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69° Mostra del Cinema di Venezia: To the wonder

Regia di Terrence Malick. (Usa, 2012, drammatico, 118 min.) Con Rachel McAdams, Olga Kurylenko, Romina Mondello, Ben Affleck, Javier Bardem

di Orazio Leotta - mercoledì 5 settembre 2012 - 4530 letture

“Mostraci dove cercarti”. “Siamo stati fatti per vederti”. Continua in “To the Wonder” l’indagine psicologica intrisa di religioso che Malick aveva già iniziato nel suo film precedente (The Tree of Life) e che qui è ancora più marcata. Due persone si amano, sono fatte l’una per l’altro, ma non riescono a stare assieme e forse vivono meglio stando distanti.

Ciò in effetti può accadere anche nella vita reale; ma quando un maestro del calibro di Malick porta problematiche del genere sullo schermo, ecco come due ore di film possono trascorrere d’un fiato, con gli spettatori ipnotizzati dal susseguirsi di splendide immagini della natura e della leggiadria dei personaggi ove si incastonano i dubbi di natura religiosa dei protagonisti (sacerdote compreso, un’insolito Javier Bardem), che poi sono i dubbi dello stesso regista, che pur tuttavia, sta addivenendo a una pace interiore e di unione col creatore come mai nella sua vita. Olga Kurylenko.jpg

“Ti amerò per sempre” oppure “Tu mi dai l’amore che mi consente di andare avanti, conserverò comunque il tuo cognome”; queste sono altre affermazioni che abbiamo udito nel film e bada bene, stiamo parlando di persone, che hanno sperimentato che pur amandosi, è stando lontano che forse riescono a vivere meglio la propria vita. Un film molto visivo, tutto o gran parte arriva allo spettatore attraverso l’immagine.

Il regista spesso lascia da parte le parole dette per lasciare più spazio a quelle pensate. Il silenzio è senz’altro più forte delle parole e la storia è raccontata attraverso i gesti corporei, gli occhi dei personaggi; i messaggi partono dal cuore e arrivano al cuore. Movimenti leggiadri del corpo più significanti delle parole stesse. Malick è solito spiegare perfettamente agli attori cosa loro devono fare sul set e poi li lascia completamente liberi di esprimersi; una generosa libertà che contribuisce a creare quel mix tra il parlato e le immagini (nel film hanno un’importanza equivalente) e a tirare fuori da ciascuno ciò che proviene dal profondo. Romina Mondello e la produttrice.jpg

Vari i riferimenti alla letteratura di Dostoevskij (rapporto uomo-Dio, uomo-donna, figlia-madre) e per certi versi il film può essere considerato un sequel del suo precedente: i dubbi di ciascuno dei protagonisti non sbattono contro lo spettatore, che invece sembra unirsi al personaggio di turno nella ricerca della soluzione, immagine dopo immagine, citazione dopo citazione (a tratti si vive l’atmosfera di essere al cospetto della lettura del vangelo per immagini).


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