La mucillagine
La mucillagine arrivò sulle coste dell’Adriatico all’inizio di luglio. Fabiana Gotti, barista del bagno numero 45, stava pulendo il bancone quando i primi turisti iniziarono a parlarne...
......................A Delmore Schwartz [1]
La mucillagine arrivò sulle coste dell’Adriatico all’inizio di luglio. Fabiana Gotti, barista del bagno numero 45, stava pulendo il bancone quando i primi turisti iniziarono a parlarne, e solo tendendo l’orecchio percepì il tono vagamente preoccupato di una mamma che non riusciva a togliere le minuscole squame che – a suo dire – si erano depositate sulla pelle di pesca del suo marmocchio. Fabiana si era appena concessa uno spritzettino fra un ordine e l’altro, quel tanto che bastava per assicurarsi un’oretta di serenità pur nel mezzo della bolgia d’inizio stagione. Il suo mestiere le piaceva, ma la gente le si avvicinava troppo, qualcuno si prendeva un’eccessiva confidenza, e poi – dopo la pandemia – vedere quelle bocche spalancate e ridanciane a pochi centimetri, mentre tracannavano bibite e alcolici e sputacchiavano e tossivano, la faceva pensare a eserciti di germi pronti ad attaccarla. Così puliva spesso il balcone, anche col disinfettante, e questo le faceva perdere di vista quello che accadeva in spiaggia, a pochi metri.
All’inizio la mucillagine era quasi invisibile, quasi impalpabile, e arrivava solo nel tardo pomeriggio; poi iniziò a manifestarsi sempre più spesso, e sempre prima, nel corso della giornata. I bagnini non sapevano che fare: non erano le solite alghe che si potevano rastrellare subito dopo l’alba, o a tarda sera. Non erano nemmeno i corpi flaccidi delle meduse spiaggiate sulla riva. Non erano bottigliette di plastica, escrementi d’animali, rami d’albero portati dal temporale, scarpe spaiate sfuggite a una raccolta di beneficenza. Era una roba vischiosa, informe, mobile eppure apparentemente putrida. Era viva? Chissà.
Dopo i primi giorni, i turisti iniziarono a rifugiarsi nelle piscine e nei centri commerciali, mentre i giornali invitavano alla calma. Gli “esperti” assicuravano che il fenomeno sarebbe durato pochi giorni; che al primo acquazzone tutto sarebbe tornato come prima; e, soprattutto, che la balneazione era sicura. Nessun danno per la salute, sostenevano. Ma intanto non pioveva, e gli ammassi di mucillagine uscivano dal mare e depositandosi a terra formavano strane figure. I passanti, la polizia, gli insonni, gli innamorati, gli ubriachi trovavano ogni scusa per fare un salto in spiaggia anche di notte, per vedere quelle masse strane che si gonfiavano inesorabilmente. Era un evento che a molti pareva straordinario, inspiegabile, perfino terrificante, soprattutto perché gli ammassi, per quanto paressero leggeri come polvere, non si staccavano dal suolo nemmeno con vanghe e badili. I sindaci delle varie cittadine balneari emisero ordinanze e si sprecarono in rassicurazioni, ma i macchinari pulisci-spiaggia si rivelarono inefficaci e perfino gli spazzaneve, sottratti al loro letargo estivo, furono del tutto inutili.
I giornali cominciarono a dedicare più spazio all’evento, che a quanto pareva aveva colpito (anche se in misura e con intensità diversa) tutta la costa dell’Adriatico. I reporter commentavano la difficoltà della rimozione, e contemporaneamente esprimevano una certa fascinazione per le figure che si erano create, e che spesso fotografavano. Le foto, numerosissime, facevano il giro dei social e la mucillagine divenne virale. Alcuni ammassi ricevettero dei nomi di fantasia, e i bambini dopo i primi momenti di diffidenza iniziarono a giocarci sopra. I genitori faticavano a trascinarli via, anche perché gli ammassi erano maleodoranti e rilasciavano piccoli frammenti scivolosi che aderivano alla pelle. Nel frattempo, le case farmaceutiche avevano prontamente annunciato che un nuovo vaccino era allo studio, e che sarebbe stato disponibile molto presto: ci si poteva già prenotare per la prima dose.
Fabiana continuava la sua vita di sempre. Dopo una lieve flessione successiva alla comparsa della mucillagine, ora gli affari andavano bene, perché tutti quelli che venivano a vedere le statue di muco (così le chiamava lei) passavano dal bar. Nel tempo libero seguiva le notizie dal suo pc. Un professore del Politecnico di Milano aveva dichiarato che secondo le leggi della probabilità un evento del genere sarebbe dovuto succedere, prima o poi. Molti parroci scrissero le loro omelie domenicali includendo il fenomeno fra le calamità di cui la Bibbia è piena, invitando i fedeli alla preghiera. La sera, Fabiana guardava le Olimpiadi in TV e iniziò così ripensare al passato – e soprattutto a quando, da giovane, aveva desiderato diventare un’atleta, ma sua madre l’aveva convinta che gestire un bar sarebbe stato più redditizio e meno pericoloso. Aveva obbedito.
Intanto le “statue” non si scioglievano, né si potevano spostare. Alcune avevano volti umani; altre erano mostruose o grottesche, come gargoyles. Altre ancora avevano ricevuto nomi di edifici importanti, come Versailles o Cappella Sistina, ed erano divenute così popolari che venivano turisti da tutto il mondo per visitarle. Altre, infine, erano assolutamente informi – o meglio, cambiavano leggermente forma a seconda dell’orario, o del vento. Erano queste ultime le più inquietanti. Fabiana iniziò a sognarle, la notte, mescolate nella sua immaginazione ai drink che preparava al bar, e per questo motivo maggiormente odiose, poiché il suo lavoro le piaceva sempre meno, anzi aveva iniziato a disgustarla, come la mucillagine stessa. E le amiche che frequentava si dividevano in due categorie: quelle per le quali le “statue” andavano distrutte con ogni mezzo in quanto “oscene”, e quelle per le quali al contrario andavano difese come espressioni artistiche di una neoavanguardia estrema, magari l’ultima trovata di un epigono di Banksy. E lei non sapeva cosa pensare.
Si documentò a lungo sul web. Gli scienziati interpellati continuavano a parlare di fenomeno “naturale”, indipendente dal cambiamento climatico, dovuto semplicemente a un’espansione temporanea (quanto immotivata) del fitoplancton. Secondo gli ufologi, d’atra parte, poteva solo trattarsi di un’invasione (se pacifica o no, era presto per dirlo) da parte di creature aliene che prima o poi avrebbero tentato di mettersi in comunicazione con gli umani. Secondo i complottisti, invece, erano armi biologiche post-nucleari super-sofisticate che la Nato stava sperimentando nelle basi americane segrete disseminate sulle coste del nostro pezzetto di Mare Nostrum (già pieno di bombe inesplose della Seconda guerra mondiale). C’erano poi i soliti radical-chic che si preoccupavano della morìa di piccoli pesci e di esemplari delle specie protette come le stelle marine e gli ippocampi.
Ma Fabiana non credeva a nessuno. Perché aveva fatto un sogno.
Nel suo sogno, si tuffava in mare.
Non si preoccupava del bar, dei clienti, e nemmeno delle statue di muco.
Si tuffava nel mare fresco di fine estate, all’alba, quando il mare è color rosa.
E andava sotto, sotto, sempre più giù, dove il mare è blu come la notte.
Non aveva bisogno di respirare.
E iniziava a superare piccoli ciuffi di mucillagine, lievi come ovatta.
Danzavano intorno, dicendo “vieni”.
Uno sembrò prenderla per mano.
Fabiana non era spaventata.
Era curiosa.
E arrivò a una città sottomarina.
La città era abitata da zombi.
Ma non erano paurosi come quelli dei film.
Avevano volti sofferenti ma benevoli.
Erano quasi tutti di pelle scura.
Gli abiti erano logori, ma la loro pelle era lucida e sana.
Il loro sorriso era di madreperla.
Molti erano giovani.
C’erano tante donne.
C’erano bambini.
Fabiana capì che erano morti perché le vennero in mente le tragedie che aveva letto sui giornali, i naufragi, i respingimenti.
Cinque vittime al giorno nel Mediterraneo centrale.
I loro cadaveri reclamavano una sepoltura.
Quelli che erano lì da più tempo si disfacevano in acqua, e venivano a galla, e a riva, piano piano, impercettibilmente.
Gli altri non lo avrebbero voluto, ma tant’è.
I loro spiriti restavano nel mare, ma i loro corpi volevano tornare alla terra.
Fabiana si svegliò in un bagno di sudore. Il sogno era sembrato così autentico! Si preparò un caffè, si lavò i denti e andò ad aprire il suo bar. Il giornale era già sul bancone. Lo aprì. Lesse subito la notizia a lettere cubitali: LA MUCILLAGINE È SPARITA! L’articolo che seguiva dava ragione agli scienziati, e i politici invitavano a riflettere su quanto noi italiani siamo fortunati ad avere tutto quello che abbiamo. Il Bel Paese, ancora una volta, aveva trionfato. Nessuna catastrofe ambientale, nessuna apocalisse! Rallegriamoci, sembravano dire anche i passanti, i turisti, il bagnino, il venditore di gelati col suo carretto.
Quando uscì per andare a casa, la sera, Fabiana attraversò la strada di corsa proprio mentre passava un autobus, e nessuno seppe dire se il suo fu un incidente o un suicidio.
In poche settimane, tutto fu dimenticato. Anche la mucillagine.
[1] autore del racconto The Statues, 1938. Vedi: Partisan review, p. 11.
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