimento, da parte della comunità accademica, della criminalità mafiosa quale «ostacolo alla realizzazione della democrazia e dei principi costituzionali, delle libertà e della dignità dell’uomo» (“Lavialibera, 30 settembre 2021). E nasce non senza un certo piglio polemico, tutt’altro che balzano o frivolo. A parlare è il presidente della Sisma, Nando dalla Chiesa, sulle pagine de “il Fatto Quotidiano” (18 gennaio 2024): «la mafia si sconfigge studiandola». Una frase lapidaria, sentenziosa, coerente con l’attività intellettuale e l’impegno dell’accademico milanese, ma che assume un valore più chiaro quando lo studioso precisa: «certe sentenze balzane che abbiamo visto negli ultimi tempi mostrano quanto meno che i magistrati non studiano questo fenomeno, salvo chi sceglie personalmente di farlo, e quando fanno i processi finiscono per non capirlo. Lo stesso vale per chi lavora nella pubblica amministrazione».

L’affondo diretto di dalla Chiesa è contro le sentenze balzane, ad esempio la bocciatura, da parte del gip, dell’inchiesta della Dda di Milano sul “consorzio” mafioso dedito al controllo di molti affari in Lombardia (se n’è parlato qualche settimana fa su questa rivista). Al di là di questo specifico esempio, la posizione di dalla Chiesa parte dal presupposto che il racconto dei fatti non necessariamente coincida con la comprensione dei fatti e che tale comprensione necessiti di adeguati strumenti analitici, metodologici, contenutistici. Quelli, insomma, elaborati nei laboratori intellettuali delle università, almeno là dove tali questioni sono trattate.

Il presidente della Sisma esprime, almeno così pare di leggere in filigrana, una sorta di amarezza o di fastidio nei confronti di un fenomeno, quale quello mafioso, la cui conoscenza per anni è stata affidata al racconto delle forze dell’ordine, della magistratura, dei media. L’editorialista de “il Fatto Quotidiano” annota che «fino agli anni Novanta le sentenze della magistratura erano l’unica ‘scienza’», mentre oggi lo studio del problema criminale deve allargare le fonti di informazione. Cosa sta dicendo, in sostanza, dalla Chiesa, qual è il punto di vista della Sisma, fatta la tara alle debolezze della stessa accademia? Chi scrive pensa, con qualche dubbio ma in modo non del tutto infondato, che la posizione dello studioso meneghino sia da leggersi all’interno di una peculiarità nostrana dell’antimafia. Quest’ultimo, oggi, pare assorbito, almeno a livello di opinione pubblica, dai magistrati “eroi”, dai giudici in prima linea, dai pubblici ministeri battaglieri e noti al grande pubblico. Con la politica quasi latitante a riguardo, la società civile intiepidita sul tema, la voce flebile, sino ad ora, del mondo accademico – per non parlare di quello scolastico –, la lotta alle mafie pare gravare su un unico agente di contrasto, appunto la magistratura.

Sia detto per inciso. Tra i soci onorari e ordinari della Sisma compaiono, come detto sopra, alcuni nomi al centro di polemiche anche aspre con il mondo giudiziario e con alcune delle tesi importanti elaborate dai magistrati; si pensi, ad esempio, a Giovanni Fiandaca o a Salvatore Lupo piuttosto critici nei confronti della cosiddetta “trattativa Stato-mafia” o verso determinate tesi emerse tra i giudici, come attesta il divario tra Lupo e Nino Di Matteo relativamente alla collaborazione dei mafiosi siciliani con le forze statunitensi al tempo dello sbarco alleato in Sicilia nel 1943. Mentre Lupo ritiene l’episodio poco credibile, il pm gli attribuisce, invece, una legittima fondatezza. Al di là del rilievo non ovvio che le tesi di Lupo si muovono nel suo campo professionale, differente da quello del magistrato palermitano, l’inciso serve, di fatto, a non dimenticare quante tensioni attraversano il fronte antimafia, quali spaccature dividono i mondi chiamati a interrogarsi e a interrogarci sulla criminalità organizzata, a non perdere di vista il problema della complessità della relazione tra i diversi segmenti che compongono l’antimafia.

Si torni al tema centrale. La riduzione della percezione del fenomeno al laboratorio professionale dei giudici, questa quasi esclusiva rappresentazione del dramma mafioso giusta la voce narrante dei magistrati, rappresenta uno degli elementi fondanti del ragionamento di Nando dalla Chiesa. Non è un ragionamento erroneo. Spostandosi d’ambito tematico, quanto è stato proficuo, al tempo del Covid19, leggere quella complessa vicenda attraverso lo sguardo quasi monocorde del mondo medico (epidemiologi, virologi ecc.)? Quanto avrebbe giovato al dibattito pubblico e alla comprensione del problema della salute collettiva un concerto di voci diversificate, dallo storiografo all’antropologo, dal filosofo al letterato, dal sociologo all’etnologo? Il morbo e la sua virulenza interessano tanto il corpo del singolo individuo quanto la concezione di malattia e di salute, tanto le strutture sanitarie da cui il virus è contrastato quanto il concetto di comunità ed etica pubblica, tanto le strategie politiche di gestione della pandemia quanto il piano delle relazioni interpersonali.

Non c’è dubbio che la rilevanza penale delle mafie sia ambito d’appartenenza del mondo giudiziario e dei suoi operatori. E, per evitare di incorrere in fraintendimenti, si sottolinea qui tutta l’ammirazione e la stima per coloro i quali stanno cercando di serrare i ranghi dinanzi alla deriva costituzionale e democratica del nostro Paese attraverso la seria, competente, tenace battaglia nelle aule di giustizia. Ciò non toglie che le parole di dalla Chiesa abbiano un fondamento, che le mafie siano una questione che travalica la dimensione del penale e che investe e interessa la politica, la società, la cultura, la morale, la religione, il senso stesso dell’esistenza di una comunità.

Dunque, sia benvenuta questa nuova faccia dell’antimafia, sia benvenuto un lavoro di alta competenza scientifica che fornisca il proprio contributo, a vario livello, per illuminare le mafie, i loro “dintorni”, le connivenze, i gorghi oscuri della storia del nostro Paese. «La criminalità organizzata è una componente della storia e della società italiana che si fa finta non esista», ha dichiarato ancora dalla Chiesa su “il Fatto Quotidiano”. Un fenomeno così ben silente che la stessa produzione accademica ha stentato a ritenerlo parte integrante e doverosa della ricerca di alto livello, dell’impegno intellettuale dei docenti universitari. È interessante notare, facendo un breve passo indietro all’articolo de “Lavialibera”, come, di fatto, l’interesse per le mafie muova i sociologi – che rappresentano circa il 30% degli studiosi complessivi – mentre lasci piuttosto tiepidi gli storiografi (6,5%) e del tutto freddi i filosofi (0,8%). Segno evidente che anche il mondo intellettuale ritiene o riteneva la criminalità organizzata un epifenomeno, un segmento non rilevante e non suadente, dal punto di vista analitico, della riflessione degli intellettuali, una vicenda marginale, forse ancora legata alla categoria della sottocultura di una parte dei nostri connazionali.

Il prof. Rocco Sciarrone, docente di Sociologia all’Università di Torino, rispondendo ad alcune sollecitazioni di chi scrive circa la Sisma, osserva che «la costituzione di una società scientifica è l’esito del progressivo processo di istituzionalizzazione di questo campo di studi, testimoniato dalla crescita delle pubblicazioni scientifiche e delle iniziative didattiche su questi temi». Una risposta che attesta un graduale mutamento della sensibilità accademica, un interesse che si agglomera attorno a un progetto scientifico – è sempre Sciarrone a parlare – volto a promuovere «in particolare la ricerca interdisciplinare» e, soprattutto, a caratterizzarsi quale «luogo in cui prende forma e viene riconosciuto un sapere esperto sul tema delle mafie e delle azioni antimafia». Un sapere esperto: questo sembra essere il nucleo concettuale forte di questa nuova realtà culturale. Una conoscenza spuntata o imprecisa, per intenderci, crea i presupposti per un’azione malcerta.

Non è possibile ipotizzare quale sarà l’esito del lavoro della Sisma. Quel che è certo è che un’iniziativa del genere pare opportuna e necessaria in Italia, realtà in cui abbiamo impiegato quasi un secolo per scoprire che le mafie esistono e gli ultimi decenni per tornare a pensare che siano scomparse. Un’ultima annotazione. Proprio nei giorni scorsi, il 19 e il 20 gennaio, la Sisma ha dato vita al suo convegno inaugurale dal titolo “L’impegno dell’Accademia italiana in tema di mafie e antimafia» presso l’Università Statale di Milano. Che sia l’inizio di un proficuo lavoro di irrobustimento della nostra comprensione dei fenomeni che hanno dato origine a questa società di studiosi, affinché si realizzi davvero quanto dichiarato programmaticamente, ossia che la Sisma possa garantire «al Paese il patrimonio di conoscenze e di sensibilità di cui esso necessita per fronteggiare adeguatamente il pericolo mafioso». Speriamo, usando scioccamente l’acronimo, che il sisma si faccia sentire, scuotendo coscienze e silenzi interessati o indolenti.


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