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La musica di Lavinia e la matematica di Ipazia

La musica cambia a seconda di chi la suona. L’assenza delle donne dal dibattito filosofico lo ha privato di una voce unica.

di Pina La Villa - domenica 25 novembre 2007 - 6242 letture

Pieranna Garavaso, Nicla Vassallo, Filosofia delle donne, Laterza 2007

La musica cambia a seconda di chi la suona L’immagine iniziale è quella di Lavinia, (Anna Banti, Lavinia è fuggita, la Tartaruga, 1996). Lavinia scrive una musica per oratorio, come Vivaldi. L’oratorio non verrà eseguito e Lavinia fuggirà dal convento. “La musica di Lavinia è parte di un dialogo a cui le è proibito partecipare, ma a cui le è difficile sottrarsi”, concludono le autrici “Lavinia sa che la sua musica non verrà mai eseguita ma sa anche che, nella conversazione che sta ascoltando, nessun’altra voce canta come la sua”.

Pieranna e Nicla ricorrono a Lavinia per condensare il senso del loro libro. Hanno provato la sensazione di cui parlano. Nicla e Pieranna insegnano filosofia all’università, a rigore non si può dire che siano state tenute lontane dalla filosofia. Lo sono però alcune loro convinzioni, lo è la filosofia delle donne nel dibattito attuale. Lo temono, a volte, ma non sono più nelle condizioni di pensare che questa musica non verrà mai eseguita, e sicuramente sono sempre più convinte che "nessun’altra voce canta come la sua" e che quindi non ci si può più sottrarre. La musica cambia a seconda di chi la suona. L’assenza delle donne dal dibattito filosofico lo ha privato di una voce unica. (I modi e i motivi per cui ciò è avvenuto sono diversi e una lettura appassionante su questo tema è il libro di David F. Noble, Un mondo senza donne, Bollati Boringhieri).

L’antefatto Le cose sono cambiate nel secolo scorso. Le donne sono entrate nel dibattito filosofico, con toni rivendicativi o da protagoniste, parlando di sé o parlando del mondo, rifiutando per lo più le appartenenze, ma a volte anche il titolo di filosofe. A disposizione delle due autrici una produzione notevole (di cui danno ampia testimonianza nella bibliografia, ma pochi riferimenti nel testo) di cui è arrivato il momento di fare un bilancio, una rigorosa ricognizione. E’ quello che le autrici hanno fatto, senza appesantire il testo con l’analisi delle opere o le classificazioni delle scuole e dei temi, andando direttamente ai problemi in maniera chiara, essenziale, sintetica, definendo, distinguendo, chiarendo con rigore e consequenzialità le varie questioni. La ricognizione è al tempo stesso un rilanciare il discorso, e sta in questo il pregio, l’urgenza e la necessità del libro.

Di cosa si parla quando si parla di filosofia delle donne? Di cosa parliamo quando parliamo di donne? Possiamo generalizzare parlando di donne?

La generalizzazione è possibile, ed è quello che hanno fatto le autrici partendo dall’ assunto che al di là delle differenze che indubbiamente ci sono fra le donne, “ogni donna sperimenta su di sé una qualche forma epistemica di sessismo, maschilismo e patriarcato” , e cioé che “nonostante siano differenti, le donne rimangono accomunate dal fatto di vivere in società sessiste, maschiliste, patriarcali”.

E come ridurre a unità la pluralità delle filosofie femministe? E’ una sfida difficile, e le autrici, dichiarando la loro collocazione nell’ambito della filosofia analitica, si sforzano comunque di render conto dell’apporto di tutti i filoni del pensiero delle donne, con la consapevolezza che

“Anche nell’ipotesi che venisse decretata la fine delle epistemologie femministe, rimane cosi’ fermo e plausibile un loro importante risultato: i soggetti conoscenti sono epistemicamente dipendenti ed è quindi falsa la tesi tradizionale dell’autonomia e dell’autosufficienza" del pensiero, ad esempio Cartesio col suo primato del pensiero che fa tabula rasa di tutto, o Kant e il suo Io legislatore universale.

Lo scopo del libro è chiaro e, a me sembra, raggiunto:

"Riflettendo su conoscenza competenziale, contesti, conoscenza degli altri, testimonianza, oggettività, valori e punti di vista femminili, è emerso un soggetto conoscente che non può essere individualista. Riflettendo su identità delle donne, su conoscenza di sé e trauma è emersa la necessità di una concezione del sé relazionale e narrativa perché solo questa è in grado di garantire una nozione di identità personale che integra i mutamenti anche radicali a cui talvolta ci sottopone la vita. In conclusione, nell’epistemologia cosi’ come nella metafisica, il contributo originale che una filosofia delle donne può apportare alla filosofia tradizionale consiste in una difesa più argomentata e in una comprensione più profonda della dimensione sociale dell’esistenza umana”.

Una proposta per la didattica Un ambito in cui la proposta delle due autrici è particolarmente interessante e stimolante riguarda la didattica. Motivo in più per confermare la validità del loro discorso.

“C’è bisogno di una filosofia delle donne?” si chiedono Nicla e Pieranna. "Eccome", è in sintesi la risposta. Che è un pò più articolata di come la presento io. Vediamo.

“Lo studio della filosofia raffina l’intelletto”. Nicla e Pieranna (nomi delle due autrici che mi sento autorizzata a riprendere perché lo fanno esse stesse nel libro) riportano i risultati di studi e ricerche in tal senso, ma credo che non ci sia bisogno qui di trascriverli. Gli insegnanti sono abbastanza convinti di questo. Costituisce quindi uno svantaggio per le donne che a praticarlo – almeno ad alti livelli – siano soprattutto gli uomini. Oltre che uno svantaggio per la filosofia, ovviamente. Come per la fisica o per la matematica si tratta di chiadersi quanto ci sia di libero nella scelta di non dedicarsi a questo tipo di studi. “Forse non molte donne scelgono di intraprendere una carriera universitaria in filosofia anche a causa di un modello di pensatore ben rappresentato da Socrate e Immanuel, ma che non si addice a Ipazia [studiosa e insegnante di filosofia e matematica, mori’ nel 415 d.C. lapidata dai seguaci del vescovo Cirillo di Alessandra] e Cristina [di Svezia, vissuta dal 1626 al 1689, interessata alla filosofia, invitò Cartesio alla sua corte per discutere con lui].

Corpo e mente, natura e cultura E’ bene chiarire questo punto, che ci porta ancora una volta nel cuore della proposta del libro delle due studiose, e cioé la messa in discussione del rapporto tra corpo e mente che sta alla base della nostra cultura.

Se le donne si sono tenute fuori dalla filosofia non è perché, per natura, non siano portate, ma perché la tradizione di pensiero della filosofia occidentale si è basata sulla dicotomia tra natura e cultura, fra corpo e mente, che ha visto il polo positivo nella cultura e quello negativo nella natura, assegnando gli uomini alla cultura e le donne alla natura. Divertente ed efficace l’immagine di Socrate, che rimane il prototipo del filosofo, e di sua moglie Santippe. Il primo tutto piazza e pensiero, la seconda tutta concretezza e faccende domestiche.

Oggi questa dicotomia viene rifiutata da più parti, non solo dalle filosofie femministe. Pensiamo appunto alla questione dell’identità, ma anche alla conoscenza, che non riguarda solo la mente, ma anche il corpo, le sue emozioni (su questi temi vedi in particolare il paragrafo sulle conoscenze competenziali). Tanto più necessario diventa , è destinato a diventare, il contributo delle donne nella disciplina filosofica. Ma torniamo alla didattica.

“L’espressione inglese add and stir ben descrive ciò che non è sufficiente fare: per cambiare un ambito di studio e renderlo più accessibile a gruppi sociali finora esclusi non basta aggiungervi qualche rappresentante degli esclusi e mescolare il tutto. Per un cambiamento autentico è necessario che si metta in atto un ripensamento profondo della disciplina stessa, chiedendosi se le metodologie usate finora siano accessibili a tutti ed egualmente fruibili e, se non lo sono, essere disposti a sostituirle o modificarle. Bisogna rinegoziare i temi su cui si incentra la ricerca, rimanendo aperti alla possibilità che problemi e questioni considerati centrali e imprescindibili nel passato vengano accantonati, sostituiti, modificati".

Il nuovo soggetto conoscente cambia l’oggetto e anche gli strumenti della conoscenza: un sé relazionale e narrativo, il valore della conoscenza competenziale e quello del punto di vista nella costruzione epistemologica, ecco solo qualche spunto dal libro (che ne ha molti altri) per continuare - o per intraprendere - la strada della messa in discussione della filosofia, in un momento di grandi interrogativi sul suo ruolo e di grandi domande.

La musica cambia a seconda di chi la suona.


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