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27 gennaio: la memoria della Shoah

"Quanto è avvenuto non si può e non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare" (Primo Levi)

di Pina La Villa - mercoledì 26 gennaio 2005 - 5913 letture

DOMANDE AD AMOS LUZZATTO SUL TEMA "OMBRE NELLA STORIA",DA UN INCONTRO CON GLI STUDENTI DEL LICEO ARISTOFANE DI ROMA

Puntata registrata il 18 dicembre 2000 (www.emsf.rai.it)

Elie Wiesel, scrittore ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, fa dire al protagonista de: "La notte": "Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo, mai dimenticherò quelle fiamme, che consumarono per sempre la mia fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno, che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima. Mai dimenticherò tutto ciò anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai!". Proviamo ad attraversarla questa notte della storia, interrogandola. Proviamo ad avvicinarci all’enigma del male assoluto, a quella irrazionale gioia del male. Proviamo ad interrogare il senso, se ne ha uno, della Shoah, che in ebraico significa catastrofe, partendo dai nomi con cui viene indicata. Fu un genocidio, cioè un crimine contro l’umanità, come lo fu la bomba su Hiroshima o il massacro degli Armeni, o un olocausto, un sacrificio, che chiama in causa Dio stesso, colpevole di aver abbandonato il suo popolo, a sua volta colpevole. Perché è potuta nascere una teologia del dopo Auschwitz? Un secondo interrogativo riguarda la memoria della Shoah, che è il tessuto profondo della coscienza dell’identità ebraica, una sorta di roveto ardente che non si estingue. Ha i tratti della legge di Dio, che talvolta assume la fisionomia dell’ossessione. Amos Oz, un altro scrittore israeliano, sostiene che Israele è avvelenata da una overdose di storia e che avrebbe bisogno di una forte terapia di disintossicazione. C’è un diritto all’oblio accanto al dovere della memoria? E veniamo alla possibile comprensione di quanto è accaduto. La persecuzione degli ebrei era un fatto irrazionale, cioè una crudeltà fine a se stessa, o si basava su delle premesse teoriche? Più in generale è possibile spiegare Auschwitz, oppure, come scrive Primo Levi, "Quanto è avvenuto non si può e non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare". Un’ultima domanda riguarda le responsabilità: il sapere e tacere, o, il sapere e non agire. Di chi fu la colpa? Questa domanda ci porta all’oggi. Il risveglio di sentimenti elementari e di pulsioni crudeli, di un immaginario sinistro, che chiama in causa la razza, il sangue; la terra è soltanto la parodia di una tragedia antica o qualcosa da temere veramente?

STUDENTESSA: Abbiamo visto nella scheda filmata che lo sterminio degli ebrei a volte viene definito con il termine di Olocausto e altre con il termine di Shoah: volevo sapere che differenza c’è fra questi due termini.

LUZZATTO: Molto semplice: "Olocausto" è il titolo di un film e da allora è diventato, in tutto il mondo occidentale, sinonimo del massacro degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Però a noi non piace di solito questo titolo, per due motivi. Primo perché comunemente in ebraico si chiama Shoah. E allora, visto che si deve adoperare una parola, tanto vale imparare una parola breve, sintetica e universalmente conosciuta. Secondo, perché "Olocausto" era il nome di un sacrificio votivo dell’antica Israele, cioè una parte del culto del santuario. E trasformare in culto divino un’opera mostruosa come questa non mi pare che sia molto appropriato.

STUDENTESSA: Abbiamo visto che le ombre della storia sono tante. Ad esempio, abbiamo visto, nella scheda filmata, anche delle immagini di Hiroshima. Ma perché Auschwitz ha un’ombra più pesante delle altre?

LUZZATTO: Ma probabilmente perché Auschwitz è diventato un simbolo. Voi sapete che ci sono stati molti campi di sterminio, ma Auschwitz è quello più conosciuto, forse anche perché la maggior parte delle vittime italiane sono finite lì; e poi perché, a differenza di Hiroshima, che è stata una cosa terribile, una cosa disgustosa, perché la guerra poteva finire anche senza questa operazione, Auschwitz è stata programmata, studiata e realizzata attraverso il concorso di pseudoscienziati, di pseudoteorici, di un partito politico, di un governo, di una propaganda martellante strumentalizzata, e di una tecnica di esecuzione, per i suoi tempi supermoderna. C’è poi una caratteristica in più: la cosiddetta "soluzione finale" è cominciata praticamente nel ’42. Il ’42 è stato un anno di svolta nella Guerra Mondiale. Già nel ’43, più ancora nel ’44, le sorti dell’Asse, le sorti della Germania nazista dal punto di vista della guerra stavano crollando. Avanzavano i sovietici da Est, si preparava e poi si realizzava lo sbarco in Normandia. Quindi la Germania si preparava a una sconfitta. Nel momento in cui aveva bisogno del massimo dei mezzi - carburanti, treni, per il rifornimento del fronte, uomini, armi - pare incredibile che sottraesse parte di queste risorse allo sforzo bellico, per poterle concentrare su questa operazione di sterminio. Il che fa pensare che per il regime questa contava più ancora della vittoria o dei successi al fronte. Perché? Ecco, questo è un grande perché, per il quale si possono fare varie ipotesi, ma devo ammettere che una risposta completa, convincente fino in fondo, è ancora difficile da raggiungere.


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