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La vigna di Don Peppino

di enza - martedì 15 settembre 2009 - 4472 letture

Il giorno della vendemmia ci si alzava presto in paese; c’era una sorta di elettricità felice nell’aria, le donne avevano le facce allegre e sorridenti e i loro occhi brillavano. Era giorno di festa, di grande festa, quando si andava a vendemmiare in campagna da don Peppino.Un rito che si ripeteva ogni anno. Era la Sicilia del dopoguerra e dopo tante sofferenze e privazioni c’era una voglia caparbia ed ostinata di rinascere e buttarsi tutto alle spalle. Quale migliore occasione per farsi una bella scampagnata e portarsi a casa delle belle ceste cariche di uva che don Peppino avrebbe regalato ad ogni persona, dopo la vendemmia.

Si partiva dal paese appena faceva giorno, affrontando a piedi alacremente e allegramente il tragitto: le donne avanti e i bambini che erano in grado di camminare,dietro. Gli uomini si erano trasferiti in campagna già alcuni giorni prima, per fare i preparativi per la raccolta dell’uva da cui spremere il futuro vino novello. Le donne ridevano, scherzavano, raccontavano frottole per far divertire i più piccoli o semplicemente per prendersi in giro. Quando il sole era già alto, ci si fermava sotto un albero a fare uno spuntino e poi si riprendeva il cammino.

Dopo qualche ora di marcia, ecco finalmente il sentiero che portava alle Maddalene; si sentivano i cani abbaiare e il vociare degli uomini. Il vigneto delle Maddalene era famoso in tutta la contrada: dalle sue uve si produceva un vino forte e robusto, di alta gradazione,vino di Sicilia. Il vigneto era grande, enorme e sconfinato agli occhi dei bambini, e si presentava in tutta la sua bellezza, improvvisamente: chi veniva per la prima volta non avrebbe mai immaginato dietro quei muri a secco una vigna così ricca, così ben tenuta. I filari erano ricchi di pampini e carichi di uva nera, per il gran peso quasi sembravano spaparanzarsi a terra .

Le donne, appena vedevano tutto quel ben di Dio, in un fuggi fuggi gioioso si munivano di uno o due canestri vuoti e come uno sciame di api laboriose e zelanti, subito si precipitavano nella vigna, impadronendosi di un filare,quello che sembrava più bello e più carico. Sotto i pampini i grappoli erano fitti e turgidi,un susseguirsi di acini neri e violacei, gonfiati dal sole caldo e cocente. La guerra ormai era lontana; gli alleati che avevano bombardato pesantemente il paese dal vicino Porto di Augusta per stanare alcuni tedeschi rifugiati nelle campagne vicine, solo un lontano ricordo,un brutto sogno. Quante bocche aveva saziato allora quell’uva delle Maddalene! anche quell’aviatore tedesco, precipitato accidentalmente lì col suo paracadute.

Ora, tutto era ritornato in un dolce ordine naturale e bucolico: il sole era alto,il cielo sereno, si sentivano ronzare le api e l’uva aspettava solo di essere colta. Tutti nella vigna facevano a gara a chi riempiva più canestri: c’erano donne che già avevano decimato il proprio filare e passavano all’attacco di un altro accanto. Gli uomini più forti e robusti s’incollavano le ceste sulle spalle, salivano su una scala posta alla base di una grande vasca, dove scaricavano l’uva.

Dentro la grande vasca c’erano altri uomini che, ridendo e cantando, pigiavano a piedi nudi l’uva. Cic, ciac,cic,ciac; da un grosso tubo, alla base della vasca, usciva il mosto che veniva depositato in grosse botti e lasciato a fermentare al buio .Le donne a sera, stanche ma felici, tornavano in paese, ognuna con le proprie ceste colme d’uva. Di lì a qualche mese, dopo la fermentazione, si sarebbe avuto il vino novello che don Peppino, nel giorno di San Martino, avrebbe fatto assaggiare a tutti i parenti,agli amici e ai vicini.


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