Latitanti campani: due arresti tra Varcaturo e Castel Volturno
Latitante, dal punto di vista etimologico, deriva dal latino latitans, participio presente di latitare, frequentativo di latere, ossia celarsi, stare nascosto; ovviamente per sfuggire alle forze dell’ordine.
È nella biografia di ogni mafioso che si rispetti il momento della latitanza, della vita condotta sotto falso nome, dei depistaggi grazie anche ai favori di parenti, di amici o di amiche e traditi da dettagli o da peculiari ragioni sanitarie.
Tralasciando la strana latitanza del noto Messina Denaro – il cui inabissamento è distante dall’abisso quanto quello di una boa segnaletica –, vale la pena sottolineare che, tra il 25 e il 26 agosto, i carabinieri di Castello di Cisterna hanno messo a segno, nell’arco di poco meno di 24 ore, due arresti, quello di due camorristi campani ricercati da tempo, due Luigi. In ordine di tempo, il primo a essere fermato dalle forze dell’ordine è stato Luigi Cacciapuoti, sessantaquattrenne, capo dell’omonimo clan di Villaricca, comune dell’hinterland napoletano. Era ricercato dallo scorso febbraio e su di lui pende una condanna a 15 anni di reclusione per associazione mafiosa.
Il clan di cui fa parte – Ferrara-Cacciapuoti – è parte integrante del cartello camorristico noto come “Nuova famiglia”, di cui fanno parte anche i Nuvoletta di Marano di Napoli e i Casalesi, collegato all’ala corleonese di Cosa nostra e contrapposto alla Nuova camorra organizzata del fu Raffaele Cutolo. Un gruppo che ha orientato, nel tempo, la propria vocazione criminale in senso imprenditoriale, dall’edilizia alla ristorazione, dalla commercializzazione di generi alimentari agli idrocarburi, e che vanta profitti milionari. Come ricorda il “Corriere del Mezzogiorno”, uno dei boss arrestati lo scorso giugno, Francesco Ferrara, colloquiando con un amico ed essendo intercettato, rammentava una vacanza in Sardegna, nel 2010, costatagli tra gli 80 e i 90 mila euro, ma il prezzo non parve troppo oneroso al Ferrara, perché «quell’anno io ho guadagnato un milione e mezzo». Parola di boss.
Tornando a Cacciapuoti, la sua cattura, il 25 agosto scorso, è stata resa possibile da un cane di piccola taglia, un barboncino bianco, Lapo, fedele compagno di una donna che frequentava il latitante. Avendo individuato nella zona di Varcaturo la possibile presenza del camorrista, i carabinieri sono stati insospettiti dalla comparsa di Lapo su un balcone di una villa; comparsa fugace, ma che ha indotto i militari dell’Arma a ritenere che in quel complesso residenziale si trovasse il ricercato. Bloccata ogni possibile via di fuga, compresa la rete fognaria, i carabinieri si sono introdotti nella villa e hanno trovato Cacciapuoti sdraiato a bordo di una piscina, un giornale in mano aperto su un caso di cronaca di camorra a Ponticelli; insomma, una lettura coerente con il lettore.
Quanto all’altro latitante, si tratta di Luigi Carandente Tartaglia, di 47 anni, “Gigino ‘a guerra”, membro di spicco del clan Orlando-Polverino-Nuvoletta, operante nell’area di Marano di Napoli e dintorni. Era ricercato da oltre un anno, cioè da quando, nel febbraio 2022, era stato emesso un mandato di cattura per una condanna complessiva di 14 anni e 3 mesi di reclusione per associazione mafiosa. Nel corso delle ricerche, i carabinieri di Castello di Cisterna avevano individuato il rifugio del camorrista nella collina tra Quarto e Marano; anche questo Luigi non si faceva mancare dei buoni momenti di relax, perché, insieme alle botole che avrebbero dovuto consentirgli fughe e nascondigli, nella villa dimorava una sauna per allentare le tensioni della vita da latitante.
Non trovato nella sua tana, Carandente Tartaglia era stato, però, intercettato lo scorso 5 agosto da una pattuglia dei carabinieri, ma il ricercato aveva speronato lo scooter, ferendo i militari, ed era fuggito. Tuttavia, come nel caso del più noto latitante siciliano, i problemi di salute gli sono stati fatali, poiché è affetto da problemi cardiaci e gli inquirenti ne erano al corrente. Le forze dell’ordine, infatti, controllavano da tempo gli archivi informatici del sistema sanitario nazionale e, quando hanno letto di un intervento cardiaco all’ospedale Pineta Grande di Castel Volturno, hanno ipotizzato, correttamente, potesse trattarsi dell’uomo in fuga. Entrati nel nosocomio, i carabinieri hanno di fatto riconosciuto nell’uomo su un lettino Carandente Tartaglia, ricoverato sotto falso nome. Attualmente, è piantonato in ospedale.
Ovviamente, non è mancato il plauso del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, per la duplice operazione dei carabinieri, per «la grande professionalità e la tenacia dei nostri investigatori (…). Testimonianza di un lavoro straordinario per garantire sicurezza e legalità sui territori». In questa settimana di fine agosto, quando ancora per qualcuno è tempo di vacanza, pare eccessivo punteggiare criticamente la frase del ministro, che, peraltro, risponde al vero. Le mafie sono in servizio permanente effettivo, lavorano come gli ipermercati, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7; ciò da circa due secoli. E, da due secoli circa, le forze dell’ordine, una significativa parte di esse, si adoperano per contrastarne le attività, anche loro ormai disilluse circa il fatto che la mafia uccida solo d’estate o solo d’estate delinqua.
Dunque, questa duplice cattura va salutata con gioia non formale, con la consapevolezza che esiste lo straordinario lavoro delle forze dell’ordine per garantire sicurezza e legalità sui territori, come asserisce Piantedosi. Ci si riserva solo il diritto a un certo scetticismo sul fatto che la legalità sia anch’essa in servizio permanente effettivo sui territori, quantomeno su alcuni territori. Ma non si può pretendere, forse, da un ministro un allontanamento così eclatante da una certa retorica, anch’essa permanentemente insidiatasi nei discorsi sulle mafie degli ultimi duecento anni circa.
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