Urbino città e Università ideale? Dialogo immaginario tra Carlo Bo, Giancarlo De Carlo e Paolo Volponi
La trascrizione di un ipotetico dibattito tra Carlo Bo, Giancarlo De Carlo e Paolo Volponi, basata sulle loro idee e personalità.
Nel dibattito Bo difende la dimensione culturale e accademica di Urbino e della sua Università, Volponi spinge per un ruolo sociale e politico dell’università e De Carlo cerca un equilibrio attraverso l’urbanistica e l’architettura.
Sono qui per discutere con voi di Urbino come città e università ideale. Professore Bo, lei da Magnifico Rettore ha guidato l’ateneo per oltre cinquant’anni: qual è stata la sua visione?
Carlo Bo:
Ho sempre visto Urbino come città perfetta per studiare e riflettere. La sua dimensione raccolta, la sua storia umanistica, la sua distanza dai grandi centri industriali la privilegiano e rendono un luogo ideale per coltivare il sapere. Ho sempre creduto in un’università capace di custodire e promuovere le discipline umanistiche, per formare essere umani prima ancora che specialisti.
L’Università di Urbino come tempio del sapere, oltre che luogo di passaggio anche di radicamento intellettuale.
Paolo Volponi:
Con tutto il rispetto possibile e immaginabile, professore, questa sua visione mi appare elitaria e astratta. Un’università può essere soltanto un tempio, chiusa in sé lontana dalla vita e dai problemi reali?
Urbino oltre che città ideale, è una città vera, con cittadini che lavorano, con giovani che studiano e cercano un futuro. L’università deve fare parte di questa città. Che senso ha un’isola per pochi eletti? Il rischio è che nel voler privilegiare la tradizione, si finisca per soffocare l’innovazione e l’impegno civile.
Giancarlo De Carlo:
Paolo - consentimi - fai una critica sacrosanta, ma devi considerare il problema anche dal punto di vista spaziale e urbanistico. L’università che rimane separata dal tessuto della città, come può dialogare con i cittadini? Nel mio progetto per evitare questo: ho cercato di realizzare un’architettura capace di stare in continuità con la città, col suo paesaggio, con la sua storia. Le residenze universitarie che ho progettato le ho per integrare gli studenti nella città, altro che isolarli.
Carlo Bo:
Apprezzo molto il lavoro di Giancarlo e resto convinto che l’università debba avere una sua autonomia senza farsi condizionare troppo dalle esigenze del presente. Se si insegue il pragmatismo, rischiamo di perdere la nostra identità. Urbino è stata la città di Federico da Montefeltro, un faro del Rinascimento: il nostro compito è mantenere viva questa tradizione.
Paolo Volponi:
Ma la tradizione non può diventare un alibi per il conservatorismo! Urbino ha tutto il bisogno di essere viva, di coinvolgere i suoi abitanti. Ho sempre visto questa città come un laboratorio politico, sociale, culturale. Gli studenti devono essere cittadini attivi e protagonisti, non solo studenti rintanati nelle aule e studiosi chiusi nelle biblioteche. Bisogna ripensare il ruolo dell’università per evitare che Urbino diventi una città-museo.
Giancarlo De Carlo:
Avete ragione entrambi, ma la soluzione è trovare un equilibrio. L’università deve custodire la tradizione umanistica, come dice Carlo, ma deve anche aprirsi al mondo e alla società, come ben dice Paolo. Il mio sogno era un’università senza gerarchie rigide, senza separazioni nette tra docenti e studenti, tra cultura e vita quotidiana. Un’architettura partecipata, pensata per chi la vive, potrebbe aiutare a costruire questa integrazione.
E quale allora, il futuro ideale per Urbino e la sua Università?
Carlo Bo:
Un’università che rimanga un faro culturale, capace di resistere alla superficialità dei tempi moderni e che continui a formare uomini di pensiero, capaci di difendere la bellezza e il sapere.
Paolo Volponi:
Una città-università che non sia un’enclave, ma un luogo di fermento, di critica, di cambiamento. Un’università che si misuri con i problemi del presente e che aiuti a costruire una società più giusta.
Giancarlo De Carlo:
Un equilibrio tra storia e innovazione, tra sapere e partecipazione. Urbino non deve essere un museo, ma nemmeno una città senza identità. Bisogna progettare spazi, relazioni e idee per un’università viva e integrata.
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