Sei all'interno di >> :.: Primo Piano | Mafie |

Il confine incerto tra legalità e illegalità: mafie, Stato e società civile nelle riflessioni di Rocco Sciarrone

"Oggi chi ha a cuore l’antimafia dovrebbe occuparsi di quello che accade nel mondo del lavoro" (Intervista completa a Rocco Sciarrone)

di francoplat - mercoledì 5 marzo 2025 - 512 letture

Mi accoglie nel suo ufficio universitario con il garbo e la disponibilità che gli sono propri. Rocco Sciarrone è disponibile a una chiacchierata sul tema mafioso, a cui ha dedicato e dedica gli studi: è professore ordinario di Sociologia economica presso l’Università di Torino, dove insegna Sociologia delle mafie e Processi di regolazione e reti criminali. Dirige il “Larco” (Laboratorio di analisi e ricerca sulla criminalità organizzata), è delegato del Rettore per il Polo universitario penitenziario dell’accademia torinese, presiede la Sisma – la Società scientifica italiana di studi su mafie e antimafia –, oltre a essere condirettore di “Meridiana” e vicedirettore di “Cambio”. Tra le sue molte pubblicazioni, “Mafie del Nord. Strategie criminali e contesti locali” (2019) e il più recente “Il gioco d’azzardo, lo Stato e le mafie” (2023).

La lunga intervista, per ragioni editoriali, non può trovare posto per intero su queste pagine: si cercherà, quindi, di dare conto dei passaggi più rilevanti del dialogo con l’accademico, lasciando al virgolettato il compito di evitare qualsiasi alterazione del suo pensiero. Una prima domanda è relativa all’esito dei suoi studi, ossia quali ritiene siano stati e siano gli spunti interpretativi più utili relativi alla comprensione della questione mafiosa. Risponde che alcuni dei suoi lavori hanno contribuito concretamente a ridefinire alcune realtà, a riformulare dei problemi e porta alcuni esempi, a partire dai suoi esordi, quando, studiando i rapporti tra imprenditoria e mafie, aveva cercato di individuare delle «linee di distinzione tra chi è vittima della mafia e chi è complice», toccando il tema sensibile del concorso esterno in associazione mafiosa. Quella distinzione e l’importanza di definire quella linea di confine fu colta da Giuliano Turone che citò i lavori di Sciarrone in un importante volume del 1995, riedito, dal titolo “Il delitto di associazione mafiosa”. Accanto a questo, l’accademico ricorda che «a livello di studi [è] stato forse uno dei primi a sollevare l’attenzione, in modo diverso dal passato, sulla presenza delle mafie in aree non tradizionali, ovvero al Nord, quando non se ne parlava». Diverso dal passato nella misura in cui cercò di vedere la presenza delle consorterie mafiose al Nord in un’ottica differente da quella che partiva dalle migrazioni, dal soggiorno obbligato, «quindi non tanto come fenomeno di esportazione, ma come un fenomeno che interrogava il funzionamento delle società di accoglienza, quindi i problemi di funzionamento dell’economia e della politica di queste società». Quelli, cioè, che il professore chiama fattori di contesto, tali da rendere tale contesto «più o meno accogliente e ospitale, più o meno vulnerabile alle mafie».

In relazione agli approdi conoscitivi e alle novità portate dai suoi studi, Sciarrone evoca ancora due categorie concettuali: il “capitale sociale” delle mafie e la “zona grigia”. Quanto al primo aspetto, spiega che «i mafiosi non sono tanto bravi a fare gli imprenditori, sono specialisti nell’uso della violenza, ma poi riescono a costruire reti sociali, questo serbatoio di risorse che usano per diversi scopi». Un tema, questo, che ha portato l’accademico a interloquire con diversi magistrati – la Dda di Reggio Calabria, ad esempio, o quella romana –, che l’hanno ritenuto utile «come chiave interpretativa in alcune indagini». Per ciò che riguarda l’area grigia, Sciarrone spiega che è il tema delle complicità, delle collusioni, per combattere le quali è, innanzitutto, importante capire in che modo tale area si configura. Al di là della complessità di questa categoria concettuale, anch’essa è valsa confronti con altri studiosi, ed è stata presentata e discussa in relazioni tenute nell’ambito della Scuola superiore della magistratura.

A margine della risposta, domando al prof. Sciarrone se zona grigia e “borghesia mafiosa” siano termini sovrapponibili. «Sono due modi diversi, ma complementari di guardare il problema delle collusioni», osserva l’intervistato, precisando che la questione l’aveva affrontata anche con Umberto Santino, a cui si deve il concetto di borghesia mafiosa. Quest’ultima è un concetto più statico, riferibile al rapporto dei clan con le classi dirigenti, mentre l’area grigia è, nell’intendimento di Sciarrone, un concetto più dinamico, perché la configurazione di quell’area può variare; ciò che resta comune è la questione del meccanismo di riproduzione delle mafie, come la mafia si riproduce nel tempo, ossia proprio in virtù «di queste connessioni con l’area grigia».

Un’osservazione, questa, che porta inevitabilmente a un’altra domanda: perché, a suo parere, il fenomeno mafioso ha attraverso per intero le vicende della storia d’Italia? «Quando parliamo di mafia non parliamo semplicemente di una forma di criminalità organizzata orientata all’accumulazione della ricchezza, come altre forme di criminalità, ma è una forma di potere, entrata in rapporti continuativi con i poteri pubblici». Ciò «ha la sua genesi nei processi di formazione dello Stato italiano, nella costruzione dell’ordine pubblico, magari anche antecedenti l’Unità italiana, ma che hanno trovato la massima legittimazione in quel momento storico», ossia a partire dal 1861. Le mafie non sono state un soggetto «che si è contrapposto allo Stato, ma è un soggetto che ha cercato la coabitazione», per quanto ciò sia avvenuto in modo non lineare e in maniera complessa, tanto da sfuggire a facili semplificazioni. Non è la testa dei siciliani fatta in un certo modo ad aver determinato la nascita della mafia, o quella dei calabresi o degli italiani tutti, non è un discorso culturalista, anche se la dimensione culturale è importante. «Ma non è questa la ragione fondamentale della persistenza nel tempo. Io la richiamo di più a dinamiche di potere e di assetti istituzionali, la correlo a come le istituzioni si sono configurate, a come nel nostro Paese non si è mai costruita una piena definizione della sfera della legalità, in opposizione all’illegalità». Ci sono mille esempi, in Italia, in cui legale e illegale si confondono, si compenetrano, l’economia sommersa ampia, l’economia illegale ampia. Da noi, non c’è maggior illegalità rispetto a Paesi vicini e a noi simili: «il processo è di tipo diverso. Noi abbiamo una commistione tra legale e illegale». In questa nebulosa le mafie si sono abilmente infilate.

Ma, tiene a precisare l’accademico, alle continuità dobbiamo affiancare le discontinuità. Se è vero che le mafie persistono, è anche vero che «oggi non è più messo in dubbio il carattere criminale della mafia». Inoltre, «è cambiata la dimensione di questa coabitazione, che prima, per usare un’espressione sintetica, era più politica, mentre oggi la ritroviamo più nella sfera economica; la politica, oggi, è meno rilevante». Non che prima non ci fossero le dinamiche di mercato, che la mafia fosse più onorevole, meno attenta al profitto. «Però, oggi, il mix tra politica ed economia è diverso. Oggi, questa collaborazione avviene più a livello economico, anche in base a come si configura l’ambito economico, più frammentato, sregolato, competitivo». Qui si creano gli interstizi per le mafie, nei meccanismi di regolazione del mercato competitivo, qui le mafie si confondono con «un certo modo di fare impresa. Potremmo discutere a lungo se c’è un certo tipo di economia che assume il metodo mafioso o se c’è, come dire, un certo tipo di mafia che assume le sembianze della criminalità economica e di impresa. Si spara di meno, forse, «ma non vuol dire che la violenza viene meno, perché ci sono dinamiche di mercato molto violente, a partire dallo sfruttamento del lavoro, quindi c’è uno spazio in cui le mafie si muovono e a questo si somma la dinamica dell’area grigia».

Ciò non significa, precisa Sciarrone, che la politica sia assente dal quadro. «La politica è presente non solo nelle dinamiche collusive», ma ha un’altra responsabilità agli occhi dell’accademico, «quella di declinare il problema mafia come un problema di ordine pubblico», depoliticizzando, in questo modo, la questione, cioè relegandola a fenomeno da «affrontare in termini repressivi con strumenti di diritto penale, una questione di polizia, da delegare alla magistratura, alle forze dell’ordine». In tal modo, «non si affronta la questione dell’economia che è una questione politica». Incrementare le pene, mantenere il 41bis è davvero la soluzione unica al problema? No, risponde il mio interlocutore, un altro modo per intervenire sarebbe quello di affrontare il tema del mercato del lavoro, della scomposizione dei processi economici e produttivi, più in generale dare forza ai processi regolativi dell’economia. Insomma, «da un lato, c’è la faccia dura della repressione, delle pene, ma, poi, i controlli in ambito economico e finanziario sono scarsissimi e bassissimi a partire dal tema dell’evasione fiscale […], così come i controlli nei cantieri, nello sfruttamento del lavoro, anche del lavoro immigrato». Controlli irrisori, dunque, lo stesso vale per la gestione dei subappalti, in una situazione che attesta «un’insofferenza fortissima verso i cosiddetti controlli di legalità». Le pur legittime intenzioni di sburocratizzazione, di semplificazione «non si capisce perché debbano essere attuate indebolendo i controlli di legalità». Lo stesso vale per gli arretramenti nel campo della prevenzione, oltre che del contrasto della corruzione.

Dunque, tenere in piedi il 41bis può essere paradossalmente un alibi, se al contempo non si agisce «su altri campi che sono quelli che poi vanno a toccare i comportamenti dell’area grigia». D’altra parte, abolire l’abuso d’ufficio o altri reati corruttivi contribuisce indubbiamente a indebolire l’azione di contrasto alle mafie e ai loro interlocutori. E l’antimafia, prof. Sciarrone? Il sociologo risponde che bisogna intanto riconoscere i successi in tal senso, da quelli legislativi alla preparazione delle forze dell’ordine in termini di tecnica investigativa, di cultura dell’investigazione. Senza considerare, poi, un dato già sottolineato, ossia il fatto che, oggi, le mafie «sono riconosciute come un male sociale». Tuttavia, non si è compiuto un salto di qualità ulteriore, perché si è creata «una drammaturgia pubblica dei processi di costruzione della memoria», che ha determinato una sorta di «unanimismo intorno al tema dell’antimafia». Siamo tutti contro la mafia, vero, così come – afferma riferendo a quanto osserva con i suoi studenti – siamo legittimamente contro la disoccupazione, ma in un caso come nell’altro non basta essere «contro», bisogna compiere scelte ed elaborare politiche... Il punto è che la depoliticizzazione del tema mafioso è connessa a questa unanimità, il tema diventa «poco notiziabile nel dibattito pubblico […]; se si ritiene l’ecumenismo in antimafia un valore, perché si dovrebbe discutere in campagna elettorale»? Se dall’ecumenismo, sul piano dei valori, attorno all’idea della mafia come un fenomeno criminale, si passa alle politiche messe in campo per arginare tale fenomeno, ecco che, agli occhi dell’accademico, si palesa un limite: «temo che non si affronti davvero il problema se non in chiave di politiche repressive, importanti, ma con il fiato corto. […] se pensiamo che l’unico baluardo nella lotta alla mafia possa essere il 41bis, pur importante, stiamo facendo poco, ben poco».

Viene spontaneo domandare al prof. Sciarrone, che la presiede, quale sia la funzione della Sisma, in tema di contributo scientifico alla questione delle mafie. Risponde che rispetto al passato, «quando il tema sembrava così esotico, non aveva larga accoglienza nelle università», oggi gli studi in materia sono riconosciuti e istituzionalizzati con insegnamenti anche specifici. Dall’interno dell’università, attraverso un processo molto comune in ambito accademico, è nata l’esigenza di creare un dialogo interdisciplinare, riunire diverse competenze per interagire insieme, contribuendo, in tal modo, non solo alla crescita interna all’università, ma cercando di accrescere la «qualità del dibattito pubblico che, in molti casi, non è di qualità eccezionale». Perché, professore? Perché, alla pari di altre tematiche, persistono luoghi comuni, stereotipi, semplificazioni in merito alle mafie, a partire dal modo di affrontare «la questione in termini emergenziali e sensazionalistici […]. Restituire complessità a modalità di comunicazione diffuse che tendono alla semplificazione è la scommessa», contribuire a formulare nuove domande, a mettere in discussione il sapere precostituito, oltre ovviamente a vigilare sulla qualità della produzione scientifica.

Una domanda “locale”: a distanza di circa dieci anni dal processo “Minotauro”, che aveva evidenziato la radicata presenza ‘ndranghetista in Piemonte, è cambiato qualcosa sul piano della consapevolezza della pubblica opinione piemontese? La risposta di Sciarrone è duplice: «sicuramente oggi abbiamo una magistratura più preparata, delle forze dell’ordine più preparate», all’università c’è un corso di Sociologia delle mafie (svolto dallo stesso Sciarrone), «c’è un tessuto associativo che mette in atto un impegno civico significativo, […] c’è una domanda forte su questi temi». L’altra faccia della medaglia è «il grandissimo ritardo culturale o la resistenza – non so come chiamarla – della classe politica», ma non solo, perché lo stesso ritardo o la stessa resistenza è nelle «associazioni di categoria, nelle associazioni professionali (imprenditori, commercianti, liberi professionisti), in quelli che, un tempo, si chiamavano corpi intermedi», ma anche nei sindacati, che, oggi, si stanno accorgendo del ritardo, non rimediabile con un convegno o con iniziative estemporanee. Il problema è nelle pratiche quotidiane, nella conoscenza, nella prevenzione, nella capacità di riconoscere e contrastare le vulnerabilità del tessuto economico, politico, istituzionale». Nelle indagini seguite a “Minotauro” ho visto ancora sorpresa davanti alle mafie, alla ‘ndrangheta – continua il professore – e questo dimostra una disattenzione, un ritardo che rivela come sia mancata e manchi una «riflessione approfondita su un tema che condiziona pesantemente la convivenza civile, che quindi è politico, prima ancora che criminale».

Professore, ma la società è più mafiosa, benché la mafia sia più debole, come ha affermato la Commissione parlamentare antimafia guidata dalla Bindi? Ho stima della Bindi – osserva l’intervistato – ma farei attenzione a questa frase, perché, di fatto, bisognerebbe ragionare sui processi economici e sociali che favoriscono le mafie, che avvantaggiano cioè i mafiosi e i loro soci e alleati, quasi sempre colletti bianchi. Bisogna vedere chi beneficia della situazione attuale, «ad esempio, oggi chi ha a cuore l’antimafia dovrebbe occuparsi di quello che accade nel mondo del lavoro […] perché oggi tutta la competizione è sulla riduzione del costo del lavoro». Non si è “mafiosizzata” la società, forse, ma c’è una degenerazione dell’economia che offre opportunità alle mafie, che sanno sfruttarle e godere dei meccanismi economici e sociali in atto.

Un’ultima domanda: quanto ha pesato sui tuoi interessi accademici l’essere nato in Calabria? Ha contato, ha contato aver vissuto da bambino in una zona di mafia, che avvertiva come fenomeno pericoloso e come tale gli era trasmesso dalla cerchia famigliare. Ha contato aver visto, a 7-8 anni, un morto ammazzato in una pozzanghera di sangue; poi, c’è stata la fuga da un ambiente che considerava ostile, dove non si poteva essere liberi, la riconciliazione con le origini è avvenuta più tardi, anche attraverso la grande passione per la sociologia, che «mi ha fatto capire meglio quelle dinamiche – perché viverle in prima persona non vuol dire necessariamente capirle – e ha fatto scattare questo bisogno di conoscenza, questa esigenza di comprendere quei fenomeni, a partire dai fattori e meccanismi che consentono alle mafie di riprodursi nel tempo e nello spazio».

Grazie, prof. Sciarrone.

INTERVISTA COMPLETA

Zip - 26.6 Kb
Sciarroneintervistaintegrale

I tag per questo articolo: | | |

- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -